Poetry Vicenza 2016. Incontro con Ishmael Reed: Il grande incantatore

Ishmael Reed

Se è vero il detto che la voce non invecchia (anche se scientificamente l’invecchiamento dipende dalla elasticità delle corde vocali), nel caso del protagonista di oggi la sua voce pare addirittura ringiovanita. A 78 anni suonati Ishmael Reed, scrittore, poeta, saggista, editore, performer e autore televisivo, una delle personalità afroamericane più conosciute e controverse, scandisce i suoi versi con una vitalità, una sonorità di timbro che colpisce, affascina, conquista, seduce. La presentazione è affidata a Giorgio Rimondi, docente e studioso di jazz fiction e cultura afroamericana (a sua volta introdotto da Marco Fazzini, direttore artistico della rassegna Poetry Vicenza 2016), il quale annuncia alla sala affollatissima che a Ishmael Reed è appena stato conferito a Venezia il Premio alla carriera “Alberto Dubito International”, riservato a personalità del mondo artistico che si siano distinte per la capacità di correlare testo a linguaggi musicali (Rimondi spiega l’origine del premio, ricordando la tragica morte avvenuta quattro anni fa a Treviso del giovanissimo poeta e musicista Alberto Dubito Feltrin, la cui famiglia istituì questa onorificenza alla sua memoria). Rimondi continua comunicando l’uscita ufficiale, in settembre, de Il grande incantatore, di cui è egli stesso curatore assieme a Lello Voce. E non dimentichiamo Alessandro Scarsella. Diviso in due parti, il libro prevede saggi che inquadrano la poliedrica e trasgressiva personalità di Reed e liriche con testo originale a fronte, tradotte da svariati poeti italiani, da Wu Ming I a Sara Ventroni, da Marco Fazzini a Sergio Garau. “In questo modo i poeti sono riusciti a mettere da parte il grande ego che spesso li contraddistingue – sottolinea un po’ ironico Rimondi – infatti il testo che tengo in mano è una “pre-pubblicazione”. Nato a Chattanooga, nel Tennessee, Reed è cresciuto a Buffalo, nello Stato di New York, dove ha frequentato l’università, che in seguito gli ha conferito una laurea Honoris Causa nel 1995. Trasferitosi a New York nel 1962 fu co-fondatore con Walter Bowart dell’East Village Other, una famosa pubblicazione underground. È stato anche membro del Umbra Writers Workshop, e sostenitore del Black Arts Movement atto a promuovere un’estetica nera. È stato Visiting Professor presso le Università di Harvard, Yale, Darmouth e Washington. Oggi è Professore Emerito presso la University of California di Berkeley. Ha pubblicato nove romanzi, cinque raccolte di poesie, sei testi teatrali, quattro raccolte di saggi e un libretto. In Italia tuttavia di questa enorme produzione non c’è quasi traccia, nonostante la sua trentennale docenza a Berkeley e i numerosi riconoscimenti internazionali (fra cui il MacArthur Fellowship nel 1998). Ecco dunque il significato anche simbolico del premio veneziano che ha in qualche modo colmato questo paradossale vuoto. Ha inoltre collaborato con musicisti e compositori jazz, suonando egli stesso violino e trombone da dilettante e mettendosi a studiare piano a sessant’anni. I frutti di tali collaborazioni appaiono in tre CD intitolati Conjures, 1, 2, 3: unici ricordi disponibili per il pubblico di Palazzo Leoni Montanari. Accompagnata felicemente dalle musiche del quartetto Vertical (Filippo Rinaldi al basso, Alessandro Lupatin alla batteria, Nicola Tamiozzo alla chitarra, Paolo Bortolaso alle tastiere), l’attrice Marica Rampazzo legge alcuni passi da Mumbo Jumbo:
L’abbiamo decifrato, questo Mumbo Jumbo dei negri. Sapevamo che qualcosa stava Venendo Su Da Sola proprio come il focolaio del 1890. Pensavamo che la zona infetta fosse Place Congo e abbiamo provato a intervenire con i nostri antidoti per spazzar via il contagio; ma poi ha iniziato a giocare a nascondino con noi, un caso in 1 quartiere, uno in un altro. Ha cominciato a farci la cavallina tutt’intorno.
Ma non la puoi mettere sotto 1 di quei microscopi? Rinchiuderla? Non puoi fare una profilassi contro questa cosa maledetta? Guarda che per me si avvicinano le elezioni –
Al diavolo le tue elezioni, amico! Non capisci che se questo Jes Grew diventa un’epidemia significherà la fine della Civiltà Come Noi La Conosciamo?
È così grave?
Sì. Vedi, non è 1 di quei germi che rompono dissanguano succhiano rodono o divorano. Non è qualcosa che siamo in grado di mettere a fuoco o classificare; appena la chiamiamo in 1 modo prende un’altra forma. No, amico. Questa è un’epidemia psichica, non un germe minore come il tifo la febbre gialla o la sifilide. Quelli li teniamo sotto controllo. Questa rientra in qualche antica Teoria Demoniaca della Malattia.
Be’, e il prete?
Ci abbiamo provato ma si è impossessata pure di lui. Strillava e si comportava come una vecchia sgualdrina negra con una grancassa.
E i pazienti, hai mica chiesto a qualcuno di loro come lo hanno saputo?
Sì, a 1, Harry. Quando pensavamo che fosse una cosa fisica gli abbiamo esaminato le urine e l’acqua che beveva per vedere se potevamo trovare qualche germe normale. Gli abbiamo rivolto domande tipo che cosa avesse visto.
