Linguaggio dei quotidiani italiani

giornalismo contemporaneo

Televisione, free press e quotidiani online, con la loro concorrenza, incidono negativamente sulla media dei lettori italiani di quotidiani. Ciò nonostante, il panorama dei quotidiani nazionali è molto ricco e compendia, oltre alle testate nazionali, un significativo numero di produzioni regionali e locali, che contraddistinguono il nostro giornalismo rispetto a quello della maggior parte degli altri paesi. Tale pluralità costituisce uno dei fattori di variazione, tipologica e linguistica, all’interno della categoria dei quotidiani[1].

Se, da una parte, certe testate tendono a innovare il linguaggio, affermando uno stile più vivace e moderno, aperto al parlato[2], dall’altra, non mancano quelle che mantengono una maggiore fedeltà ad uno stile formale e controllato.

La relativa differenziazione linguistica tra testate nazionali e locali va ricondotta, soprattutto, ad una ragione di ordine tecnico strutturale. I piccoli quotidiani dipendono dalle agenzie di stampa che utilizzano come fonte primaria. Gli stessi, che dispongono di risorse economiche e umane comprensibilmente minori rispetto ai grandi giornali nazionali, operano una minore rielaborazione dei testi.

Il processo di riformulazione è il fattore che qualifica il linguaggio dei giornali. Pluralità di contenuti e forme, da una parte, prassi di ricomposizione e livellamento, dall’altra, rappresentano i due poli da cui nasce la scrittura giornalistica.

Il quotidiano è un sistema di contenuti e forme. La lingua non può essere studiata prescindendo dai suoi supporti materiali. Titoli, impaginazione, immagini ed esecuzione tipografica fanno parte dell’informazione[3].  

Oggi, le modalità di composizione di un articolo di giornale sono molto diverse dall’epoca “pre-computer”. L’impaginazione viene fatta automaticamente dai programmi di fotocomposizione. Non esistono più le figure del correttore di bozze e del tipografo, con conseguente presenza si refusi [4] che i software di correzione automatica lasciano facilmente passare. Si pensi, ad esempio, a refusi come un’altro, o all’impreciso uso della virgola, che frequentemente trova posto dove non dovrebbe o manca lì dove necessaria[5].

I caratteri linguistici   

L’invadenza del discorso diretto e la scarsa separazione tra notizia e commento. Sono questi due fatti di ordine strutturale tra i più macroscopici e forieri di conseguenze per il linguaggio giornalistico.

Lo spazio crescente che il discorso diretto ha conquistato all’interno dei quotidiani è sotto gli occhi di tutti. Si pensi al ruolo svolto dall’intervista che alterna, con sequenza regolare, le battute del giornalista e le risposte dell’intervistato. La larga presenza del discorso diretto riduce drasticamente l’operazione di riformulazione da parte del giornalista, semplificando la struttura sintattica. Altra logica conseguenza è l’apertura verso la componente colloquiale. La mescolanza tra notizia e commento, fenomeno caratterizzante il giornalismo italiano in controtendenza rispetto a quello anglosassone, oltre a non orientare l’attenzione e l’interesse del lettore[6], conduce, contemporaneamente, ad una minore funzionalità informativa e alla sovrapposizione di tipi testuali differenti.

La scrittura giornalistica, in ogni suo settore, è pervasa dall’espressività. Ad essa si devono riconoscere modalità miranti a colpire l’attenzione;  l’eccessiva frammentazione sintattica e l’uso marcato e connotativo della punteggiatura. La componente espressiva sarebbe da ricollegare all’incidenza del contesto situazionale sull’espressione linguistica.

Gli elementi che caratterizzano la scrittura situazionale o lo “stile brillante” sono soprattutto: lessico connotato (triviale o espressivo), metafore, punteggiatura marcata, costrutti sintattici e ordine di parole tipici del parlato. Maurizio Dardano parla di “animazioni” riferendosi a quegli elementi che, con finalità espressiva, mirano a rendere vivace e impressiva  la rappresentazione  degli eventi[7]. Per esempio, i verbi didascalici al posto di quelli neutri – al posto di dice, afferma, risponde ect.-.

Il linguaggio giornalistico, dunque, presenta l’apertura verso il parlato, con conseguente svecchiamento degli elementi grammaticali,  semplificazione della sintattica,  accoglimento di voci più colloquiali in luogo di quelle letterarie. Una tendenza generale che, in larga parte, prescinde dalle scelte del giornalista penetrandone la scrittura nel profondo.

Esattamente al contrario della lingua parlata, l’uso della  componente letteraria, che per lungo tempo ha rappresentato un elemento significativo della scrittura giornalistica, tende a diminuire. La componente letteraria, appare più evidente  nella cronaca, con metafore miranti ad elevare il dettato, e nello sport, settore in cui la fantasia creativa del giornalista  spazia in termini di assoluta libertà.

