#1Libroin5W.: “Nel silenzio di Margherita”, Pinella Gambino, Il Convivio.

#1Libroin5W

 

Chi?
Nel mio romanzo ”Nel silenzio di Margherita” s’incrociano, ad un certo punto della vita, due destini: quello di Giulia, giovane trentenne con un’esistenza tranquilla e un futuro già per molti versi pianificato e quello di Margherita, sua zia, deceduta quasi vent’anni prima ma “viva” tra le pagine del suo diario, che Giulia ritrova quasi per caso in una vecchia cassapanca.
Sullo sfondo, in una misteriosa e altalenante presenza/assenza, due eccentrici e anziani personaggi, Casimiro e Ursula, a complicare certi accadimenti ed a spingere la vicenda, con i colori e le parole spesso indecifrabili di un passato che ritorna, nel bene e nel male.

Cosa?
Nel diario, che Giulia legge a piccoli sorsi, la segreta confessione della zia Margherita, che s’innamora di un sacerdote. Attraverso la passione che trabocca dalle parole su quelle pagine, Giulia entra profondamente in crisi: ha mai provato un amore tanto profondo e un sentimento così incontrollabile? È giusto accontentarsi di una storia che non è mai stata grande, solo perché ormai si è giunti alle porte del matrimonio? Giulia si tormenta, e ogni pagina di quel diario di pelle viola, conservato da un ventennio tra la biancheria della nonna, diventa pulsante di vita vissuta e brucia tra le sue mani.
Così arriva Giulio, a farle traballare ogni certezza e a modificare il suo sentire.

Quando?
L’dea di far nascere un amore tra una donna e un prete, situazione in fondo possibile, forse ha a che vedere con il ricordo di mio padre, che da giovane studiava in seminario per diventare appunto un sacerdote. L’incontro con mia madre lo dissuase da quella scelta, facendogli preferire il sentimento terreno. Questo probabilmente l’input iniziale, la molla che ha dato il via alla creazione di una storia concreta e a tratti corale, dove i sentimenti spiazzano le consapevolezze e il mistero ne abbraccia i limiti.

Dove?
Si svolge tra le stradine di Ortigia, nella bellezza della città di Siracusa, dove ogni angolo conserva la meraviglia della città greca e il mare si mischia con i colori del cielo.
Nei giorni nostri e nel quotidiano incedere, inoltre, la storia è densa di un sentire che esce fuori dal reale, per dare spazio a quel tanto di misterioso e di segreto che vibra nell’anima e non permette di fuggire via. L’amore, la sorpresa, la scoperta…e poi un amuleto, un gatto e una vecchia minacciosa.
Insomma, una ridda di emozioni da scoprire e da respirare, anche perché, per dirla con una frase di Umberto Eco, nel suo capolavoro “Il nome della rosa”:

Quanto sarebbe quieta la vita senza l’amore…Tanto sicura, tanto calma…Tanto noiosa.
Per scrivere tutto il romanzo ho impiegato un anno e mezzo circa, con le dovute soste e i tempi per rivedere il tutto. Credo di aver fatto un lavoro interessante, saltando dall’intrigo dell’arcano all’ardore dei sentimenti. Saranno ovviamente i lettori a darmene o meno ragione.

Perché?
Il titolo l’ho scelto dopo i primi due capitoli e il nome Margherita è stato abbastanza casuale. Questo è il mio terzo romanzo e, a parte il fatto che scrivere è una passione inarrestabile, sono veramente soddisfatta delle prime recensioni, assolutamente gratificanti per me.
Ho nominato più volte i versi di Emily Dickinson, poetessa a me molto cara, che trovo in perfetta armonia con alcuni tratti del mio romanzo. Spesso succede, a noi scrittori, di immergerci talmente dentro le pagine che scriviamo da non capire se i personaggi sono frutto della nostra fantasia, oppure, come sosteneva Pirandello, prendono quasi il potere di una vita propria, talvolta divergendo da quello che all’inizio era la nostra intenzione. A me è successo e succede davvero…e la cosa mi diverte e, qualche volta mi spaventa. Ma la differenza la fa comunque la fine del romanzo. È lì che il lettore può sentirsi appagato se con un certo entusiasmo può esclamare: “Che storia!”

scelti per voi

( 1)
Erano trascorsi diciotto anni da quando la zia se n’era andata, ma tutto in quell’ambiente parlava di lei, viva. Ogni oggetto, ogni suo libro, e tutte le cose che le appartenevano avevano conservato una sorta di energia che a volte mi faceva anche un po’ paura.
Era con molta probabilità la sua vitalità che si era impressa sulle sue cose e che gli anni trascorsi non avevano avuto il coraggio di debellare.
Può darsi che fosse solo frutto della mia immaginazione, ma quando salivo lì sopra era come se un mondo messo a tacere riprendesse forma.
Chissà, magari era anche per questa mia sensibilità che era toccato a me rinvenire le sue memorie.
Scesi giù, dopo aver dato un ultimo sguardo a una sua foto che la ritraeva sulla spiaggia, e sulle scale riflettei che era bella in maniera travolgente, con un’avvenenza che “colpiva”.
Che non si fosse mai sposata non mi era mai parso tanto strano come in quel momento. Avrei scoperto tra i suoi scritti anche la motivazione a rimanere zitella.

