#1Libroin5W.: Giorgio Leonardi, “Maria Malibran. Vita straordinaria di una diva”, Le Lettere.

Chi?

Questo libro racconta la storia della breve vita di Maria Malibran, straordinaria diva del teatro ottocentesco, morta a soli 28 anni, peraltro in circostanze che suscitano dubbi e perplessità. Il suo nome smosse passioni ed entusiasmi incredibili, ovunque andasse catalizzava folle osannanti (dentro e fuori i teatri), suscitando persino scene di isteria collettiva. Se oggi, abituati ai fans delle grandi popstar, queste situazioni ci risultano familiari, in quel tempo si trattò di un fenomeno assolutamente inedito. Gli impresari stesero tappeti rossi ai suoi piedi e le offrirono ingaggi mai visti prima, gli incassi delle serate in cui lei era presente salirono alle stelle. Ma chi era davvero la Malibran? Questo libro lo racconta senza celebrazioni, mettendo anzi in evidenza una personalità controversa ma sicuramente fuori dall’ordinario. Donna coraggiosa, esibizionista, brillante, emancipata e volitiva. Ma anche generosa: celebri furono i suoi gesti di beneficenza verso persone meno fortunate di lei o in nome dell’arte, uno dei quali portò a intitolarle il celebre teatro veneziano che ora reca il suo nome.

Nata a Parigi da una famiglia spagnola, fu una figlia d’arte che visse un’infanzia difficile, sotto la sferza di un padre crudele, poi contrasse un matrimonio infelice e iniziò una carriera sorprendente durata pochi ma intensissimi anni. Fin da giovanissima venne acclamata come una diva, una diva che però, oltre alle tappe del successo, avrebbe bruciato anche la propria esistenza. Potremmo dire che, alla fine, trovò la morte per eccesso di vita.

Naturalmente questa è una biografia, e non può che avere una sola grande protagonista, ma attorno a lei ruotano svariati personaggi: illustri colleghi e colleghe, grandi musicisti come Rossini e Bellini, donne di mondo e uomini di cultura. Molti di loro hanno lasciato testimonianze estasiate sulla cantante. Non sbagliano coloro che vedono nella Malibran l’antesignana di un’altra grande Maria della lirica: la Callas, che sarebbe venuta oltre un secolo dopo.

Cosa?

Questo libro è un viaggio nel territorio della musica nell’epoca d’oro del “bel canto”, accessibile però a tutti i lettori, anche ai non specialisti e ai non appassionati, in cui si racconta, come un romanzo, un mondo affascinante. E tuttavia si tratta di una storia vera, perché la realtà spesso è più avvincente di una trama di fantasia. Sullo sfondo della vicenda c’è anche la grande storia, con i suoi eventi e i suoi protagonisti: le invasioni napoleoniche, i moti libertari, l’agitarsi di coscienze politiche in un’Italia ancora frazionata in molti stati. La Malibran attraversa geograficamente la Penisola, dalle Alpi al golfo di Napoli, raccoglie tutte le suggestioni dei luoghi, vive sulla propria pelle le tensioni politiche, la bellezza della natura, s’imbatte nell’epidemia di colera che flagellava mezza Europa. Ciascuna di queste componenti viene comunque filtrata nel libro attraverso la sensibilità della protagonista, che scopriamo essere molto più moderna di quanto il dato cronologico possa suggerire.

Quando?

L’idea di scrivere qualcosa sulla Malibran maturò in me molti anni fa, per l’esattezza nel primo anno di studi universitari, quando mi capitò tra le mani un libro insolito di uno dei miei scrittori preferiti: Edgar Allan Poe. Era la raccolta di Marginalia, osservazioni e annotazioni su argomenti disparati. Una nota mi colpì particolarmente perché parlava di una donna morta giovanissima, una cantante che con la sua voce aveva meravigliato il mondo intero. Quella cantante era la Malibran, e quel giorno decisi che avrei scritto, prima o poi, qualcosa su di lei. Ovviamente i casi della vita mi hanno portato a tenere chiuso nel cassetto questo progetto per molto tempo, dovendo dedicarmi a molte altre cose, fin quasi a dimenticarmene. Poi la Malibran è tornata a reclamare la mia attenzione quando, casualmente, qualche anno fa, in un mercatino di vecchi libri, trovai un volume degli anni ’30 dedicato a lei. Era forse un segno del destino. Lo acquistai, lo lessi d’un fiato, ricordandomi del mio antico proposito. Decisi allora di mettermi a raccogliere il materiale in circolazione, le testimonianze e le documentazioni per consumare finalmente il mio incontro con questa donna eccezionale che aveva atteso troppo a lungo. Dopo una genesi articolata e anche un po’ accidentata, il testo ha infine preso forma e sostanza.

Dove?