La cronaca giornalistica è costituita da un insieme di situazioni tipiche, codificate in una serie di schemi facilmente descrivibili. Si tratta di fenomeni che comportano una ricca successione di indicatori formali:

–         composizione a mosaico del periodo;

–         formule di avviso, collegamento e conclusione;

–         ripetizione di procedimenti enumerativi;

–         didascalie che introducono  il discorso diretto;

–         modi per introdurre il commento o richiamare alla memoria del lettore eventi trascorsi o notizie collaterali[8].

Quanto al ricorso alle metafore, bisogna sottolineare, che rappresentano il mezzo per animare stereotipi di sottocodici. Basti pensare all’uso metaforico di termini scientifici. Ad esempio: – vaccinazione contro il totalitarismo -.

Negli ultimi anni, in linea con l’avvicinamento alla lingua comune, si è ridotta notevolmente la presenza della componente burocratica.

Anche in questo caso, significativo rispetto alla diminuzione di letterarietà e burocratismo, è il condizionamento esercitato dalla televisione.

Il condizionamento si manifesta in varie modi. Tra tanti potremmo citare la crescente “spettacolarizzazione” della notizia. E’ evidente come, le pagine dei giornali, diano sempre maggiore risalto all’elemento visivo, con illustrazioni, box, schemi, grafici e tabelle. La componente grafico-illustrativa sovrasta le parole.

Un caso a parte, è rappresentato dai quotidiani gratuiti, la free press, fenomeno che nasce a Stoccolma nel 1995 raggiungendo, nel 2002, una tiratura mondiale di 3 milioni e 700mila copie[9]. Alcuni caratteri linguistici e strutturali differenziano questi giornali da quelli tradizionali.

Sul piano della sintassi, spicca la tendenza alla brevità e alla frammentazione, con prevalenza di periodi monoproposizionali e di frasi nominali. Quanto al  lessico si preferisce il ricorso al linguaggio comune, alla portata di qualunque target di lettore.

Dal punto di vista strutturale, il frequente ricorso alle notizie di agenzia, determina una notevole omogeneità della scrittura.

In alcune testate, la componente visiva occupa ampi spazi a scapito della componente testuale. In ordine alla struttura testuale dei pezzi, è da segnalare la frequente presenza di un lead, che a dispetto della regola,  non sempre contiene al suo interno i principali elementi informativi della notizia.

Testualità e Sintassi

Gli articoli di un quotidiano, che si propongono di conseguire scopi pratici, come informare, descrivere, convincere, appartengono alla grande categoria dei testi pragmatici. In base alla tipologia testuale, la maggior parte degli articoli è da ascrivere al tipo informativo. Importanza crescente rivestono le componenti costitutive del paratesto: titolo, occhiello[10] e catenaccio[11].  

Si registra la tendenza crescente, nel vario corredo esterno al pezzo, a costruire quello che Maurizio Dardano ha definito “disposizione a stella[12] dei contenuti informativi. Questa tendenza, che  deve il suo sviluppo alla scarsa propensione del nostro giornalismo a condensare nell’incipit gli elementi informativi essenziali, costituisce un utile apporto, anche se può comportare il rischio che la lettura si concentri sul paratesto, escludendo quella dell’articolo.

Possiamo distinguere diverse tipologie di titoli:

–         informativi, che  hanno la finalità di riferire i dati essenziali della notizia;

–         impressivi, che  tendono a catturare l’attenzione del lettore con l’ausilio di particolari elementi lessicali o sintattici[13].

In relazione al contenuto, inoltre, possiamo distinguere titoli di tipo valutativo, di cui si avvalgono maggiormente i giornali italiani, e autovalutativo, utilizzati dalla stampa inglese.

Dal punto di vista della struttura linguistica, si è giunti alla seguente classificazione: 

– titolo composto da due segmenti, separati da una virgola o dai due punti, raramente dal punto fermo, con tema nominale al primo posto e rema nominale o verbale al secondo. Esempio: – Sgrena: continuerò a chiedere la verità[14] – ; – Ostia, bomba al Tribunale[15];

– titolo costituito da una frase verbale. Esempio:   L’indagine Usa è conclusa <<nessun agguato>>[16];

– titolo  contenente una battuta di discorso diretto, con o senza virgolette. Esempio: <<I diavoli del Darfur mi hanno stuprata[17]>>.

Come abbiamo già detto, la struttura ideale di una articolo giornalistico compendia, in apertura, la presentazione dei dati essenziali della notizia. Di seguito, si aggiungeranno altri dettagli: particolari secondari,  descrizione dei protagonisti, stralci di interviste ed, infine, il commento.

