Alessandro Papetti
Alessandro Papetti

*

I

Chiama l’altoparlante nomi
di partenze e forse anche di arrivi;
pochi i binari e i treni tutti uguali,
corti e tozzi come bruchi,
poca gente che va o viene;
eppure io penso
alla Stazione Centrale di Milano:
in qualsiasi stagione a qualsiasi ora
del giorno o della notte
persino nei suoi pochi momenti
di nulla di fatto – in mano
un long black bollente
rispedisce al mittente questa strana
nostalgia. Davanti a me piccona
paziente una gang di piccioni
gonfi di freddo e quasi tutti zoppi:
s’avvicinano col piede buono,
l’altro corroso dai loro stessi escrementi
s’amputerà presto.
È una domenica mattina
in pieno inverno in fondo al mondo,
cerco casa.

*

*
II

Il peso di un transito
dipende dal locomotore:
scendo a Pesaro per Urbino.

Si prenda allora uno scalino
per misura di ascensore:
fatico, dubito, insisto.

*

*
III

Non bastano e non durano
incensi, mirre e ori.
Converrà, qui e ora,
ostentare altro alibi:
luce da lungi spesa
e ripartita in lumini.
Traduzione. Tregua.
Tra treni da Udine a Milano
accaso accertamenti.

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