L’amore per i propri personaggi è la forza originaria che muove il testo

enzo fileno carrabba su l'estroverso

l’autore racconta

Molto tempo fa, quando ho cominciato a scrivere storie, per me la parola “letteratura” era sinonimo di “letteratura fantastica”. Ora, dopo una lunga navigazione, sono approdato a un testo autobiografico. Appena sbarcato, mi sono trovato a calpestare una costa talmente personale che ho provato una grande meraviglia: quei luoghi erano così miei da lasciarmi spaesato. Ma guarda, mi sono detto inoltrandomi nella lussureggiante vegetazione del nuovo mondo – e cioè la selva aliena dei miei ricordi -, non ero io quello che scriveva di mondi immaginari? Perché adesso scrivevo di mia zia? Cos’era successo? Dov’ero finito? Mi piace pensare che in realtà fosse sempre lo stesso mondo visto con occhi diversi, dopo i viaggi dell’immaginazione. Era solo cambiata la prospettiva sulle cose importanti. Era tutto più semplice. Vorrei che i miei libri fantastici venissero letti come segretamente autobiografici e che La zia subacquea venisse letta come una storia fantastica, un’autobiografia in forma di leggenda. È vero che la sorgente di questo libro attinge a un serbatoio di ricordi e di sentimenti radicati. Ma questo non contraddice l’esperienza di esplorazione dell’ignoto vissuta scrivendo. Non so cosa siano esattamente i ricordi. Ma per me non sono tutti uguali. I miei preferiti non stanno fermi, non sono statue dentro una galleria mentale a mia disposizione. Preferisco quelli autonomi, emancipati, scalpitanti, che si comportano come esseri viventi e reagiscono alle sollecitazioni: i ricordi reattivi, suscettibili, che hanno in serbo scoperte e sorprese, per chi li ascolta con curiosità e rispetto, senza pregiudizi. Alcuni ricordi, i più potenti, sono come messaggeri, vogliono qualcosa, insistono fuori dalle mura. Allora, in un certo emozionante momento della mia vita, ho detto va bene, mi sono lasciato andare, con la massima semplicità, ho fatto entrare quelli più insistenti, i messaggeri, e mi sono fatto condurre da loro in zone abissali della personalità: mi sono reso conto che erano batiscafi!
Siamo scesi nell’infanzia profonda, in una zona del tempo (ma forse è una regione dello spazio) in cui ero convinto di avere dei poteri sovrannaturali. Ho scritto La zia subacquea pensando che parlasse dei poteri del protagonista. Poi, quando ho finito il libro, alcuni lettori mi hanno fatto notare che non c’è traccia di questi poteri. Allora mi viene il dubbio che il libro parli dei poteri che hanno tutti, i poteri di tutti noi. Certo il protagonista è convinto di essere in connessione con la Barriera Corallina e di sentire le voci di alcuni grandi personaggi: da Giulio Cesare a Leonardo da Vinci, ma soprattutto Gabriele D’Annunzio. Ed è convinto di ripercorrere, nel suo piccolo, le tappe evolutive (se di evoluzione si può parlare) dell’umanità. In questo senso i suoi presunti poteri confinano con il disadattamento. Bisogna vedere come tutto questo si lega con la ricerca della felicità. Avanzando nella storia cercavo il mio Eldorado, uno stato di grazia: il sistema per vincere la pesantezza della cose cogliendo una musica negli avvenimenti. Ho in mente questa frase di Hillman: “Un tempo l’arte dello scrivere si prefiggeva un intento terapeutico, quello di donare la catarsi e l’unità tematica a un’anima”.
Naturalmente qui non posso scrivere la storia del libro, dato che per scriverla c’è voluto tutto il libro. La vicenda copre un arco temporale di circa quarant’anni e il protagonista, che non voleva figli, si ritrova con soddisfazione ad averne quattro, detti i quattro elementi. Questo individuo attraversa molti ambienti: dal mare ai fumetti erotici, dalla musica d’avanguardia alla Disney. Compie quindi un percorso, un viaggio. Verso dove? Noi tendiamo a leggere i romanzi come storie di formazione, il che ha, immagino, delle solide ragioni, legate al nostro desiderio di migliorare. La zia subacquea può essere letto in questo modo, come un romanzo di formazione. A me però interessa anche ciò che non varia, gli elementi permanenti della nostra personalità, quelle colonne con cui dobbiamo fare i conti. Ma perché alcuni elementi non variano? Può darsi siano molto antichi. Ci sono caratteristiche e atteggiamenti che noi crediamo solo nostri e magari invece li abbiamo ricevuti in prestito, ci arrivano da qualche avo. Parlo di avi vicini e di avi lontani: che so, un avo medievale, romano (antico), o addirittura cavernicolo. E anzi, mi chiedo se non sia il caso di prendere in considerazione gli antenati non umani: a volte, senza saperlo, abbiamo atteggiamenti anfibi. Forse noi siamo strumenti di tali caratteristiche, siamo posseduti. In questo senso penso che i nostri primissimi ricordi non siano affatto l’inizio: si attaccano come patelle a qualcosa che viene prima di loro. O almeno lo pensa il protagonista del libro. Lasciamogli i suoi sogni, giusti o sbagliati che siano.
Credo che la forza originaria che muove il testo siano i sentimenti di curiosità, divertimento e amore provati per i personaggi di cui si parla. Possano questi sentimenti sopravvivere e riprodursi al di fuori di noi.

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