francesco-iannone-la-foto-e-di-gerardo-grimaldi
Foto di Gerardo Grimaldi

parola d’autore

Un possibile movente del fare poetico potrebbe essere individuato in quella umana tensione che porta l’uomo (ovvero la sua più verace essenza) a valicare i limiti dei corpi, se non proprio a trascenderli. È una trasfigurazione necessaria quella che induce il poeta a forzare gli argini della lingua fino alla elaborazione di un personale linguaggio, di un codice che suggerisce al lettore possibilità interpretative del reale altrimenti non concepibili.
Leggendo alcuni dei testi più significativi di un altro poeta, mio conterraneo, prematuramente scomparso, Marco Amendolara, ho potuto comprendere (per quello che la mia sensibilità ha assorbito) cosa significa desiderare un amore che si riconosce definitivamente compiuto solo oltre i confini del corpo, e che i corpi costituiscono la più intollerabile resistenza alla comprensione (nel senso della effettiva capacità di capienza) del significato assoluto delle cose del mondo. E la parola, a volte, può sostenerci nella fatica di questo percorso fitto di gioie inaspettate e dolori tremendi. La poesia come “strumento” dato (o donato) all’uomo per esercitare il cuore e la ragione a “connettersi” con il reale.
Esiste una dimensione primitiva che riguarda l’essere umano, una sua primitiva identificazione con ciò che costituisce la natura della sua essenza originale, ed è a questa che bisogna tendere, di questa dimensione occorre fare memoria. E la poesia, che è ri-composizione di quella geometria devastata, è una delle poche strade percorribili in questo momento così poco luminoso.

Cinque poesie scelte da “PIETRA LAVICA”, nino aragno editore, 2016.

*

*

Quello che mi manca
è una larga
comprensione
quello stare
facile
nella dedica del mondo.
Tienimi nel grano
che macina gli abbracci
tienimi nel telo
di placenta delle mani.

Perché siamo nel mistero
nella sua planimetria
perfetta

tu la conosci la grafia di Dio?

È così serio quel tramonto
quando scivola
veloce
dalle braccia del cielo.
È così serio quel pianto
quando l’uomo
spezza
il pane in solitudine.
Vorrei parole
di senso
di cotone
che unisce
con un bacio
lembo con lembo.
Vorrei parole
di girotondo
di tutti giù per terra
di ave Maria
quanto è bello il mondo.

Bisogna uscire
dall’acquario
ditelo ai poeti
(i bambini già lo sanno)
è inutile che batti
e ribatti le pinne
nell’acqua per niente.
Conosci la legge?
Se non canti
non avanzi non vai
da nessuna parte
se non stai
nel rigo accanto
al segno nel gesto
primario di un rapporto.

**
**
**

Questo stare
nel gesto paziente
della maturazione
ci riguarda.
Aspetteremo
come dentro
una silenziosa conversazione.
Aspetteremo
come il fiore nel campo
la mano desiderata
del bambino.

Non puoi dire
che la goccia che squilla
sulla padella di rame
non è un suono
un timido modo
del cantare.

Devi fare
come l’aquila
che sconfigge gli sciami
col suo colpo d’ala.
Devi fare
come il ciliegio
che si compiace
della sua chioma
rossa

devi

devi

devi

ti avevo chiesto un bacio, un qualsiasi
avvertimento
dell’amore
invece mi lasci
come il figlio fermo
col secchiello sul molo e un mare
immenso davanti.

**
**
**

Qual è il nome
della bestia che strappa
mio figlio
dalla mandorla
del sonno?

Prova a tenere nel raggio
della ruota del cocchio
tutta la premura dell’erba
che si inginocchia
è un lavoro inutile
non si può correggere in sottrazione
il maggio del fiorire.

Ogni fiore è nell’ora
del suo gingillo
è l’anello che brilla
sul fuso del dito
del ramo d’albicocco.

Però quando viene l’ora del tronco
avvolto nel panno
asciutto
quando la notte s’infila
la forcina nei capelli
per liberare l’ultima stella
dalla fronte
mio figlio nasconde
lo stelo sotto il cuscino
rovesciando i petali per terra.

Perché l’evento sia lucente
ogni cosa deve essere
lo stelo corrispondente
della rosa.

**
**
**

L’uomo è cieco
ma corre come un pazzo.
L’uomo è cieco
ma sente benissimo
il canto
dell’uccello sul terrazzo.

Allora cavami un occhio
allora cavami l’altro occhio
gettami nel sortilegio
della stanza
gettami nell’elogio
del vecchio albero
dall’altro lato
dell’evento.

Meglio stare
nell’incubo
delle caverne
piuttosto che un amore
che stringe il laccio
attorno al collo.

Ho tolto il braccio
dalla bocca
della tigre
per guardati solo
un’altra volta ancora
avevo gli occhi
ma non vedevo
la tela di ragno
che univa i due lati
del cuscino.

**
**
**

Vorrei beccarti i fianchi
seminarti la gioia
nelle vene, nei tendini.
La felicità è stata
la tua faccia dichiarata
al tempo.

Da qui
da questa solitudine dei corpi
mi manchi.

Potrebbero interessarti