(2)
Aprii la porta ed entrai in punta di piedi, per non farmi sentire dalla vicina. Mi irritava la sua indiscrezione e, appena preso il diario dalla cassapanca, mi avviai verso l’uscita.
Ero già davanti al portone quando mi giunse un rumore sordo.
A quel punto avevo solo due possibilità: andare via e far finta di non aver sentito nulla o andare a vedere da dove veniva quel rumore. Tornai indietro e aprii la vetrata che dava nel giardino, da dove mi era sembrato che fosse giunto il tonfo. Sembrava tutto tranquillo e stavo per richiudere quando mi accorsi che un minuto ramo dell’albero di nespolo, l’unico che c’era in quel piccolo giardino, era spezzato e per terra.
Mi avvicinai e accanto al tronco vidi, spappolata sul terreno, una grossa arancia. Era fradicia e maleodorante.
Probabilmente era stata lanciata da qualcuno, oltre i muri che ci separavano dalle case accanto e il suo botto era stato ciò che avevo udito.
Opera di qualche ragazzino in vena di scherzi idioti, oppure cosa?
Non volendo restare lì a rimuginare sull’accaduto, che mi sembrava poco importante, pensai che la cosa più logica fosse non pensarci più. Ma mentre aprivo la porta per andarmene, un pianto sommesso mi arrivò dalla parete che ci separava dalla vicina.
Decisi di non farmi coinvolgere dalla curiosità e mi richiusi il portoncino alle spalle. Quel posto si stava colorando troppo di mistero e io adoravo la luce e la chiarezza.
Alzai lo sguardo in alto e mi riappropriai della luminosità del giorno, allontanando ogni altra considerazione.
Mi avviai verso l’hotel dove lavoravo per mettere sottochiave nel mio cassetto il diario di zia. L’avrei riaperto quella sera, in buona pace.

(3)
Il mantello liscio di un gatto nero si stagliò improvvisamente davanti a me.
Gli pendeva dal collo un laccio rosso, che stonava col giallo luccicante dei suoi occhi.
Non ero superstiziosa, ma mi venne istintivo spostarmi per non passargli davanti, visto che lui mi guardava con la fissità che solitamente hanno i felini. Lo vidi girarsi e infilarsi dentro un cancello semiaperto.
Dietro, seminascosto dall’inferriata, mi parve di scorgere la sagoma del signor Casimiro, il simpatico vecchietto che ogni tanto veniva a trovarmi in hotel. Feci per salutarlo, ma lui sparì, esattamente come il nero animale.
La cosa mi sconcertò e avvertii un fastidio alla gola, come una sorta di ansietà che mi guastò un po’ il senso di libertà di quella passeggiata. Mi ero messa d’accordo con Leonardo per pranzare con lui e mi avviai verso il ristorante, visto che era già ora.
Quando lo abbracciai mi ritornò in mente il sogno.
Lui era tranquillo e sorridente come sempre, mentre la mia testa ripercorreva le assurdità di quell’incubo. Mentre pranzavamo glielo raccontai.
«Che illogicità! Ma in fondo i sogni sono fatti di irrazionali nessi, anche se non capisco come mai è venuto fuori quel Giulio. Non fa certo parte della tua quotidianità…»
Me lo disse con gli occhi leggermente strizzati, come a voler chiedere se era così, che Giulio e io non avevamo alcun tipo di rapporto. Mi imbarazzò non poco il suo sguardo e forse era il momento giusto per raccontargli quei banali episodi accaduti senza il mio consenso. Ma la solita vocina scaltra mi segnalò il pericolo che avrei corso, mettendolo in allarme senza una vera ragione.
Quindi tacqui e avvalorai la sua tesi dei sogni senza nesso alcuno.
Gli stavo mentendo comunque, ed era la prima volta che accadeva.

La sera, risalita in camera per dormire, prima di chiudere le imposte, mi accorsi della luminosità spettrale della luna. Mi misi a letto, cercando di smorzare ogni pensiero sulla giornata trascorsa, ma i miei neuroni si collegavano tra loro come comari in chiacchiera, impedendomi di abbandonarmi al sonno. Così mi alzai e aprii la finestra per respirare l’aria fredda della notte, mentre la luna continuava a biancheggiare sui tetti.
Lo vidi subito.
Era Giulio, sotto casa mia e dentro la sua macchina. Sembrò percepire che mi ero affacciata e con la mano mi mandò un bacio, facendo spallucce come a dire che non sapeva nemmeno perché era lì.
Non so spiegare esattamente cosa mi spinse a indossare un maglione sopra il pigiama e a scendere sotto. I miei dormivano serenamente; sentii il russare pacato di mio padre e mi accinsi ad aprire il portoncino di casa. Giulio era sceso dalla macchina e mi catturò in un abbraccio quasi violento, prima che riuscissi a parlare.

Potrebbero interessarti