#1Libroin5W.: Valentina Mattia, “Complici senza destino”, golem edizioni.

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CHI?

Molto tempo prima che scrivessi il romanzo ho sentito raccontare una storia che mi ha incuriosito. È nata così lʼidea su Amhir e Nunziatina, due ragazzi normalissimi che si conoscono in una delle prime chat ideate per i cellulari. A separarli, oltre al mar Mediterraneo, contribuisce lʼeducazione impartita dai genitori e il credo religioso: lui è tunisino, lei siciliana. Nonostante la distanza fisica, i due decidono comunque di incontrarsi e di vedersi finalmente di persona. Da quel momento non intendono più ritornare sui loro passi. Lʼincontro de visu suggella quel rapporto che è andato avanti attraverso una fitta corrispondenza virtuale, formata da frasi scritte e primi adesivi emoticon. I due ragazzi iniziano così a frequentarsi come due normali fidanzati, preoccupando non poco i rispettivi genitori che si aspettavano dalla vita un futuro diverso per i propri figli. Antonio e Giovanna – genitori di Nunziatina – rimangono diffidenti nei confronti di Amhir anche dopo averlo conosciuto; Yasaar e Jasmeen non credono ai loro occhi quando Amhir confida loro di non voler unirsi a Jamel, la sua “promessa sposa”, come impone la tradizione. Oltre al malcontento dei rispettivi genitori, ci si metterà pure Vincenzo a creare scompiglio nella coppia, e tornerà alla carica per corteggiare Nunziatina.

COSA?

Quando ho ideato la trama mi è venuto automatico pensare che non sarebbe stata una storia facile da raccontare. I temi trattati – differenze culturali e di religione tra Amhir e Nunziatina – me lo hanno ricordato spesso, durante la stesura del romanzo. Che fare, dunque? Non avevo alternative. Se volevo andare avanti, dovevo capire prima di tutto chi era veramente Amhir. Così ho iniziato a interessarmi alle notizie sulla Tunisia, ho scoperto usi e costumi che non conoscevo. Solo in questo modo ho potuto creare il personaggio che più si addiceva allʼidea che avevo in mente. Così ho lasciato che fosse Amhir a delineare queste differenze con Nunziatina, differenze che si comprenderanno meglio con la lettura del romanzo. Altro tema delicato e sempre attuale è quello della separazione tra marito e moglie e tra genitori e figli. In questʼultimo caso, ho attinto dalle esperienze che si sono incrociate al mio vissuto e che mi hanno permesso di raccontarle con scioltezza. Nunziatina è cresciuta con lʼidea della famiglia unita e felice. Ritrovarsi di colpo nel pieno di una crisi matrimoniale la sorprende e la spaventa. Non è più sicura di niente, neanche di ciò che prova Amhir nei suoi confronti. Ha come lʼimpressione che qualcosa o qualcuno stia minacciando il rapporto che ha costruito con suo marito; anche Amhir è cambiato, nel frattempo. Zahira, Nadia e Giusi – le loro tre figlie – se ne accorgono troppo tardi. Un legame importante si spezza, soltanto una di loro riuscirà a trovare la forza per ricucirlo.

QUANDO?

Il progetto iniziale è nato in Sicilia, al termine di un pranzo estivo. Lʼidea era di descrivere un amore complicato e di inserire anche un fatto realmente accaduto, il resto si è costruito a poco a poco, anche grazie ai preziosi consigli di un amico scrittore che reputo un vero “maestro” della scrittura. Lʼidea poi si è trasformata in una trama e in alcuni personaggi ai quali mi sono anche affezionata (sono un concentrato di varie personalità che ho conosciuto). Una volta ottenuti tutti gli elementi utili alla stesura del romanzo, ho allineato i vari tasselli in ordine cronologico, in modo che tutto filasse alla perfezione. Mancava un titolo, però. Sono stata con la “testa tra le nuvole” per giorni alla ricerca del titolo più adatto e quando lʼho trovato mi sono liberata come di un peso. Finalmente, avrei potuto fare un altro passo avanti. Soltanto dopo aver letto e riletto la storia, correggendo i refusi, ho deciso di mettere la parola fine e di proporla allʼeditore.

DOVE?

Tra Sicilia e Tunisia, e non è un caso. Come ho già detto, mi affascinava l᾽idea raccontare la storia d᾽amore tra due giovani appartenenti a due diverse aree geografiche. L᾽attaccamento alla terra natia (la Sicilia), poi, ha fatto il resto. È più forte di me, non riesco a non raccontare la “sicilianità” che sopravvive dentro di me, nonostante i lunghi anni trascorsi lontani dalla Trinacria. Nel 2005 mi trovavo in vacanza in Tunisia. Lì − affascinata dagli ornati delle ceramiche del posto, dalle stoffe variopinte, dalle trame dei tappeti, dagli odori pungenti delle spezie − ho ritrovato il fil rouge tra le due culture. Con queste premesse, la vicenda sentimentale tra Amhir e Nunziatina ha trovato compiuta espressione nella mia narrazione. Entrambi i personaggi hanno una precisa identità che potrà condizionare decisioni importanti e perfino i loro destini.

