fotoracconto

“Dove hanno fatto il deserto,  ora lo chiamano pace” (Tacito)

Mentre la notte arrivava, stanco ed ebbro per la giornata trascorsa a camminare tra le radure di Niscemi, mi trovai davanti uno strano essere. Minuto e seminudo, dormiva sotto un grande albero di sughero. Mentre mi avvicinavo per vederlo meglio, pestai un ramoscello secco che sotto il mio peso si spezzò. Bastò questo a destarlo dal suo sonno. Mi salutò con gli occhi e, senza che il mio stupore si fosse placato, cominciò a parlare: “Sogno il vento, un sogno che non è desiderio e non è incubo. Il vento che non arriva e il vento che ti prende. Quando meno te lo aspetti, quando le condizioni decidono, lui, arriva. Tutte le lacrime si asciugano, tutte le piante si piegano. Tutte le aspettative crollano e tutto è confusione. Sogno il vento, non più quello che fischia con la bufera, non più quello che soffia alle candeline, non più quello che alza le onde del mare. Come in quelle radure in cui l’ingordigia e la follia hanno strappato ogni libero albero e ogni minuscolo essere vivente: il deserto di Tacito. Adesso è il vento che in questi posti regna, non l’uomo, non il silenzio, ma il vento che passa inesorabile a ricordare il tormento eterno dei millenni. Quando il sole dei nostri giorni tramonterà sarà unico paesaggio. Lunare, interrotto solo da una misera cortina di filo spinato che sorregge dei fogli e del colore. Sogno il vento, che si abbatte su tutto e su tutti, che trafigge i giusti, che trafigge i saggi, che trafigge i folli. Il vento che spazza le nubi di questo medioevo, il vento che porta con sé l’odore del mare, che sbrana la terra con il fuoco e che ferma il tempo con il ghiaccio. Non so da dove viene, non esistono punti cardinali, non esistono stagioni… Non posso sognarlo, non puoi sognarlo nemmeno tu, il vento è qui, strappa le coperte e volano via il giaciglio ed il cuscino. Il vento che ti buca le orecchie, che ti impone il respiro e che ti strappa la vista. Sogno il vento e il suo tormento, sogno e non è desiderio, sogno e non è incubo. Tutto è travolto, tutto è dilaniato… poi d’un tratto nulla… più nulla… niente. Solo dei disegni fermi nel vuoto, statuari, immobili, memento lapideo scolpito nella coscienza, anche di chi non ne ha, a ricordare che il futuro non è mio, non è tuo, ma solo dei figli che non meritiamo”. Mi girai per chiamare gli altri, ma sotto l’albero non c’era più nulla, solo una matita colorata.

 

 

 

 

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