Pensieri sulla lettura de Il leviatano di Melville e altre poesie di Carmine Vitale

carmine vitale su l'estroverso

La poesia richiede una lettura al vetrino, una vista da lettori pazienti e forse anche un tantino inconsapevoli di quell’importante lavoro che stanno, di volta in volta, compiendo, seguendo il proprio richiamo alla lettura – ad occhi limpidi, che fanno e compongono, attraverso le pagine, ogni verso fino all’attenzione per la parola che tutto congiunge e ricongiunge, fino a qualcosa che viene a formarsi, intorno e nella vita, per il suo stesso scioglimento, in progressione e rapporto agli infiniti passaggi tra paesaggi che ne costituiscono (e restituiscono, pure) strade, confini; pagine. Un libro di poesia, scriveva qualcuno: niente di più lontano dalla letteratura; niente di più confondibile, in taluni casi, con la vita stessa.

La vita mi è sembrata un panorama

che passava dietro i finestrini della macchina

(…)

Questo panorama tra i versi di Carmine Vitale, si trova nel suo libro Alcune cose (L’arcolaio 2010) – alcune cose che da subito possono cogliersi in una scrittura che ha per “mezzo” la vita, e sì, il suo infinito frullio di realtà e sopravvivenza del sogno, la poesia che probabilmente potrebbe allora esserne il “fine” – ma è come scoprire che questa poesia, di questa vita, e degli interrogativi che la popolano e “confondono” – abbia ogni angolo di partecipazione e slancio – ogni sguardo esposto, necessariamente, in poesia – sia dello stare al mondo, sia dell’accorgersi di stare sognando ancora, e comunque, la vita nella vita.

 

Mi fa piacere non sapere che cos’è importante

né cosa volerà giù da un precipizio

se ci cadrà una sera profumata

o la tua morte e il mese di Settembre,

se nelle tue parole ci sia sale oppure solo sete,

se nel mio seme infranto o nelle vene

presagi della notte o della quiete.

So che mi fa piacere guardare un temporale

che cade a più non posso come un male,

che fa più male ancora di una strada non attraversata.

Ma mi fa piacere stare qui a guardare con aria scanzonata

ciò che finora siamo stati e il cielo che si apre sanguinante

 

Quello che possediamo è il titolo di questa poesia, che si trova in chiusura a Il leviatano di Melville e altre poesie, libro che Carmine Vitale pubblica nel 2012 nuovamente con L’arcolaio (l’editore va ringraziato dal lettore onesto). Il lavoro che passa per la sua lettura è grande: si tratta del ritrovamento dei resti di un enorme cetaceo, vissuto tra i dodici e i tredici milioni di anni fa.

Forse la stessa “età della memoria” – memoria che Vitale ha, e la sua poesia cerca, scrivendolo, di portare in salvo e tenere, insieme a chissà quale necessaria speranza, a un fratello ricordo, e un futuro dentro le cose di adesso e di allora, forse – tutti presenti nella sua parola, nella vita di uno sguardo così interessato a “conservare”, riservare anche piccoli spazi a racconti che fanno ritratti lontani e vicini, raccolti e stupiti, tra un “testimone” e il sentire altrui, in questa abitazione comune che è la poesia, quando riesce ad essere anche questo: accoglienza, pluralità, storia che passa per le linee di una mano e si fa geografica mappa di un viaggio nel tempo, fino a un ritrovamento che poi è ancora domanda, ricerca, perdita, tramortimento e ricordare, atto d’amore inevitabile.

 

«Ricordare: dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore»

 

Nella maniera più fedele si dovrebbe ricordare che anche

gettando il cuore alle ortiche queste fioriscono,

non si avvelenano.

Nuotano,

diventano alghe.

Così come “al largo sul mare una primavera o un’estate si sentono

soltanto come un soffio di vento”,

tutto non ha età.

Davanti agli occhi passa una rana che attraversa la rugiada;

la guardi e puoi pensare: potrebbe essere il mio cuore che salta?

A fianco di queste e in corsivo piccolo piccolo si notano

altre parole: suggestione rassegnazione rammarico d’amore,

Come Martinson che nel ’31 urlava al carbone:

DIAMANTE INCOMPIUTO,

 

“nell’erba il vento cerca qualcosa di perduto”.

 

Ma le parole nei prati vivono e fioriscono.

Ecco cosa significa allora ricordare

una frase in epigrafe di Hrabal, presa in prestito dal

bigliettino della lavanderia a secco:

certe macchie non si possono togliere senza

alterare la sostanza del tessuto

 

È davvero un lavoro serio la scrittura di Carmine Vitale, ha il tatto spiccato di ciò che è stato vissuto in questa ricerca, e viene da dirlo che questa è una strada della poesia, necessaria, perché ha in animo non soltanto un immaginare la vita e cantarla, e neanche un’immedesimazione da descrizione fedele e impeccabile: come in alcuni poeti dell’est, che vengono talvolta evocati dall’autore, che nomina i suoi amati maestri e “amici” di tanto (di penna, di vita, di letture, di altro ancora), questa scrittura ha tutti i sensi dell’essere al mondo, più il sesto e anche il settimo senso (quello che può raddoppiarsi, perché ci si può avvalere del dono della memoria e del presente: il sentire), il cammino dentro e fuori le radici.

 

Le difficoltà di un poeta

da un margine all’altro

per evitare un tradimento

c’è il dimenticarsi della memoria.

Inesauribile è solo l’albero che pianta e nutre

radici di acqua e vento.

Ci sono queste cose scomparse, senza seme:

una vita andata, la morte del basilico sul balcone;

la coda di una lucertola,

una parete ridipinta, una poesia in transito, e qualche

posto di confine per fortuna abbattuto.

Ma non tutto scompare.

È così blu il cielo sopra l’asfalto

che brilla lo zucchero filato nella pioggia.

La strada che porta in chiesa è tutta in discesa

all’entrata attende un’altra acqua:

una donna pallida e confusa

l’usuraio

il violinista pazzo

e, mano nella mano, un medico abortista e il farmacista.

Solo un cane, con tutti i suoi sogni, non può entrare.

È la legge, dice.

Con una bilancia pesiamo le parole

prima dei due punti:

progetti per la bellezza,

variazioni del cuore:

pressione delle galassie,

quei nomi vecchi con cui prima si chiamavano i ricordi

la prima volta.

L’elenco dei congiuntivi

la primavera

l’estate

– guardare in faccia il sole

E accorgersi che non tutto muore –

 

 

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