PERCHÉ?

Scrivere, per me, è una necessità. Non potrei più farne a meno. Quando ho cominciato a mettere in piedi la storia non mi sono posta un tempo preciso, una scadenza. Ero già appagata all᾽idea di dare vita ai personaggi, di farli conoscere e interagire tra di loro anzi, quei personaggi cominciavano a riempire e a scandire le mie giornate. Questa “allegra compagnia” mi ha seguito nel periodo di stesura del romanzo e mi ha fornito una chiara visione dell᾽opera letteraria. La storia d᾽amore tra Amhir e Nunziarina, sebbene sia complicata, ha bisogno di essere condivisa e approvata. I due innamorati fanno di tutto per ottenere l᾽approvazione dei rispettivi genitori, e in parte ci riescono. Eppure Giovanna, la mamma di Nunziatina, non è del tutto convinta di questa unione della figlia con un musulmano, e con il suo modo di fare spesso teatrale fa intendere a quali difficoltà devono andare incontro lei e Antonio pur di accontentare la figlia. Come madre sono certa che mi cadrebbe il mondo addosso, faticherei a trovare un valido motivo per approvare una scelta del genere. Le vicende famigliari hanno sempre attirato il mio interesse. Sarà perché il tema della famiglia ha per me un forte ascendente, sarà perché essa è il luogo ideale dove si declinano sentimenti, sensazioni, paure, attese, sogni, tensioni, fratture, drammi. Il racconto è scandito da episodi simili alle improvvise tempeste di sabbia del deserto tunisino o all’impetuoso magma dell’Etna.

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Dal capitolo 1

Loro

Hanno le mani occupate, il fiato corto.

Sono in quattro. Lui, Hamza, Fadi e Anas.

Lui è l’unico sudato.

In piedi, Hamza gli ordina di sbrigarsi e, per essere più chiaro, rotea gli occhi verso gli attrezzi da lavoro.

C’è fermento nell’aria, come per l’anno precedente.

Lui fa un salto nel tempo e ripesca dalla memoria i due giorni solenni della festa di qualche anno addietro. Sì, festa è la parola che si addice meglio al progetto che hanno in mente.

Fadi non riesce a fermare le gambe.

Lui ha provato a dirgli di stare calmo, di non sfregare in quel modo le punte metalliche delle scarpe, ma non è servito.

Ha fretta, Fadi? O ha paura?

Lui, intanto, continua a sudare. Si passa un braccio sulla fronte. Non ha avuto palpebre così pesanti neanche quando ha dovuto rimuovere erbacce per due giorni di fila.

Di punto in bianco, lui allunga le braccia e afferra Fadi per le spalle, facendolo vacillare sulle punte. I suoi gesti sono precisi e calcolati. Non vuole farlo smettere di sfregare le scarpe, ci ha rinunciato, ma soltanto allontanare l’esplosivo dal raggio di sole che, ormai basso, filtra tra le grate metalliche della stamberga.

Gli altri approvano torcendo la testa come gufi. Sono piegati in avanti sui fusti cilindrici mezzi arrugginiti, stanno prelevando con cautela gli ultimi mucchietti di polvere bianca che stazionano sul barile più grosso.

Hamza avvicina il palmo a coppa alle narici già dilatate. Chiude gli occhi e annusa più volte. Rivoli incompiuti di sudore gli striano lo zigomo destro. Sulle spalle ha due piccole blatte, immobili. Poi, come risvegliato dal peggiore degli incubi, sgrana gli occhi e alza il mento. Espira piano, piega lento le ginocchia e affonda sul giaciglio.

Lui, intanto, si occupa del sacco con i chiodi. Uno starnuto secco gli frusta il corpo mentre si china. Tira su col naso e le sue pupille si dilatano sulla bocca del sacco, poi immerge quasi la testa sull’ammasso di ferraglia. Non ha mai visto tanti chiodi tutti insieme. Ce ne sono a migliaia: piccoli, grandi, lisci, ritorti, dentellati, elicoidali. Ne estrare qualcuno a caso. Le sue dita impugnano le tacce di mordenza, tastano il grosso gambo, la parte filettata; premono contro la punta, allentano la presa quando si sporcano del suo sangue. Le minuscole lacrime rosse che gli punteggiano la pelle come angiomi gli strappano un ghigno.