Il concetto di “dove” per un autore spesso coincide con la destinazione finale del proprio lavoro, cioè il catalogo editoriale che lo accoglie in seno e gli dà quella consistenza materica-cartacea che è un punto di arrivo e di partenza al tempo stesso. Sono stato molto contento che il mio testo abbia riscosso l’interesse di un editore come Le Lettere, marchio storico e prestigioso, che per tradizione acquisisce proposte su cui opera un severo vaglio qualitativo. Le fasi della lavorazione sono state contrassegnate da un’estrema cordialità e dall’indiscussa professionalità dei miei referenti editoriali. È essenziale sapere che il frutto di mesi o anni di studi sia in mani competenti. Ed è motivo di soddisfazione sapere che il mio Maria Malibran. Vita straordinaria di una diva sia stato infine collocato in una collana storica e che, all’interno di essa, il mio nome figuri in compagnia di autori come Muriel Spark, Annie Besant, Henri Troyat, Silvio Raffo o Julio Cortázar, per citarne alcuni.

Perché?

Al di là della misteriosa fascinazione che subii nel leggere la nota di Poe sulla Malibran, i motivi per cui ho voluto raccontare la sua storia sono essenzialmente due.

Il primo è che è semplicemente una bella storia, dai contorni romantici (nel senso storico del termine) e meritava di essere raccontata. E lo merita anche Maria Malibran, che purtroppo subisce l’ingiuria di essere vissuta in un periodo (dal 1808 al 1836) in cui non era ancora iniziata quella che Walter Benjamin definì “l’epoca della riproducibilità tecnica”. Il fatto che della Malibran non abbiamo fotografie (ma solo ritratti artistici), il fatto che non abbiamo registrazioni della sua voce prodigiosa o filmati che ce la mostrino in movimento, ha contribuito a far scivolare il suo nome e la sua grande figura in una sorta di oblio mediatico, da cui era giusto farla uscire per consentirne la fruizione nella nostra società di massa.

Il secondo motivo è che questa vicenda non era ancora stata raccontata così come la racconto io. In Italia hanno visto la luce tipografica solo due biografie sulla Malibran. La prima, quella del 1935 rinvenuta nel mercatino di libri usati, è una mera raccolta aneddotica, alquanto disorganica e frammentaria (e non sempre molto affidabile). La seconda è un’opera pregevole di Remo Giazotto, pubblicata alla metà degli anni ’80. Un bel tomo ponderoso di quasi 600 pagine che è stata la mia bussola… ma Giazotto era un musicologo molto rigoroso, un tecnico, e la sua biografia sulla Malibran, documentatissima, finiva per essere però accessibile prevalentemente a un pubblico di specialisti e una lettura ostica per i più. Mancava quindi il giusto connubio. Mancava una biografia che ripercorresse la vicenda esistenziale della Malibran, basandosi su documentazioni precise, ma che non si perdesse in tecnicismi, che sfruttasse anche le fonti più informali, adottasse un taglio narrativo e fosse, quindi, in grado di arrivare al grande pubblico. La mia speranza è che, d’ora in poi, il nome di Maria Malibran diventi popolare proprio come quello della sua erede più diretta, la Callas.

Giorgio Leonardi, “Maria Malibran. Vita straordinaria di una diva”, Le Lettere, 2022.

 

Scelti per voi

 

Dal capitolo V, Una giovane stella illumina Parigi:

  Coloro che in quegli anni poterono frequentare Maria videro in lei un esemplare purissimo di donna latina, esuberante, debordante, quasi mossa da un istinto primigenio. Una natura che sembrava adattarsi perfettamente alla passione per le cavalcature: «io monto a cavallo come Napoleone», scrisse una volta al marito senza nascondere il suo entusiasmo. Saliva in groppa al suo destriero e cacciava via ogni pensiero, galoppando per ore in completa solitudine e immersa nella natura più selvaggia, rincasando infine ebbra di tanta libertà. Maria era una cavallerizza entusiasta e impavida. Il coraggio che mostrava nella vita lo aveva trasposto, fin da subito, anche in questa sua passione. La prima volta che montò a cavallo, come ci racconta Legouvé, fu nel corso di una lezione di equitazione alla quale lui stesso fu presente. A un certo punto uno degli accompagnatori a cavallo saltò d’un balzo un fossato.

   «Voglio farlo anch’io!», disse subito la Malibran afferrando le redini del suo animale.

   «Ma voi non sapete ancora saltare», le fu detto saggiamente.

   «Insegnatemelo, allora!».

   «Il vostro cavallo si pianterà davanti all’ostacolo».

   «Ma il vostro l’ha superato agevolmente, e se l’avete fatto voi posso farlo anch’io», sentenziò determinata.

   Di fronte a quell’ostinazione, i presenti provarono a darle qualche indicazione, e lei, dopo averli ascoltati con attenzione, prese la rincorsa, si lanciò veloce al galoppo e saltò il fossato tra il sollievo di tutti. Compiuta l’impresa, si voltò vittoriosa e soddisfatta verso l’intera compagnia a cavallo, i cui volti erano invece impalliditi dallo spavento.