E che cosa aveva visto?
Diceva che aveva visto Nkulu Kulu degli Zulu, una locomotiva con un pitone rosso verde e nero attorcigliato sul muso, che correva sui binari svelta come Johnny Canoa.
Bene Clem, e le sue sensazioni? Come si sentiva?
Diceva che si sentiva come le viscere il cuore e i polmoni dell’Africa più interna. Si sentiva come il Kongo, diceva: «La terra della pantera». Diceva che aveva voglia di «scappare dal suo padrone» come è «portato a fare» il Kongo. Diceva che si sentiva di potersi mettere a ballare stretto stretto, lì sui due piedi.
Sì, e il suo udito, Clem. Il suo udito.
Diceva di sentire tibie, scacciapensieri, cornamuse, flauti, corni di conchiglia, tamburi, banjo e kazoo.
Dai continua e poi che ha detto?
Ha cominciato a parlare in svariate lingue. Non ci sono casi isolati in questa epidemia. Non fa differenze di classe razza o coscienza. Si autoriproduce e non si sa mai quando colpirà.
Bene Dottore, hai sentito altre opinioni?
Chi pensi che siano alcuni degli altri casi? 6 sono tra i più noti batteriologi epidemiologi e chimici dell’Università.
Fuori si sente un gran trambusto. Il Sindaco esce di corsa e vede Zuzu invasata schiaffeggiare gli infermieri che cercano di calmarla. All’improvviso la gente sulle barelle salta in piedi e ognuno si esibisce nel proprio numero. Il Sindaco sente quella sgradevole sensazione alla nuca e dopo un po’ anche lui fa qualcosa che assomiglia ai sintomi di Jes Grew, e il Dottore che corre ad aiutarlo comincia a fare scivolate casqué e strisciate fuori della porta fin sulla strada. Le tendine delle finestre si spalancano. Nei palazzi le luci si accendono. E in men che non si dica tutto il quartiere è preso dalle convulsioni per l’ingresso di Jes Grew nel Govi di New Orleans: la fascinosa città, mescolanza di cultura spagnola francese e africana, è impazzita. Al mattino i casi di Jes Grew sono già 10.000. […] Ma non avevano capito che l’epidemia di Jes Grew era diversa da una pestilenza fisica. In realtà era una contropestilenza. Alcune pestilenze consumavano il corpo. Jes Grew invece rinvigoriva l’ospite. Altre pestilenze erano accompagnate dall’aria malsana (la malaria). Le vittime di Jes Grew dicevano che un’aria così pulita non l’avevano mai respirata, che c’era un profumo di rose e altri aromi che prima non avevano mai allettato le loro narici. Alcune pestilenze si sviluppano da animali in decomposizione, Jes Grew invece è elettrico come la vita ed è caratterizzato da esuberanza ed estasi. Terribili pestilenze erano dovute all’ira di Dio; ma Jes Grew è la gioia degli dei”.
Uscito nel 1972, considerato il capolavoro dell’autore, Mumbo Jumbo è un’opera di difficile collocazione in uno specifico genere letterario, che rilegge in chiave “neo-hoodoo” le dinamiche della diaspora. Romanzo brillante ed eccentrico, polifonico ed eclettico, caleidoscopico, selvaggio e spassoso, fornisce una storia alternativa della cultura afroamericana. La storia si svolge ad Harlem negli anni Venti – l’epoca della Black Renaissance – e ha come protagonista un detective animista, Papa LaBas, aiutato nell’indagine da Black Herman, mago e illusionista, alle prese con un’epidemia di Jes Grew, virus diffuso tramite il jazz che spinge i bianchi a ballare fino allo sfinimento. Sullo sfondo, la guerra sporca degli Stati Uniti contro Haiti. L’intera civiltà moderna viene analizzata attraverso un capovolgimento di prospettiva, in cui la storia incrocia l’allucinarsi della verità. Un’ovazione accoglie Reed, naturalmente casual in scarpe da ginnastica, pantaloni bianchi, t-shirt sotto una giacca e la testa infilata in un berretto scuro che lo rende ancora più giovane. “Chi ha bisogno dell’arcangelo Gabriele/ quando abbiamo già Clifford, Clark e Bix/ e puoi aggiungere Thod…“, leggo sullo schermo quasi infantilmente lieta di aver riconosciuto l’arcangelo mio omonimo, “A che servono gli angeli/ quando possiamo avere Dinah, Sar.., ed Ella con il suo scat/… Quando io morirò/ andrò nel J…/ non ho bisogno di incontrare il Nazareno…“. Non mancano letture di versi tratti da Il poeta reazionario: “Duke Ellington avrà l’onore/ di scrivere marcette per il popolo, naturalmente“, da “Follilogia”, da Estate rossa 2015: “Nove santi martiri sono stati uccisi con l’inganno/ da un uomo armato di pistola/ cresciuto e allattato da un manuale di menzogna/ in cui schiavisti ed assassini regnavano supremi“. Anche la figlia di Ishmael, Tennessee Reed, con trasporto legge alcuni versi nella sua lingua: l’emozione e la commozione tra il pubblico è palpabile. “Accompagnare con la musica qualcuno che fa poesia non è facile – dice Rimondi – e i quattro ragazzi lo hanno fatto con perizia e grande sensibilità, per cui li invito a suonare in autonomia dal reading”. La performance – come era prevedibile – ottiene il consenso e il meritato applauso che aumenta quando il grande Reed, tornato in scena, approfittando di un po’ di tempo rimasto a disposizione, ci offre la lettura del testo I am a cowboy in the boat of Ra/ Sono un cowboy nella barca di Ra… Veramente un grande incantatore, veramente un appuntamento imperdibile del quale scriviamo.

