#1Libroin5W.: Mario Falcone, “La stella spezzata”, Kalòs.

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Chi?

Roma 1938
Gioele Anticoli e Marco Cortini sono amici per la pelle. Hanno entrambi dodici anni, i loro padri sono amici fin dagli anni bui della Prima Guerra Mondiale, le loro famiglie si frequentano. Gli Anticoli sono ebrei del Ghetto mentre i Cortini abitano a Trastevere proprio al di là dei ponti Cestio e Fabricio separati dall’Isola Tiberina.
Gioele ha una sorella Magda, dieci anni, innamorata di Marco e adeguatamente ripagata nell’innocente e puro sentimento che quell’età riesce ad esprimere.
Intanto, sul paese incombono le leggi razziali.
Gioele e Magda vengono cacciati da scuola. Il negozio di famiglia chiuso. Davide Anticoli si inventa un’altra professione pur di sfamare la famiglia. I Cortini non fanno mancare il loro aiuto agli amici. Scoppia la guerra ma Marco, Gioele e Magda l’affrontano con le uniche armi che hanno a loro disposizione e cioè: l’amicizia e l’amore. Loro malgrado saranno costretti a crescere in fretta e soprattutto Gioele e Magda insieme alla loro famiglia e all’intera comunità ebraica subiranno la persecuzione nazista che avrà il suo drammatico epilogo con la “razzia” del 16 ottobre del 1943 quando, verranno deportati ad Auschwitz-Birkenau. Marco resterà solo ad affrontare altri due anni di guerra e di lutti, ma il legame con Gioele e Magda non si spezzerà mai.

“La stella spezzata” è una storia d’amicizia, d’amore, di resilienza e di come dei poco più che bambini riescano a resistere alla tragedia che incombe sul mondo intero.

Cosa?

Il romanzo oltre ad essere un inno all’amicizia e all’amore è smaccatamente antimilitarista; usando il meccanismo della “Storia vista dal basso” mostra le ripercussioni e i ricaschi emotivi che le grandi tragedie hanno sulle persone normali specie se bambini o ragazzi costringendoli ad accelerare per sopravvivere i loro processi di crescita. Inoltre, ancora una volta, torna sulla persecuzione del popolo ebraico ad opera dei nazisti e del loro folle piano di annientamento dello stesso.

Dove?

L’idea del romanzo nasce al ristorante Yotvata situato al Ghetto ebraico di Roma, uno dei posti dove si può assaporare la vera cucina kosher.
Un paio di anni fa ero a pranzo con la mia amica e collega, la nota scrittrice Tea Ranno. Mentre ci deliziavamo con le specialità della casa, raccontavo a Tea la storia di un film sulla razzia del ghetto che avrei dovuto fare anni prima ma che poi per motivi produttivi – costi – venne accantonato. Tea, colpita dalla storia che originariamente non prevedeva la presenza dei ragazzi, mi invitò a riprendere in mano il progetto e a non lasciarlo nel cassetto. Accettai il suo invito ma, aggiunsi, che l’avrei riconsiderato solo con un nuovo punto di vista e cioè quello dei ragazzi. Infatti, il romanzo è nato come un libro dedicato ai ragazzi delle scuole medie e del biennio delle superiori, anche se, in realtà, per i temi trattati, si è poi rivelato come si dice in gergo un “crossover” adatto cioè a tutti.

Quando?

Anche se avevo molto materiale a disposizione, per inventare la nuova griglia narrativa e la struttura della storia, gli intrecci, i conflitti e tutto ciò che si trova dentro un romanzo che si rispetti – non ultima un’accuratissima ricerca storica e una serie di citazioni letterarie e cinematografiche – ho impiegato quasi due anni. Poi il romanzo è passato nelle mani delle editor della casa editrice insieme alle quali abbiamo sfornato la versione definitiva. Il romanzo ha il privilegio di essere un capo-collana. Infatti, l’editore, pur di pubblicarlo ha dato vita a una nuova collana dal titolo “Oltre lo Stretto”, dal momento che la storia non è ambientata in Sicilia, bensì a Roma.

Perché?

Non era nelle mie intenzioni scrivere l’ennesimo romanzo sulla Shoah, anche se parlare della tragedia del popolo ebraico, proprio per non dimenticare e tenere sempre viva la memoria specie per le nuove generazioni, non è mai troppo. Non era nelle mie intenzioni perché altri l’hanno fatto prima e di certo meglio di come lo avrei fatto io. Sull’argomento oltre a una vasta letteratura c’è tutta una cinematografia di riferimento che mi avrebbe impedito di aggiungere qualcosa in più e di nuovo che non fosse stato già scritto o visto attraverso uno schermo cinematografico. Questa semplicissima constatazione mi ha convinto che la chiave giusta fosse quella dei sentimenti che rappresentano l’unico propellente per osservare con la giusta prospettiva anche le tragedie più immani come quella della Seconda Guerra Mondiale e dello sterminio del Popolo Ebraico.

