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Colette W Davis

 

il pensiero poetico

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Perché temiamo di essere banali fin nella profondità più profonda di noi stessi quando riflettiamo su come vivere la nostra temporalità di esseri mortali? Quando ci capita di temere ogni cosa, possiamo affrontare il timore ricercando ragioni di vita nella parola dell’altro. “Cos’è l’amore?”, potrebbe domandarci ancora il terrore. Ma la tranquillità subito lo devia e prosegue il suo cammino all’interno delle nostre giornate all’insegna del sentimento della speranza. C’è un luogo all’interno di noi stessi che potrebbe essere abitato, come appare, sia dalla possibilità che dell’illusione? È un luogo del mondo che ancora non si realizza. È la comunità che mette in crisi il nostro bisogno di eternità. Ci rifugiamo sempre fuori dall’alienazione. Oltre la pretesa metafisica di incomunicabilità c’è la protezione della ragione, la finita astrazione delle nostre parole, la simpatia di una sconosciuta, il desiderio di ritorno dalle proprie sofferenze, l’istinto di abbattere e superare i muri che separano gli uguali. E quando una cosa ci sembra bella, non abbiamo intenzione di paragonarla a qualcos’altro. Anzi, la bellezza ci parla di se stessa parlandoci d’altre cose ugualmente percepite da noi come belle all’interno del nostro presente. Il pensiero ci guida attraverso il tempo delle nostre vite come se non potessimo perderci, come se fosse impossibile esistere davvero nella metà di noi stessi che l’altro è. E quando vogliamo dire una cosa, nulla ci impedisce di dirla. Esempio: la persona amata ci dice ciò che noi volevamo dire a lei, dice la stessa cosa che noi volevamo dire. Questo ci libera dalla paura di non essere capiti, ci spalanca orizzonti nuovi, silenziose ed eloquenti vie nei territori dell’immaginazione e della comprensibilità. 

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