Che Oakland sia una città civile

Che Oakland sia una città civile
Che ogni cittadino tratti gli altri
cittadini con bontà e
generosità

Che Oakland sia una città civile
negli affari anche più piccoli
che le auto si fermino non appena
un passante scenda dal marciapiede
Che Oakland sia una città civile

Che i pit-bull senza giunzaglio siano rimossi
dalle strade
che i padroni dei cani puliscano
dopo il passaggio dei loro cani
e che gli sporcaccioni puliscano
le loro immondizie
che gli abitanti di Oakland trattino le strade
come fossero i loro soggiorni
che la gente si trattenga di fare il bastian contrario
quando gli si chiede di abbassare il volume
di quello stereo gigantesco
che lo stress stradale e lo strombazzare sia
rimosso dalla nostra vita pubblica
Che Oakland sia una città civile

(da Let Oakland be a city of civility, traduzione di Marco Fazzini)

Follilologia

Scosso dalla sua pessima immagine pubblica, il lupo
si spinge verso nord, lasciando il caribù
alla volpe,
un Corvo, che gioca nella neve, becca la sua parte
prima che gli avvoltoi dal collo rosso
arrivino per cena alla fine
della lunga catena saprofaga
In questa poesia si parla di un puzzone, anzi
no, si parla di un uomo che anche se non
fa parte della famiglia delle puzzole usa far
l’occhio-tondo come fanno le puzzole
Dopo che mangia, mangiano i suoi amici
Lui è un folle e folli sono i suoi amici
ma talvolta è difficile dire
chi è il folle più folle
se questo folle o i suoi folli amici
Quando ci avranno raggiunti
noi non saremo più lì
Noi i corvi
Nessuno mai vide un corvo morto
sulla strada
Prima morale: Non fate affari
con gente per cui il primo aprile
è una data che conta
useranno il vostro conto in banca
per comprare ottomila tra torte, tuniche,
scarpette da ballo coi campanelli
e un lago ordinato per posta
e piazzato in mezzo al deserto
per le feste in piscina.
Seconda morale: Prima di vedere
un folle negli altri devi far fuori
il folle in te
Un folle si riconosce dalla bocca larga.

(da Foolology, traduzione di Rosaria Lo Russo)

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