Chandra Livia Candiani. Un canto mobile e leggero

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Vivian Lamarque raccomandava già nel 2007 i lettori: «Da non perdere d’occhio l’opera di questa grande schiva poetessa, scoperta da Antonio Porta fin dagli Anni Settanta.» Giovanna Rosadini, curatrice del sesto volume di Nuovi poeti italiani (Einaudi 2012) conferma il giudizio nella sua introduzione, ribadendo che «molto poco di ciò che ha scritto ha visto la luce». Ma forse qualcosa si sta muovendo, nonostante la gran parte dei recensori di Nuovi poeti italiani 6 sia passata in silenzio sopra il suo nome e le pagine dedicatele. Prima «Poesia e Spiritualità» (2/2008) e poi «Nuovi Argomenti» (56/2011) hanno pubblicato poesie di Chandra Livia Candiani dalla raccolta inedita Versi d’asino, la stessa dalla quale attinge l’antologia di Einaudi, con altre edite e inedite. Sicuramente appartata; per scelta fuori dai “giri giusti”, dove è d’obbligo sentirsi interessanti; ma schiva non direi. Al contrario Candiani è una donna e poetessa aperta e generosa, posta per sua natura nella situazione dell’ascolto. In una conversazione con Giorgio Morale (dell’8-5-2006, su ilprimoamore.com/old) dichiara: «lavoro sul prima della poesia, sull’ascolto, sul vuoto che la precede e la precipita. Dedico tempo al silenzio, alla sospensione della mente discorsiva. […] Cerco di dire e di ascoltare l’essenziale.» La poesia per lei è comunicazione e cura, del sé e dell’altro, da qui l’«istanza comunicativa» del linguaggio riconosciuta da Rosadini. Il suo linguaggio è semplice e chiaro, ma nel risultato di un lavorio robusto e consapevole. La sintassi è lineare spesso, eppure d’improvviso, ma senza strappi, viene incantata e piano sovvertita da un’esigenza delle parole e della loro musica. Morale notava quanto siano «evitati strumenti poetici come rime, assonanze, consonanze e simili». La ripetizione è invece la figura musicale più caratteristica delle poesie di Candiani. La sua musica precede e non segue la ripetizione; è interna e non esterna alla parola; manifesta, della parola, la natura di mistero, di parola d’ordine. Ad esempio nel finale di “La maniglia” (p. 110). Il mistero sta nell’evidenza, in nulla più del significato della parola semplicissima che chiama la poesia attorno a sé, per una rinascita del significato, e di rimando l’attenzione su di sé, dagli occhi del lettore. Nel caso di Candiani vita e opera sono, come raramente altrove, legate. L’una informa o traduce o chiarisce l’altra. I luoghi della vita sono i luoghi della poesia. La Russia è l’origine, e la nostalgia dei suoi versi; l’India è il luogo spirituale, la direzione, la sua Via; Milano è la storia, l’infanzia e il suo presente. Nuovi poeti italiani 6 cerca di presentare tutti o molti di quei luoghi, anche a costo di una scelta disomogenea. Dunque l’ascolto profondo per gli elementi dell’abitazione, con le poesie tratte da Il sonno della casa: l’ascolto qui si traduce nel dar voce agli oggetti, personificandoli. Altrove la modalità è il tono colloquiale, spesso in relazione a figure assenti, perché morte o lontane; da lì un andamento riflessivo, investigativo quasi, alla ricerca di una visione del sentimento di perdita. Un terzo luogo si potrebbe dire mistico, o più semplicemente lirico, esistenziale, e si mostra puro in Bevendo il tè con i morti (Viennepierre 2007). Un altro tema ricorrente è l’amore, cui è dedicata un’importante raccolta inedita, ma già tutta una sezione di Io con vestito leggero (Campanotto 2005). A dispetto delle esigenze di analisi, però, non esistono compartimenti stagni: i luoghi e i temi si mischiano, convivono e si confondono. La poesia di Candiani è un canto mobile e leggero, nobile e mai superfluo, immaginifico e sorprendente. Sia la qualità che lo scarso riconoscimento ottenuto finora sono conseguenze soltanto della sua irregolarità, della non appartenenza a tendenze, correnti o tradizioni riconoscibili, e del misconoscimento di quella chiarezza di dettato, unica e stupenda. Il dettato dell’altro verso colei che lo sa ascoltare, e vuole renderlo ascoltato.

(l’EstroVerso Settembre – Ottobre 2012)

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