#1Libroin5W
CHI
Alle spalle c’è il soggetto narrante che rievoca una vicenda d’amore, autentico eppure spezzato, di cent’anni fa. I personaggi principali sono due, una giovane donna che a Milano incontra un giovane venuto da Catania per studiare e poi viene assorbito dalla guerra. Al ritorno è un altro uomo. Entrambi moriranno precocemente, dopo vicende che li avevano ben presto, troppo presto separati.
COSA
La vitalità dell’amore delicato e semplice, il caso e la storia che deviano esistenze altrimenti quasi sicuramente votate a un destino comune.
QUANDO
È una vicenda che mi è sempre stata a cuore, già presente in miei testi precedenti, sia in versi che in prosa, e che sentivo mio dovere raccontare più compiutamente.
DOVE
È nata nella mia testa, con l’aiuto di ricerche su documenti e con la presenza decisiva di due città, Milano e Catania, soprattutto al tempo della “belle époque”.
PERCHÉ
Per fedeltà a me stesso e a una storia che sono venuto chiarendomi o reinventandomi nel corso di decenni.
In attesa
Seduto a un tavolino d’osteria, teneva gli occhi puntati sulla strada. Sapeva che sarebbe passata di lì per sgattaiolare verso casa. Avrebbe fatto insieme a lei quei quattro passi. Teneva pronta la moneta vicino al suo mezzo bicchiere. Erano più o meno le sei, sarebbe spuntata da un momento all’altro. Agnese abitava al pianterreno, mentre Pino era a pensione dalla vedova di un medico che viveva con la sorella al primo piano. Venuto da Catania per studiare al Politecnico, era ben visto e ben trattato nel quartiere, nonostante il suo pur controllato accento del Sud, proprio perché figlio di una ricca famiglia che poteva permettersi di mantenerlo agli studi lontano da casa. E poi era sempre ben vestito, brillante, spendaccione. Con Agnese si incontravano veloci, si salutavano appena, ma a lui piaceva quella tipetta mora, agile e con lui sempre silenziosa. In attesa Seduto a un tavolino d’osteria, teneva gli occhi puntati
sulla strada. Sapeva che sarebbe passata di lì per sgattaiolare verso casa. Avrebbe fatto insieme a lei quei quattro passi. Teneva pronta la moneta vicino al suo mezzo bicchiere. Erano più o meno le sei, sarebbe spuntata da un momento all’altro. Agnese abitava al pianterreno, mentre Pino era a pensione dalla vedova di un medico che viveva con la sorella al primo piano. Venuto da Catania per studiare al Politecnico, era ben visto e ben trattato nel quartiere, nonostante il suo pur controllato accento del Sud, proprio perché figlio di una ricca famiglia che poteva permettersi di mantenerlo agli studi lontano da casa. E poi era sempre ben vestito, brillante, spendaccione. Con Agnese si incontravano veloci, si salutavano appena, ma a lui piaceva quella tipetta mora, agile e con lui sempre silenziosa.
*
Esattamente cento anni dopo
Ho qui davanti a me qualche foto del Giuseppino, di quando era giovane e ben lontano dall’immaginare il suo futuro. In una, sorridente, con la madre, riesco quasi a specchiarmi. Gli rassomiglio, infatti, o forse è solo una mia suggestione, una fantasia. In altre appare più composto, accanto alle sorelle e a un fratello più giovane, che ha un’aria da attore del cinema di una Hollywood ancora da venire. Il babbo è ovviamente austero, il volto liscio e, chissà come, senza i baffi, che a quel tempo portavano tutti.
Penso a via Cesare Correnti, al primo alloggio di Pino, proprio di fronte alla casa dove da poco una lapide ricorda che lì era vissuto Giuseppe Verdi da giovane, mentre poco più oltre un’altra lapide ricorda Edoardo Ferravilla, l’attore scoperto da Cletto Arrighi, l’attore che creò il personaggio del Tecoppa: due figure diversissime di due diverse generazioni e amatissime dal pubblico dell’Ottocento. E Ferravilla era ancora al mondo quando il Pino arrivò a Milano.
Seduto nella sala dell’archivio storico del Politecnico di Milano, alla Bovisa, sto sfogliando un pesantissimo registro dove si possono leggere tutti i dati relativi alla (modesta) carriera studentesca di Pino, iscritto a ingegneria e, come quasi tutti, non milanese, proveniente da altrove. I suoi compagni, in quegli anni prima della Grande Guerra, erano comunque pochi e tutti, regolarmente, figli di possidenti o industriali. Ho con me anche la foto che il ragazzo, già in divisa militare, aveva dedicato ad Agnese, con la data 22 febbraio 1916. E mi viene un sorriso di incredulità quando mi accorgo, leggendo la data sul giornale, che, mentre mi sto perdendo in quel registro, è il giorno 22 febbraio 2016. Da quella dedica, dunque, sono passati esattamente cento anni!
Una coincidenza alla quale non avevo certo pensato.
in copertina Maurizio Cucchi nella foto di Dino Ignani.