#1Libroin5W
Chi?
L’amore in un tango è un romanzo organizzato in una struttura perfetta, nella forma – 4 stagioni, 4 capitoli per ognuna – e nelle dinamiche dei sentimenti. Siamo a Buenos Aires alla fine degli anni Trenta. Il libro racconta l’amore impossibile tra Costantino il fileteador – uomo di pennello, posseduto dalla folle madre Victorina – e Mirna, donna del compadre Calmiro, uomo di coltello, figlia di un gaucho con la chitarra accolto in un conventillo con la famiglia dopo aver lasciato la Pampa. È la storia di un triangolo di passione e sangue, vissuto nella planimetria di una città dolente danzata nel tango, evocata in trasparenza dal bandoneón di Astor Piazzolla e dagli strumenti del suo Quintetto, scandita nella regolarità delle Cuatro Estaciones Porteñas, colonna sonora di azioni, desideri, fughe, appuntamenti, addii, apparizioni di figure come Perro l’arrotino, Ernesto l’acquaiolo, Xosé il galiziano, Dieghito, niño vivo, con il proprio pallone in movimento da un barrio all’altro della città del gioco del mondo, di Borges, Gardel, Evita Perón.
Cosa?
In questo libro che respira – tale il ventaglio del bandoneon – scorre il tempo della terra: primavera, estate, autunno, inverno, a segnare il ciclo della natura, l’avvicendarsi di stagioni che nell’uomo tracciano la parabola della vita. È un romanzo di passioni possenti e desideri ardenti. Ho inventato una lingua sonora che potesse scolpire l’impalpabile, presentare personaggi poetici e al contempo spietati, tracciare esistenze con pochi tratti affilati e loquaci. Creare per ciascuno di costoro gesti indelebili, densi di vita e sentimenti. Scrivere un romanzo d’amore è sicuramente la prova più difficile per uno scrittore, il rischio è cadere nel già detto o narrato da altri. Questo libro per forma, musica e stile è sicuramente unico.
Dove?
Ho iniziato a scrivere questa storia nel 2019 ascoltando Oblivion di Astor Piazzolla. Poi come molti miei libri è rimasta anni in custodia, in attesa di un editore. È stata la musica a fare nascere i personaggi di Mirna e Costatino nel ritmo del tango.
Il romanzo non a caso si apre con una Evocazione:
Ecco Mirna e Costantino, immobili nella posa, perduti in un comune sguardo, asciugati nel volto da un patire taciuto. Le lunghe ciglia selvatiche di lei, basse sullo spacco a mostrare appena la coscia, il segno deciso sul mento di lui, poco sotto il labbro, il primo di altre brevi rughe lasciate da una passione dolente e trattenuta.
Nessuna danza ancora tra loro. Aspettano con tensione, in bilico sulle corde di un violino in procinto d’esaurirsi per trovare l’appiglio ritmico del bandoneón pronto a riprendere il proprio respiro accogliendo il pizzicato del contrabbasso.
Si raggiungono su un glissando di corde. Le braccia di Costantino avvolgono Mirna e viceversa mantenendo alta la posa dei gomiti e del mento come vuole la postura del tango. La donna si affida all’uomo stabilendo l’intesa di un possesso sugellato dalla condotta alterna delle gambe, cede all’invito della seduzione che fa dei loro corpi un solo corpo cadenzato nell’arrestarsi e riprendere la ronda, marcata dal fiato delle narici aperte e vicinissime come le labbra, soggette al divieto di non toccarsi mai.
In seguito ho disegnato una personale planimetria di Buenos Aires. Una sorta di scacchiera sulla quale fare muovere i due amanti in fuga e gli altri personaggi del romanzo. Tra questi ho voluto inserire anche Dieghito, un bambino povero con funzione di messaggero d’amore che ricorda Maradona.
Il vicolo si snodava nel disordine di finestre, porte di case malchiuse su fondamenta di superficie. Il pallone scivolava in discesa, appena ovale, cucito in modo maldestro accostando toppe di pelle di mucca prese tra gli scarti del matadero. Rotolò da una parte e sviò dall’altra, seguendo lo sterrato, uno dei tanti, ritagliato tra i bassifondi di Buenos Aires, tra le baracche dei poveri, ciascuna con il proprio tetto di lamiera rovente in estate, umido senza requie in inverno. Erano le villas miserias, denominazione che si sommava agli ossimori di questa città, ville dei poveri, che nulla avevano delle case eleganti se non il nome, pronunciato nella beffa di un sogno irraggiungibile. Il pallone scappava tra la polvere, il tanfo di liquame delle fogne che offendeva ogni lontana fragranza di primavera. Parrebbe impossibile fermarlo data l’inclinazione del terreno, ma Dieghito potrebbe riuscirci perché nato con le gambe veloci nella corsa. Sa già dove andare, saltare tra i muri, atterrare nel punto in cui il pallone rallenterà. Lo raggiunge in un attimo, lo incatena a volo tra i piedi. Basta un colpo di tacco che non sbaglia mai, ogni giorno quando scende di corsa tra le baracche per riprendere quella palla, allenandosi da solo alla prima luce dell’alba fino al tramonto del sole.
Perché leggerlo?
Bella domanda. Oggi i veri lettori sono pochissimi. La maggior parte delle persone non legge affatto o se lo fa segue consigli commerciali proposti da librai guidati dalla moda, premi televisivi e giri d’amicizie di varia natura. La letteratura, nel senso più autentico d’invenzione, stile, talento, interessa poco. Mancano gli strumenti culturali, una pratica nel leggere e leggere che affina il gusto e le scelte. Questa è una società in cui tutti ambiscono fare gli scrittori, sulla rete imperversano video da discoteca che mostrano tutto dei libri fuorché scrittura e contenuto. Essere autori per mestiere e impegno di vita comporta tanto altro. Magari consigliare al popolo dei social e affini di non leggere affatto questo libro. Se poi qualcuno fosse interessato, ascolti la musica di Piazzolla, le sue struggenti Stagioni porteñe. Mirna e Costantino appariranno ancora per amarsi.