Sette poesie da “Una Venere nel Tevere”

unavenere-dettagliocopertina

“Una Venere nel Tevere” di Giovanna Iorio, CFR, 2013, copertina e disegni di Julia Gromskaya

Le cose, soprattutto le piccole cose, escono dalla terra e dalla memoria, come se fermentassero a causa di un “lievito” (parola che ricorre nelle poesie di Giovanna Iorio) che le nobilita, che ripulisce il fango e lo trasforma in cibo: “stasera intorno a me / crescono le cose / come se il fiume / fosse acqua / mescolata a lievito / la melma diventa / pane e un mondo  / minuscolo non è più  / invisibile” (Lievito). In questo mondo anfibio, dove vivono anche le “rane”, dove lo sporco si esalta in pulito, in questo mondo familiare, dove l’acqua, aggiunta al lievito, fa gonfiare il pane – “Impasto il pane. / Il pane sente tutti i pensieri / è colpa del lievito. Lui sì che / è sensibile, si gonfia / di pena, di gioia, di rabbia.” (Tic Tac Tic Tac) –, in questa mistura di ignobile e nobile sta la forza della vita che si innalza su se stessa: “Questa immersione che sa di sale, di squame, di pelle bagnata, di resti di un mondo anfibio è vivere” (Le rane). Anche Giovanna Iorio, come le sue poesie, sembra immaginarsi come una “donna d’acqua”: “Sono stata una donna d’acqua, le parole lavano l’anima. Acqua ogni suono che pulisce il cuore” (La figlia del re Mida). Nel compiere le semplici opere domestiche di pulizia e di ordine, lo sporco e il disordine sono sempre in agguato, indomiti. Possono rispuntare anche dall’impasto della farina che dà il pane, in quanto anche l’anima, immersa nel corpo, si macchia, “come se la vita fosse una pietanza / un piatto di spaghetti spietato / al sugo che schizza / all’impazzata e sporca la vita e l’anima / del mondo” (Senz’anima). Allo stesso modo, anche il cogliere “l’istante prezioso” senza sprecarlo in granelli di tempo che si disperdono al vento, è altrettanto difficile quanto curare la manutenzione degli affetti: “qualcuno trascorre la vita / a lasciar correre / mi chiedo da chi abbia imparato / quel modo / segreto di liberare al vento / la sabbia della clessidra / e non perdere mai / l’istante prezioso” (L’istante prezioso ). Certo, si vorrebbe di più che una collezione di istanti preziosi ma puntuali, si vorrebbe – ma inutilmente – uno sguardo d’insieme: “a volte mi stanco / delle schegge del mondo / vorrei guardare dall’alto / l’intero disegno / contemplarne il senso” (Il mosaico). Eppure questi piccoli istanti sono preziosi proprio perché ci vengono rubati ad ogni momento, come da piccole formiche che, granello dopo granello (secondo un’immagine contenuta in In-chiostro, Grottaminarda [AV], Delta 3 Edizioni, 2012), ci portano via e sotterrano una montagna, senza che noi ce ne accorgiamo. Giovanna Iorio riesce a far discendere dall’alto e a ‘lievitare’ sapientemente le parole più consuete (non è certo seguace dell’ermetismo), a dare loro pregnanza priva di supponente solennità, ad ambientarle spesso nella dimensione del quotidiano, nella cucina.

(dalla Prefazione di Remo Bodei)

 

 

 
CLOACINA
 
Sono Venere Cloacina
la donna gettata nel fiume Tevere
lo sporco mi  scorre nel cuore
ho dormito in un letto
d’acqua impura
 
ho visto  un  fiume di persone
ho visto scorrere via il tempo
sotto il cielo che si fa nero all’alba
come un lenzuolo
 
emergo  da un’onda
con le pietre nel cuore
gli occhi verdi di alga
la mia lingua pronta
 
a pulire con parole d’amore
le antiche ferite
i vicoli sporchi
i ponti rotti
la cloaca che fluisce
l’anima sporca
del fiume.
 
 
*
 
 
259200 SORRISI
 
la colpa non esiste
e allora non è colpa
di nessuno se muore
un bambino ogni 3 secondi
che ha meno di 5 anni
stiamo tutti sereni
dal momento che
la colpa non esiste
 
e non è colpa
di nessuno se un’ora
fa 1200 bambini
in meno
 
e in un giorno
fa 259200 sorrisi
in meno.

 
*
 
 
IL MOSAICO
 
mi resta soltanto la magia
di minuscole coincidenze
 
frammenti di un mosaico
sul pavimento del tempio
non ne intendo la forma
solo il colore
 
a volte mi stanco
delle schegge del mondo
 
vorrei guardare dall’alto
l’intero disegno
 
contemplarne il senso.
 
 
*
 


IL ROSPO
 
stasera
non vuole saltare
il rospo
non sa dove andare
non vuole lo stagno
 
troppo nero
il ponte la vernice del cielo scorticato
persino il buio si confonde
e torna indietro all’ombra
sul muro una chiazza d’urina
forse un lampione
 
che fatica saltare
sulle pietre
con gli occhi grossi che vedono tutto rotondo
che fatica il mondo
è un sasso tagliente
in un acquitrino di cielo
 
il rospo  salta
si  taglia
muore
 
lascia l’ombra sul sasso
somiglia a un fiore.
 
 
*
 


LA MOGLIE DI GESU’
 
Di me non ha mai parlato nessuno.
Di me non conosce niente nessuno.
Di me che piangevo ai piedi del mio uomo
non sa niente nessuno.
E ora un frammento
mi riporta in vita
i miei occhi neri
i miei figli orfani – non voi, umanità intera!
I miei figli veri.
 
Di me ora scriveranno tutti.
Di me ora piangeranno i lutti.
Di me ora che ho perdonato
riaccenderanno le ferite con la penna.
 
E uccideranno anche me
la moglie di Gesù
con parole appuntite come chiodi
la mia croce in cima al monte
della pagina bianca.
 
E anch’io avrò apostoli fedeli
le mie parole mi aspetteranno ai piedi
del sepolcro.
 
Il lenzuolo
che mi metterete sul viso
l’ho ricamato da sola.
 
 
*
 
 
L’ALLUCE LUMINOSO
 
per te mi taglierei i capelli
la chioma di serpenti neri che si fa onda e va
verso il mare
 
ma non chiedermi di camminare
con i piedi per terra
non darmi la tua scarpina
non chiedermi di tagliare
l’alluce luminoso
 
non mi calzerà
la vedi la mia anima
sanguina già.
 
 
*
 
 
DOPO LA PIOGGIA
 
 
fede non mi tradire
non ho le prove
di questo vivere
 
un respiro sottile
un pensiero nella culla
un dubbio appena nato
 
nella mia borsa si è infilato
un piccolo buco nero
non faccio che frugare
tasche al buio
 
trovare trovare trovare
a volte le parole insistono troppo
battono forte su un vetro
 
sul vuoto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Potrebbero interessarti