#1Libroin5W.: Antonio Devicienti, Sentieri. Saggi e racconti sul corpo della scrittura, Fallone Editore.

#1Libroin5W

Chi?
Protagonista assoluta del libro è la scrittura intesa come itinerario attraverso luoghi e libri amati; è per questo che il libro s’intitola “Sentieri” e nel sottotitolo accanto a “saggi” compare anche il termine “racconti”- ho tentato di unire la scrittura saggistica (che amo molto) a quella narrativa perché penso che scrivere di libri significhi sempre raccontarli.

Cosa?
I temi spaziano dalla poesia alle arti figurative, dai luoghi da me più amati a quello reiterato del camminare, dell’andare attraverso spazi reali e immaginari (soprattutto se nati dalla fantasia di poeti e scrittori amati).

Quando?
Dopo aver concordato con Enrica Fallone i temi del libro (le sono immensamente debitore per avermi proposto di lavorare con la massima libertà al libro) ho cominciato a stendere appunti che risultavano troppo eterogenei e frammentari; il momento decisivo per l’avvio concreto (e, direi, “irreversibile”) del libro è stato durante la visita di Palazzo Leopardi a Recanati nel luglio del 2022: è stato lì, poprio nella biblioteca con le finestre aperte sulla piazza, che ho capito con estrema chiarezza quale sarebbe stato sia l’attacco del libro che il modo in cui avrei scritto il resto.

Dove?
Il libro si è sviluppato in momenti non programmati (durante spostamenti in auto o in treno, durante lunghe passeggiate a piedi, durante lavori molto pratici cui mi dedico perché ho imparato quanto essi siano corroboranti per il pensiero); ho sempre con me un quadernetto sul quale prendo rapidi appunti, per cui a casa mi dedicavo poi a stendere le pagine che scaturivano da quegli appunti.

Perché?
Il motivo è semplice: per un amore immane nei confronti della poesia e delle arti, perché scrivere mi rende felice e mi fa sentire libero. Perché mi piace condividere autori e testi amati.

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Inizi da qui, da Palazzo Leopardi a Recanati, quest’itinerario della scrittura che concepisce sé stessa quale andare del pensiero e dell’immaginazione. L’attraversamento delle sale della biblioteca (le finestre spalancate sul Borgo), l’uscita nel giardino interno del Palazzo, movimento del corpo del visitatore mentre si prova a immaginare il poeta nei luoghi della sua infanzia e giovinezza, è moto assai frenetico della mente che raccoglie sensazioni, suggestioni, intuizioni.
Andare attraverso le sale della biblioteca, camminare è atto fisico che soltanto anticipa (o ricorda) quello che accade quando si legge, quando si scrive: si apre un libro o un quaderno e si comincia ad andare.
E già aprire è atto gioioso, in primo luogo materiale perché si apre il libro agendo con le due mani (oppure si apre il file) con un movimento per lo più inavvertito delle dita; non si trascurino questi atti all’apparenza semplici, ché sono essi a permettere di entrare e di cominciare l’esplorazione. Aprire è por fine a un’attesa (a un desiderio), incanalare il desiderio (l’attesa) lungo sentieri che lentamente si rendono visibili, ma è sempre tutto il corpo ad accompagnare la lettura (è il corpomente ad attraversare le sale della biblioteca), anche quando esso sembra eclissarsi cedendo il campo alla sola mente che legge – ma il libro e la lettura sono inscindibili dal mondo che li contiene e li alimenta.
Guardando dalle finestre della biblioteca aperte sulla piazza dalla forma allungata può venire in mente un frammento dello Zibaldone (primo ottobre 1820): «Una casa pensile in aria sospesa con funi a una stella» – forse lo stesso Palazzo Leopardi, sicuramente una delle molte case marchigiane adagiate tra i campi arati e coltivati o sui pendii collinari potrebbe davvero stare sospesa nell’aria e oscillare piano sostenuta dalle funi che la legano a una stella: un ragazzo desideroso dell’altrove, intento a scrivere accanto alla finestra, esperisce da lassù la felice leggerezza dell’immaginare.
Ed ecco che tutto sembra diventare evidente, svelarsi per repentina intuizione: fu per pura forza d’immaginazione che Giacomo Leopardi, impenitente vagabondo dei libri, inventava i mondi che ci persuadono e commuovono. Egli studiava con forsennata voracità, dirigeva il suo sguardo su ogni mattone, decorazione dipinto, creatura vegetale del Palazzo e del giardino, anche in quei molti e lunghi e fondi suoi giorni di melancolia – così si faceva viaggio la scrittura, essa che desiderava il viaggio.
Leggo i luoghi e leggo i cammini, intesso corrispondenze e cedo a suggestioni, ad accensioni della mente, a immaginazioni. Ci sono numerosi libri qui accanto sul tavolo di lavoro, il quaderno per gli appunti. Andare sarà ora camminare sulle mani che sfogliano le pagine, un occhio su ogni polpastrello delle dita. (pp. 13 e 14)

Sono molte le torri che svettano nei continenti della letteratura (ma dovrei più appropriatamente dire della scrittura) e tra di esse c’è, ovviamente, quella di Monsieur de Montaigne e ora è come se, prima di una nuova partenza, m’intrattenessi un poco in quella torre per il necessario viatico, è come se ogni giorno provassi a vergare sulle travi della mia torre interiore nuovi adagi incontrati nell’oceano immane delle scritture. Le torri sparse nel gran continente della scrittura non isolano e non separano, ma attuano il proprio paradosso che le invera e dà loro senso: sono luoghi del custodire e del preservare che diventano ponti e porti, diventano porosi recinti che abbracciano il mondo e che s’aprono ad altri mondi.
Essayer: saggiare: ma anche tentare di, provare a: senz’alcun dubbio esplorare, sottoporre a ripetute prove, studiare. Come la biblioteca di Palazzo Leopardi a Recanati, anche la torre di Montaigne in Dordogna apre, dall’apparente reclusione, i sentieri del pensare e dell’immaginare e condividerò ora un piatto di legumi aromatizzati con erbe e un parco bicchiere di vino col Signore de Montaigne prima di rimettermi di nuovo in cammino. La luce nella torre favorisce la lettura. La conversazione dissolve clessidre e orologi. (p. 55)

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