Se fossi una di quelle glamourissime scrittrici soft porn, questo 10 cose da sapere sull’arte contemporanea sarebbe la degna chiusura della trilogia – edita da Newton Compton – cominciata con Keep Calm e impara a capire l’arte nel 2015 e proseguita con I segreti dell’arte moderna e contemporanea l’anno dopo. Non so se qui si possa parlare di happy ending, certamente però, se nella testa dei miei fedeli lettori era rimasto qualche punto interrogativo, qui dovrebbe sciogliersi. Dai sessanta artisti del primo lavoro ai novanta del secondo, qui siamo arrivati a quota trecento, e questo è stato possibile perché, a differenza degli altri due volumi in cui la prosa si incasellava nei paragrafi determinati dalla scelta di una sola opera, qui il discorso procede come una cavalcata, come una vera e propria narrazione. L’idea è stata quella di analizzare questi meravigliosi cent’anni di eterno contemporaneo (dall’orinatoio di Marcel Duchamp, del 2017, al recentissimo gabinetto d’oro di Cattelan, giusto per mettere dei paletti) non secondo criteri cronologici, ma secondo criteri assolutamente emotivi e di affinità elettive. Le “10 cose da sapere”, dunque, sono i dieci stati emotivi che determinano i 10 capitoli in cui è suddiviso il volume. Capitoli nella cui sequenza a volte la narrazione segue la cronologia, ma altre volte la ribalta e la ingarbuglia. Perché alla fine la mia filosofia di base rimane sempre quella: l’arte si coglie prima di tutto con la pancia.

Ecco allora che tra i “sovversivi” troviamo Duchamp ma anche Cattelan; che i grandi della pop art (insieme ai nostri Beecroft e Vezzoli) entrano a far parte dei “radical chic”; mentre Jeff Koon non potrebbe che essere classificato tra i “luxury brand”.

Estratto da “10 cose da sapere sull’arte contemporanea” di Alessandra Redaelli (Newton Compton Editori).

Capitolo X – Quelle che corrono coi lupi

A male artist is a contradiction in terms

Valerie Solanas

Qui bisogna subito sgombrare il campo da un equivoco. Perché tutte le donne artiste corrono coi lupi, anche quelle inserite nelle pagine precedenti. Abbiamo deciso di parlarne nei rispettivi capitoli “di appartenenza” perché la loro poetica era talmente aderente al tema trattato che sarebbe stata una forzatura trovare loro una posizione diversa. Ma la verità è che per essere una donna artista, ora come ai tempi di Artemisia Gentileschi, bisogna avere il coraggio di sparigliare le carte come e più degli uomini, di ribaltare le certezze e farsi beffe delle aspettative e dei luoghi comuni. Bisogna, insomma, entrare in contatto con la propria dimensione selvaggia e poi partire senza più guardarsi indietro.

Quando Chiara Fumai, una voce preziosa mancata prematuramente, leggeva e interpretava i testi di Valerie Solanas – lei, sì, una femminista furiosa: quella che predicava l’eliminazione del maschio e che il 3 giugno del 1968 tentò di eliminare il povero Andy Warhol sparandogli addosso – dietro di lei campeggiava la scritta, tratta dal Manifesto della Solanas, a male artist is a contradiction in terms (un artista maschio è una contraddizione in termini), che è il paradosso del paradosso. Perché se è vero che nella complessità femminile si annida una fortissima propensione al pensiero creativo, la storia ci ha insegnato che molto spesso è stata proprio l’artista donna a essere messa nell’angolo come un’anomalia, una contraddizione in termini, appunto. Raggiunta faticosamente la possibilità di prendere in mano un pennello o uno scalpello, nel passato le donne artiste venivano immediatamente rimesse al loro posto. Il che poteva consistere nel convincerle a dipingere mamme, culle e fiorellini posando di tanto in tanto come modella per un artista uomo, come Berthe Morisot; nel finire in manicomio struggendosi d’amore per un artista che le spremeva al punto da renderle incapaci di trovare una propria strada, come fu per Camille Claudel; oppure – quando andava bene – nel fare una vita dissipata (ma almeno divertente), sparpagliare amanti per la Parigi della bohème e magari partorire un figlio che sarebbe diventato artista, anche se forse l’artista più triste e malinconico di tutti i tempi, dato che si tratta di Utrillo, come accadde a Suzanne Valadon.

E la situazione non migliora molto nel Novecento. Confrontarsi con colleghi che, oltre a sentirsi superiori in quanto uomini sono anche terribilmente narcisi, egocentrici e vampirizzano qualunque donna incontrino sul loro cammino non è per niente facile, per le aspiranti artiste. E va peggio a quelle, tra di loro, che inciampano in mostri (in senso lato) come Picasso, sciupafemmine incallito e distributore compulsivo di cuori infranti, che pare abbia descritto la zuffa tra le sue amanti Marie-Thérèse Walter e Dora Maar – una scena avvenuta proprio davanti alla gigantesca tela di Guernica, allora in corso d’opera – come un momento indimenticabile. Se Marie-Thérèse è una povera ragazza plagiata (e ingravidata) dal maestro in giovane età, Dora è una pittrice e una fotografa di grande talento. Eppure Pablo interpreta quel momento drammatico come uno spettacolino messo su per lui, un po’ come la lotta nel fango tra ragazze, insomma.

Ecco allora che per emergere in questo mondo, farsi ascoltare, restare a galla e magari farsi acquistare anche qualche opera, le ragazze col pennello e con lo scalpello devono correre con i lupi. Possibilmente più veloci di loro.

Naturalmente la loro corsa ha preso modalità diverse nel tempo. Gli anni del femminismo furioso hanno visto in scena autentiche guerriere che hanno ribaltato i ruoli e che spesso – le performer in testa – hanno usato proprio l’arma del sesso, il totem della superiorità maschile, per sancire il loro rifiuto di sottomettersi ai ruoli predefiniti. Poi, nei decenni successivi, i toni si sono tranquillizzati e oggi le artiste definiscono la propria specificità attraverso la ricerca della verità ultima, della sincerità, di un’autenticità del corpo (di cui rivendicano l’unicità) e della mente, dei sentimenti e delle emozioni.

I temi che trattano, dunque, sono molto spesso legati alle relazioni, all’amore, al sesso, alla famiglia, all’identità, all’appartenenza. E qui rintracceremo le nostre parole chiave. Perché oggi, avendo imparato a correre coi lupi, le artiste sono consapevoli che il loro essere femmine non è un handicap a cui porre rimedio, ma un valore prezioso a cui attingere per dare forza e profondità alla loro vena creativa.

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