 

scelti per voi

I tre svoltarono a destra su via Arenula quando, percorsi
pochi metri, si fermarono di colpo.
Si guardarono smarriti. Gioele, le gambe che gli tremavano,
avanzò incerto tra la gente che stazionava di
fronte alle vetrine del negozio di famiglia. Magda aveva
perso tutta la sua allegria.
Marco allungò un braccio e le prese la mano. Insieme
seguirono Gioele, che cercava a forza di farsi spazio tra
la folla, e guadagnarono la prima fila.
Davide e Rebecca Anticoli stavano discutendo con
dei funzionari di polizia in borghese, accompagnati da
un paio di agenti in divisa.
«Mi dispiace, signor Anticoli, ma questi sono gli ordini.
Su, non fate storie, firmate e facciamola finita».
«Per voi è facile, ma questo negozio è la nostra vita,
se ce lo chiudete come vivremo?».
Il poliziotto allargò le braccia e gli porse il documento
da firmare.
Davide lo lesse e avrebbe voluto urlare, protestare,
mostrare a tutti le ferite riportate nel corso della prima
guerra mondiale in difesa dell’Italia, ma poi ci rinunciò
convinto che sarebbe stato tutto inutile.
Sorrise amaro: «Non solo mi confiscate il negozio,
ma volete anche che io ci metta la mia firma. È come
dire a un condannato a morte di autorizzare il boia a
ucciderlo».
«Vi capisco, signor Anticoli, avete tutte le ragioni, ma
io devo procedere» rispose il funzionario di polizia e
schioccando le dita si rivolse a un uomo che indossava
un grembiule blu, in mano un’asta munita di gancio.
Quello si fece avanti e, in un secondo, con un fragore
che zittì d’imperio i commenti dei presenti, eseguì il comando
ricevuto.
Quando le tre saracinesche del negozio di Tessuti e
Corredi Anticoli toccarono terra per sempre, l’uomo con
il grembiule blu si fece porgere da un giovane assistente
un barattolo di vernice e con un pennello vi scrisse
sopra: “Negozio ebreo”.
Le leggi razziali continuavano a colpirli.
Lo sgomento e la rabbia di Marco erano nulla rispetto
alla costernazione e al pianto di Rebecca, Gioele e
Magda. Davide Anticoli, dal canto suo, continuava a passarsi
la mano sul viso, invano consolato da amici e conoscenti.
Molti erano negozianti e sapevano di essere il
prossimo obiettivo.
Non appena i funzionari di polizia e gli agenti andarono
via, anche la ressa di curiosi si disperse e ognuno
tornò alle proprie attività. Gli abitanti del Ghetto sciamarono
verso il reticolo di vie che costituiva la loro piccola
patria.
Rimasto solo con la sua famiglia davanti alle saracinesche
abbassate del negozio, Davide sentì una mano
sulla sua.
Era Gioele.
«Perché ci hanno fatto questo, papà?».
«Mussolini vuole dimostrare a Hitler che anche lui sa
odiare il popolo ebreo. È politica, Gioele, solo sporca politica…
Stavolta la fanno sulla nostra pelle».
«Ma noi non abbiamo fatto niente a nessuno» protestò
Gioele.
«Come vedi non è stato sufficiente» commentò l’uomo.

Rebecca e Magda si avvicinarono e insieme si strinsero
in un abbraccio osservando attoniti il loro mondo
sgretolarsi pezzo dopo pezzo.
Marco non resse a tutto quello strazio: attraversò di
corsa ponte Garibaldi, raggiunse piazza Gioacchino
Belli e si lasciò cadere su una panchina, nascondendo il
volto tra le mani. Accadevano cose davvero orribili e lui
non poteva sopportarle

***

I gesti furono lenti e misurati. Marco ne colse tutta la
solennità e l’importanza e non osò aprire bocca.
Quando Gioele gli affidò la sua collanina d’oro con la
stella di Davide, il sole stava già tramontando sulla città
eterna.
«Ho consegnato tutto l’altro oro, tutti i regali ricevuti
da quando sono nato, ma questa no. Questa non deve
cadere nelle mani dei tedeschi. Qualsiasi cosa mi succeda
voglio che la tenga tu…».
«La custodirò come se fosse mia».
«Lo so, me la ridarai alla fine della guerra, sempre se
ci rivedremo».
«Ma che dici?».
«Per noi si mette male».
«Non capisco, allora perché state pagando?», Marco
era confuso.
«Mio zio Yossi ieri è venuto a casa con un amico, dicono
che non è finita, secondo loro i tedeschi non si accontenteranno
dell’oro».
«E che altro vogliono?».
«Non lo sanno, ma sono convinti che abbiano in
mente altre brutte cose contro di noi. L’amico di zio
Yossi ha detto a mio padre che chi può dovrebbe lasciare
il Ghetto prima possibile».

***

Cara Magda,
oggi ti ho vista in mezzo alla folla che salutava l’ingresso
dei soldati americani venuti a liberarci.
Ci siamo guardati e mi hai anche sorriso. Poi, quando
stavo per raggiungerti, sei sparita.
Dimmi che eri tu. Io lo so che eri tu. Lo so perché non
passa minuto, ora o giorno senza che il tuo viso non occupi
i miei pensieri.
Se solo sapessi dove sei, verrei da te di corsa, asciugherei
le tue lacrime e prenderei su di me tutta la tua sofferenza.
Ti ricordi i progetti che abbiamo insieme, vero?
Ti ricordi che un giorno ci sposeremo?
Ti prego, non sparire, appari tutte le volte che vorrai e
che potrai, sorridimi come hai fatto stamattina, solo così,
solo il ricordo di te mi permette di andare avanti.
Ti amo.
Tuo Marco

ph di Giuseppe Contarini

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