#1Libroin5W.: Elvira Seminara, “I segreti del giovedì sera”, Einaudi

#1Libroin5W

 

CHI?
Amici sulla soglia. Del terzo tempo, della scelta estrema, dell’autunno. E in mezzo io, a “registrare” in presa diretta le loro voci, le loro scelte inconfessabili. Elvira/ Elvis è un io narrante anomalo, si sa poco di lei, serve piuttosto come sostanza reagente, per far parlare e spogliare gli altri. Che cambieranno senza accorsene la propria vita, con naturalezza, anzi svagatezza, come si cambia la suoneria dell’Iphone.

COME?
La storia si svolge come la vita, a incastri, sovrapposizioni, inciampi e sorprese. Mai lineare, prevedibile. Trasformativa e mescolata.

DOVE?
Si svolge tutto in una città immaginaria chiamata Catania, inesistente nelle mappe e inventata dagli scrittori. (Ma così viva e presente nei secoli, in letteratura e cinema, da sembrare ormai verosimile).

QUANDO?
Dal 25 settembre a metà dicembre, un paio di anni fa. Tre mesi e tre stagioni dentro, secondo il mito che soffia su questo luogo immaginario: estate autunno e inverno.

PERCHÈ?
Una storia nasce perché i suoi personaggi chiedono una vita, anche sbagliata, esagerata o elementare. Anche solo di tre mesi. Purché una vita da raccontare.

 

Estratti da “I segreti del giovedì sera” di Elvira Seminara, pubblicato da Einaudi, 2020.

capitolo 3 (A)MARE

Se vuoi chiudere una storia d’amore e ti mancano le
parole. O le conosci ma non le sai pronunciare.
O ti manca il coraggio e la decisione. Se ti rifiuti
comunque di usare WhatsApp perché è stata una similstoria
d’amore, noi catanesi lo sappiamo: il mare è un ottimo
sceneggiatore.
Fa tutto lui, l’importante è beccare la stagione adatta.
Il varco tra settembre e ottobre è il migliore.
I francesi hanno le foglie morte e tanti parchi con alberi
spogli, hanno Parigi con perle di pioggia e chilometri
di cieli funebri, hanno Brel e Montand. Per loro è facile
chiudere storie da niente e trasformarle in storie d’amore.
La Germania ha la sua neve dolente, la Spagna ha vortici
allegri di nostalgia, ma per noi siciliani è diverso. Noi non
abbiamo parchi alberati che piangono foglie, e comunque
abbondano, in quei pochi, piante carnose e sempreverdi,
e fiori in tutte le stagioni. Il sole pieno non si addice alle
rotture.
È vero, col disastro climatico piove ormai spesso anche
sull’isola, e la pioggia agevola le rotture, ma siamo così occupati
a fronteggiare gli intasamenti e l’esplosione dei tombini
che non è facile approfittare dell’occasione.
Per fortuna c’è il mare, soprattutto mentre lo smontano.
A fine settembre, quando la Scogliera si svuota e gli
operai smantellano i lidi, e buttano giù le cabine, e le passerelle
di legno, asse per asse, e il cielo è incerto e incupito,
hai la scena perfetta per ogni addio. Oltre il mare livido
d’autunno, abbandonato e solo, c’è infatti anche il senso
inesorabile della fine, di tutte le fini, però cadenzato da
certi sani rumori, il rimbombo argentino del ferro, lo schiodamento
delle assi di legno – il tutto mosso con le mani,
montato sulle spalle, scaricato con le braccia. Quel senso
di vita artigianale, quell’adesione franca all’esistenza è un
bel conforto. Se pioviggina è perfetto, puoi persino anticipare
la crisi e troncare un legame a scopo preventivo. Se
un operaio canta Dalla, mentre impila le sdraio, c’è pure
la colonna sonora.
Io le riconosco, sempre, anche da lontano le coppie ferme
alla ringhiera in attesa della parola Fine sullo schermo
– solitamente nell’ora del demone meridiano, fatale per
i siciliani. Una stagione è chiusa, un’altra comincia, fa il
mare e ripete lui. Tutto scorre, ripete lei. Il mare parla al
posto tuo.
Se non è abbastanza o non ne sei convinta, ti basta poi
sporgerti dentro il lido sventrato, tra i cumuli delle cose
dimenticate in cabina, pinne, maschere, cappelli sfondati,
zoccoli rotti, flaconi ammaccati, teli scoloriti, rane giganti
di plastica, scatole di biscotti, persino ombrelli e gialli
svedesi, mentre i gabbiani urlanti si avventano sui resti
emersi di cibo – una piccola Morte a Venezia riallestita da
Fellini – e non solo non avrai più dubbi, ma sarà l’altro a
invocare una fine pronta e duratura mentre gli dici questa
cosa con Fellini.
E poi quell’odore strano, di muffa e iodio, di legno bagnato.
Di ferro bruciato, di acidi e solventi, che stordisce.
Ogni settembre a smontare la stessa storia per ricominciarla
a giugno, stesse assi, stesse manovre al contrario.
Cabine in piedi, ombrelloni aperti, pali di ferro, scalette,
ponti. Insomma nulla davvero finisce, e ti senti rinfrancato
– un’altra storia preme ad ogni fine.
Anche se vuoi iniziarne una, naturalmente, il mare è
un ottimo dialoghista, specialmente in primavera, quando
nel sole luccica e sembra glitterato, e dondola cantando.
fra i cumuli
Molto meno in estate, per ovvi motivi. A luglio e agosto
nella piazza maestosa e semplice di Aci Castello vanno gli
sposini a farsi le foto, il mare è infinito ma la piazza rassicurante,
non c’è di meglio.
Poi per gli scatti panoramici, e forse in pegno della fortuna,
si inerpicano in modo sacrificale sulla scalinata del
castello, strofinando lo strascico sui gradini, le bocche ad
ogni clic, il trucco che scola, mentre gli invitati, stremati
al solo guardarli, alle prese coi tacchi, le cravatte strette
e i vestiti scomodi, li aspettano compassionevoli ai piedi
della scala.
I bambini si siedono sui gradini e sporcano il
vestito nuovo, i genitori urlano, sudano, un cappello vola
– il mare ridacchiando si allontana.

 

Elvira Seminara

Elvira Seminara – Scrittrice e giornalista, vive tra Aci castello e Roma. Fra i suoi romanzi L’indecenza (Mondadori 2008); I racconti del parrucchiere (Gaffi 2009); Scusate la polvere (nottetempo 2011); La penultima fine del mondo (nottetempo 2011); Atlante degli abiti smessi (Einaudi 2015) – i primi due messi in scena dal teatro Stabile di Catania. I Segreti del giovedì sera (Einaudi 2020) è il suo ultimo romanzo. Cura officine di storytelling in varie città. Suoi testi sono tradotti in diversi paesi.

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