La tecnica del laed, è sempre più disattesa dai giornalisti italiani. Gli articoli presentano quella che Mortara Garavelli e  Dardano chiamano “ellissi cataforica del tema”, per indicare il caso in cui il nucleo informativo viene spostato in avanti, spesso, preceduto da elementi di contorno.

Altra modalità testuale che caratterizza gli articoli dei quotidiani è la suddivisione in paragrafi con piccoli titoli  autonomi. Tale struttura, facilita la successione tra i segmenti di un testo e le unità tematiche.  La necessità di un collegamento interno al testo tramite elementi linguistici diversi cresce se il brano di riferimento è strutturato in modo unitario. Al contrario, diminuisce se l’articolo è strutturato in segmenti testuali autonomi.

La sintassi rappresenta, insieme alla testualità, il settore in cui l’evoluzione della scrittura giornalistica si manifesta con evidenza.

Quello della monoproposizionalità è uno dei fattori più diffusi. La preferenza di periodi brevissimi, spesso coincidenti con una singola frase, è da riportare all’esigenze di chiarezza e incisività. Nell’ambito del periodare monoproposizionale possiamo distinguere i seguenti tipi:

–  successione di frasi semplici separate dal punto fermo;

–  coordinate separate dal punto fermo; 

– subordinate separate con il punto fermo dalla propria reggente.

– spezzoni di frase, o singole parole, tra due punti fermi[18].

Tipico del linguaggio giornalistico è l’impiego di frasi nominali utilizzate per le caratteristiche di brevità, incisività e pregnanza semantico-informativa. La frase nominale può essere costruita in diversi modi, ma sempre senza verbo in funzione di predicato. Ad esempio, può essere formata solo da elementi nominali – Marcia pacifica oggi nelle vie di Roma-;   oppure da elementi nominali e verbali , con i secondi non in funzione di predicato – Occupato dai militari l’ingresso del paese -.

 

Lessico e Interpunzione

Negli ultimi decenni, il lessico dei quotidiani si è notevolmente modificato.  La tendenza principale è quella che va in direzione della lingua comune. Certamente, non si può generalizzare e ci sono delle differenze che emergono in base all’argomento trattato dall’articolo. Neologismi[19] e parole straniere caratterizzano[20], in particolare, articoli di politica interna ed estera. Grande è il ricorso alle metafore, specie in reportage e articoli culturali. Le metafore rappresentano uno degli strumenti lessicali di maggiore impiego in direzione di quello che Dardano chiama lo “stile brillante”[21].

Qualche esempio[22]:

–         un fiume in piena che promette battaglia;

–         un soffio di violenza che imprigiona;

–         sprofondata nel buio del sapere.

I tecnicismi riguardano quasi esclusivamente gli articoli settoriali, mentre la cronaca presenta ancora una certa ricorrenza di voci elevate e burocratiche, decisamente trascurate in altri ambiti giornalistici.

Per quel che concerne l’interpunzione, nella scrittura giornalistica la frequenza del punto fermo a separare frasi indipendenti, coordinate e  subordinate è un procedimento molto diffuso. Al contrario, tende a scomparire l’uso del punto e virgola, fatto causato, con ogni probabilità, dalla riduzione del periodare articolato.

In netta espansone anche l’utilizzo dei due punti utili per introdurre il discorso diretto, anche senza l’ausilio delle virgolette. Molto importanti continuano ad essere parentesi e trattini che, in sostituzione della virgola, assolvono ad una funzione metalinguistica di commento o spiegazione di un elemento della frase. Ad esempio: <<Per aumentare i consensi sulla proposta di riforma preferita (l’aggiunta di nuovi seggi temporanei da assegnare con elezione su base regionale e mandati più lunghi del biennio previsto adesso), l’Italia e gli oltre venti Paesi alleati sono disponibili a limature[23]>>.

Le peculiarità del giornalismo sportivo

Per concludere non potevamo non parlare del giornalismo sportivo che, da sempre, rappresenta  un vero e proprio mondo a parte. Carattere fondamentale di questo tipo di scrittura è la retorica dell’avvenimento che prevale sull’informazione. Secondo questa teoria, il fatto consiste in qualcosa che non esiste se non nelle affermazioni del giornalista, avvalorate dal lettore[24]. Il giornalista, chiaramente, deve trovare la giusta armonia tra dati e immagini, tra classifiche e significati. In tal senso i requisiti fondamentali sono tre :

1)    conoscenza tecnica delle disciplina sportiva;

2)    padronanza del linguaggio;

3)    possesso di uno stile originale.