   […] La Malibran fu sempre connotata da un particolare aspetto caratteriale che non sfuggiva ai suoi conoscenti: la sua natura era sicuramente vivace, inquieta ed eccentrica. Aveva uno spiccato gusto per l’ironia e lo scherzo, con il suo carattere giocoso sapeva trascinare in un turbine di allegria un’intera compagnia di amici, come quando si camuffava per buffoneggiare in mezzo ai suoi compagni di baldoria… ma era anche vittima di frequenti crisi di melanconia, in cui si isolava e diveniva improvvisamente taciturna. Talvolta questi marcati sbalzi umorali sfociavano, nelle loro fasi regressive, quasi in una sorta di catatonia, da cui poi si ridestava, come se nulla fosse accaduto, tornando alle sue facezie. Carattere complesso, ma di sicuro era una donna dotata di un grande temperamento e di un carisma innegabile.

Dal capitolo XI, Milano: una liberale nel tempio della Scala:

  Il 27 settembre, in un teatro stracolmo di una folla eccitata, andò nuovamente in scena la Norma. Maria era risoluta a riaffermare la sua impronta sull’opera che Bellini aveva composto per la Pasta. Evidentemente non le erano andate giù alcune perplessità con cui la stampa milanese aveva accolto la sua interpretazione nella precedente occasione. Sfortunatamente però il suo ostinato male alla faringe tornava a farsi serio, impedendole di cantare al meglio delle sue possibilità. La critica se ne accorse, non la perdonò e, nelle cronache della serata, riportò impietosa un calo nella sua voce. Malgrado ciò non poté bocciare del tutto la sua interpretazione. Due giorni dopo si replicava. La gola le dava ancora notevoli problemi, ma ecco venir fuori la collaudata forza di volontà della cantante e il suo proverbiale dominio dei propri mezzi. Anche quando la voce sembrava inabissarsi in improvvisi cedimenti, lei riusciva a giocare sui contrasti timbrici, attraverso degli artifici canori e delle enfatizzazioni espressive che rendevano quella pagina musicale persino più suggestiva ed efficace. Quindi, malgrado il suo handicap, Maria sul palco nei panni della sacerdotessa druidica rasentò la perfezione, mettendo tutti a tacere. Il pubblico già la adorava, alla critica non restò che registrare semplicemente il tripudio che questi le aveva tributato.

Dal capitolo XIII, Passaggio in laguna:

  Per il suo arrivo il governatore della città aveva approntato un’accoglienza ufficiale, di quelle riservate addirittura alle autorità di Stato. E poiché la notizia della sua venuta era stata annunciata pubblicamente, al suono delle fanfare che accompagnavano l’ingresso della sua gondola si era radunata una folla incredibile. Scesa sulla terraferma, si creò subito un tumultuoso codazzo di ammiratori che la seguì vociando e giubilando mentre attraversava piazza San Marco. L’eccitazione della folla fu tale che Maria, per quanto abituata agli entusiasmi, ne fu persino intimorita, e cercò riparo nella Basilica, da cui uscì facendosi largo nella calca per raggiungere a fatica il suo alloggio, presso il rinascimentale e nobilissimo palazzo Barbarigo, sul Canal Grande.

[…] In effetti ovunque andasse la gente la additava gridando: «È la Malibran!», salutandola con entusiasmo o lanciandole fiori e baci al suo passaggio, mentre una scorta spontanea di altre gondole si formava, unendosi alla sua a mo’ di corteo trionfale lungo i canali. Sulle sponde altri gioiosi assembramenti di pedoni la seguivano attendendone lo sbarco. Scene pittoresche che possiamo solo immaginare, consapevoli che lo sforzo di fantasia non renderà comunque l’idea di quella che fu la realtà.

Dal capitolo XIV, Una stagione funesta:

   Con il repertorio che aveva già acquisito, tuttavia, poteva andare sul sicuro. In una delle sue ultime rappresentazioni della Norma si temette persino per la stabilità di alcune strutture del teatro, tale era il tumulto provocato dagli spettatori che urlavano e battevano ritmicamente i piedi in segno di entusiastica approvazione. A seguito del prolungarsi di queste manifestazioni, dopo il primo atto dell’opera, fu richiesto addirittura l’intervento del capo della polizia che dovette intimare al pubblico di frenare l’entusiasmo perché, in caso contrario, non potendo garantire la solidità della sala e l’incolumità dei presenti, sarebbe stato necessario farla sgomberare con la forza.

   Alla fine di marzo del 1836, completata la stagione scaligera, Maria Malibran lascia Milano. E ancora una volta il suo congedo dalla città che l’aveva ospitata venne sancito e onorato dal consenso popolare, tra fiori e acclamazioni. Si dice che il giorno della partenza non si trovasse più un fiore in tutta la città (né nei giardini di tutto il circondario) perché i suoi abitanti li avevano presi tutti per omaggiare la cantante. E anche i milanesi, come altri prima di loro, nel salutare la partenza della Malibran, non sapevano che non era affatto un arrivederci. Era un addio.

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