Sedimenta e cresce sulla parola ‘Blu della cancellazione’ di Maria Attanasio

copertina blu della cancellazione maria attanasio

Blu della cancellazione è il libro della piena maturità di Maria Attanasio, quello in cui la musica si fa più fonda come il blu di una notte o di un’acqua che inghiotte tutte le cose non necessarie. È un libro in cui il passato è indistinguibile dal presente perché – come sempre in questa scrittrice che dovrebbe, per passione e sapienza narrativa, scalare le classifiche – riesce a sedimentarsi e crescere sulla parola. Così la bambina, la madre, la guerra, la denuncia dello sfruttamento attuale ma eterno, tutto si legge tra le crepe di un corpo-pietra cretto di fiume secco, ricordo raggrumato.
Piovve quel giorno, a diluvio a tempesta.
Ripetiamo questi versi «Piovve quel giorno, a diluvio a tempesta» perché indicano una modalità frequente nel libro: l’uso del passato remoto che rende i fenomeni mitici e le immagini memorabili. […] Il mondo poetico di Maria respira in immagini precise che però si sfaldano sotto gli occhi di chi legge, mentre parlano di lei, della sua vita, si cancellano fino a lasciare grumi e scaglie. Ci sono crepe, trasformazioni, mutazioni fossili, concretizzazioni di memorie arcaiche. Ci sono frammenti di discorsi, vocativi che diventano terze persone. Le interruzioni sono anche interrogazioni che rimandano a quella domanda fondamentale che Hans Gadamer – filosofo vicino a Paul Celan (chiamato direttamente in causa nell’ultima sezione del libro con l’arte di Anselm Kiefer) – condensa nel “chi sei tu chi sono io”, titolo di uno dei testi critici più importanti sul poeta. Lo slittamento dei pronomi, lo smottamento dei nomi, segnalano un elemento sismico all’interno dei periodi. Maria Attanasio suggerisce brandelli di esistenze, mai compiute. Questa scrittrice così capace di tessere trame di romanzi, quando scrive poesia si consegna a quello che la storia non può dire in prosa, lasciando che affiori l’inespresso, il resto, il decomposto […].

(dalla prefazione di Antonella Anedda)

sette poesie scelte da Blu della cancellazione di Maria Attanasio, La Vita Felice, 2016.

da I Gorgo della parola infanzia

8

L’impotenza dell’infanzia,
e senza nomi il mondo – incerto
il bianco della conoscenza, il rosso
che sarà lussuria, violacciocca –
a lame a occhi triangolari
tra le fessure della metamorfosi
s’insinuava l’oscura forma
dell’addolorata: era
lo smarrimento nella stanza al buio
il bacio gelido a mio nonno morto.

 

da II Di dettagli e detriti

5 (Acufeni)

Giallo di canarino soccorri la barrata
tra mulini e ingranaggi – le sequenze
del retablo impallidite l’iride verde
appannata – la dissonanza accende
il vuoto di memoria il martello infuocato
– orto concluso dove muore il tempo –
seduta accanto alla finestra
stringe i braccioli cerca la figlia
in fuga nella città che si risveglia
guardando il volo dell’ultimo nato in gabbia.

 

*

 

9

Dismise ago e filo, prese il boccaglio dell’ossigeno,
in attesa del viaggiatore per l’ultima rata mensile.
Il celeste si staccò dal vestito a fantasia, che si era
cucito a diciott’anni. Lo vide perdersi nel folto,
tra ronde e camicie nere. Cominciò a liquefarsi a
gocciolare.

 

*

 

15

Plurale nudità di seme
si squama resiste alla notte
– lo strappo il battito sordo
nella cavità – luce
morente di concetto
che non si fa parola e cade
scorrendo verso la foce.

 

da III Crepe, mutazioni

… per l’odore di caffè…

… per l’odore di caffè appena sveglia per la fiammella
dell’accendino che accende il giorno e la
mente – bevendo l’incandescenza del paesaggio
sputando il nocciolo di dura consistenza – torna
pienezza vèstiti di rosso in questo nulla che viene
alzati in punta di piedi e guardalo negli occhi…

 

*

 

da Frammenti dell’acqua mutante

… non incrocio di linee
ma angoli ciechi parallele
tra suppellettili e battito di ciglia
immagini difformi frammenti di figure
nel reset conclusivo
forzando tempi migrando
verso sterili costellazioni d’altri…

 

*

 

da Blu della cancellazione – I Del rosso e nero verso

4 (Compleanno)

Come un’anima in pena un osso d’albicocca
in vuota fruttiera tra sacchi d’immondizia
detriti della discarica in cerca di che non sapeva.
Travestita da prete entrò in una chiesa
e disse messa: i santi nelle nicchie
la guardarono incazzati. Gridò scivolò
resistette, spinta infine sul carro merci
tra i rastrellati. Suonavano le sette
all’orologio della stazione – il due febbraio
del Quarantatré – tra sibili e nomi alla ruota.

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