Dalla padronanza del linguaggio scaturisce la possibilità di superare i limiti della cronaca. Il linguaggio, senza dubbio, è l’elemento chiave che, grazie alla sconfinata libertà di rielaborazione concessa a quanti si occupano di sport, diviene infinitamente creativo e metaforico. Certo tanta libertà nasconde dei pericoli. Primo tra tutti il rischio di piombare in banali ripetizioni. Le parole rischiano di perdere potere così come la retorica dell’avvenimento rischia di ridursi alla retorica delle mode.

Dicevano dell’uso delle metafore. Alcune di queste possono acquisire un’accezione puramente tecnica trasformandosi in un lessico specialistico.

Ad esempio (nel calcio):

–         verticalizzare l’area del rigore;

–         zona cesarini;

–         stoppare;

–         marcare;

–         andare in fuga;

–         svirgolate il tiro.

In altri casi, invece, la ripresa della metafora è segno di piattezza e pigrizia.

 

Ad esempio (sempre nel calcio):

–         maglie difensive;

–         ragnatela del centrocampo;

–         espugnare la roccaforte avversaria.

La lingua dello sport è costruita in una progressione di immagini che, in parte, sono entrate anche nel linguaggio comune. I giornalisti sportivi che hanno avuto successo e hanno fatto scuola, a partire dal dopoguerra, sono proprio quelli che hanno saputo rinnovare il linguaggio creandosi, al contempo, uno stile inconfondibile[25]

 


[1] Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, La Lingua Italina e i Mass Media, Ed. Carocci, Roma 2003.

 

[2] In tal senso, “La Repubblica”  riveste un ruolo di primo piano. Infatti, sin dalla nascita, nel 1976, ha impresso al linguaggio giornalistico una forte spinta innovativa, avvicinandolo alla lingua comune e allontanandolo dal “giornalese” che contribuiva alla scarsa leggibilità e popolarità dei quotidiani.

[3]Maurizio Dardano, Il linguaggio dei giornali italiani, Ed. Laterza, Bari 1980.

[4]Carattere usato erroneamente nella composizione al posto di quello giusto.

[5]Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, La Lingua Italina e i Mass Media, Ed. Carocci, Roma 2003.

[6]Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, La Lingua Italina e i Mass Media, Ed. Carocci, Roma 2003.

[7]Maurizio Dardano, in La stampa nell’era della TV, a cura di V.Castronuovo, N.Tranfaglia, Ed. Laterza, Bari 1994.

[8]Maurizio Dardano, Il linguaggio dei giornali italiani, Ed. Laterza, Bari 1980.

[9]Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, Giovanni Santambrogio, Angela Ida Villa, Storia del giornalismo italiano. Dalle origini ad oggi, Ed. UTET, Torino 2004.

[10]In un articolo, frase di lunghezza non superiore a una riga, e di giustezza e corpo inferiori al titolo che la segue.

[11]Dicitura posta dopo l’occhiello, il titolo e il sommario, che evidenzia il contenuto di un articolo.

[12]Maurizio Dardano, in La stampa nell’era della TV, a cura di V.Castronuovo, N.Tranfaglia, Ed. Laterza, Bari 1994.

[13] Ilaria Bonomi, L’italiano giornalistico. Dall’inizio del ‘900 ai quotidiani on line, Ed. Cesati, Firenze 2002.  

[14] LA STAMPA, martedì 8 marzo 2005, pag.5.

[15] LA STAMPA, martedì 8 marzo 2005, pag.9.

[16] LA STAMPA, martedì 8 marzo 2005, pag. 7.

[17] Il CORRIERE DELLA SERA,  martedì 1 marzo 2005,  pag. 13.

[18]Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, La Lingua Italina e i Mass Media, Ed. Carocci, Roma 2003.

[19] I neologismi rappresentano, da sempre, una delle categorie più tipiche del giornalismo, che veicola contenuti nuovi con voci nuove, o raccoglie o inaugura voci nuove per significati preesistenti.

[20]I termini anglo-americani sono molto più numerosi e diffusi a scapito dei francesismi che, comunque, conservano una certa presenza negli spettacoli  e,  in parte, nella politica.

[21] Maurizio Dardano, Il linguaggio dei giornali italiani, Ed. Laterza, Bari 1980.

[22] Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, La Lingua Italina e i Mass Media, Ed. Carocci, Roma 2003.

[23] Il CORRIERE DELLA SERA,  martedì 1 marzo 2005,  pag. 12.

[24] Alberto Papuzzi, Professione Giornalista, Ed. Donzelli, Roma 2003.

[25] Il nome più popolare è quello di Gianni Brera che, più di ogni altro, ha saputo rinnovare il linguaggio calcistico.

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