Anche per Anas dev’essere lo stesso, perché annuisce soddisfatto, mentre spinge la lingua nell’angolo destro delle labbra nello sforzo di avvitare il coperchio di uno dei fusti.

Lui guarda l’orologio si raddrizza. Prende alcune viti, le fa precipitare in una busta. Poco dopo, sorride a tutta bocca ed esibisce l’ordigno appena fabbricato agli altri.

**

Dal capitolo 11

Emozioni per due

 Il petto di Nunziatina è sul punto di scoppiare: va su e va giù come se stesse percorrendo in biblicletta i monti Erei.

Fuori dalla macchina, il poliziotto ha una pistola in mano.

Gli occhi di Amhir puntano a destra e a sinistra, come il tergicristallo che ha azionato per sbaglio l’agente prima di uscire dall’abitacolo.

Nunziatina alza le braccia, lo ha visto fare nei film polizieschi. Rimane immobile, come una guardia di Buckingham Palace, a fissare i personaggi con turbanti orientali, baffi e lingua in fuori dei mascheroni barocchi nel balcone del palazzo davanti a lei. Un crampo allo stomaco la obblica immediatamente a piegare la testa e a strizzare gli occhi. Ha come un mancamento. D’istinto, si aggrappa al braccio di Amhir, stringe le gambe formando una ics e contrae l’addome. Rimane in apnea, concentrata. Non aveva più avuto battiti così ravvicinati e martellanti, se non durante gli allenamenti, due anni prima, per la preparazione a una gara sportiva.

Si accorge di tremare, di avere le mani fredde come quelle delle sculture in marmo. È pallida? Il fatto è che non vuole passare la notte in caserma.

Ha promesso al padre di rincasare per aiutare la madre a preparare la cena. Lo conosce bene, appena qualche minuto di ritardo lo farebbe già impensierire e sospettare della sua buona fede. Quante volte lo ha fatto? Non ha dubbi, sa su chi sfogherebbe l’eccesso di collera. Ma non è questo il punto. Non solo le eventuali elucubrazioni paterne a preoccuparla, né il mancato ritorno a casa. Non ha assolutamente intenzione di trovarsi in una stanza squallida, magari seduta sopra una fredda sedia in metallo, davanti a un tavolo di legno chiaro di scarsa qualità, con le mani attaccate alla testa, per cercare di tirare fuori a qualunque costo la verità. In quel frangente, verrebbe costretta a mettere in ordine cronologico i fatti e a crearsi un alibi credibile, prima di essere sottoposta all’estenuante interrogatorio. Per confessare poi che cosa? Lei non ha fatto proprio niente. È una colpa essersi innamorata di un tunisino?

Amhir.

Ha la mano sudata, collosa. Che cosa starà pensando? È rimasto immobile, come lei, senza staccarsi dalla bici. Le sembra in posa come Il pensatore, l’enigmatica statua in bronzo di Auguste Rodin. Dev’essere nervoso, perché stringe il manubrio, portando in sporgenza la rete venosa del braccio.

Il trillo del telefonino ricomincia a scuoterlo, come era accaduto a metà percorso della gradinata. L’insistenza della chiamata telefonica gli fa serrare la mascella e digrignare i denti. Solleva le spalle, come per liberarsi di qualche cosa. Decide di rimanere con i nervi saldi, di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Non si era già preparato a tutto questo? Che figura ci farebbe se dovesse fallire? Era filato tutto liscio, fino a qualche momento prima. Non capisce che cosa possa essere andato storto. Ignora gli squilli insistenti e piega la testa, accorgendosi di una ciliegia candita che gli divide i piedi. Con la punta della scarpa la fa rotolare sull’asfalto e allunga il collo per vedere se finisce nel tombino. La ruota anteriore della bicicletta reagisce al movimento del suo arto con un breve sussulto che lo riporta nuovamente a riflettere. È sicuro di conoscere Nunziatina? Non è che, nel frattempo, gli ha nascosto qualcosa? Improvvisamente, si stacca da lei, come attraversato da una scarica elettrica. 

Valentina Mattia (nella foto di Giorgia Costa) è nata a Caltagirone (CT) e vive a Cuneo con la sua famiglia. Oltre a fare l’impiegata, è scrittrice di romanzi e poesie. Nel 2014 esordisce nella narrativa con Intimo ritratto edizioni Araba Fenice Libri – ospite al Salone Internazionale del libro di Torino, e ottiene il premio “Il Ponte” dall’Associazione Culturale La Sicilia e i suoi amici in Lombardia. A Cuneo ha frequentato una scuola di teatro e di dizione, e il corso completo di Nati per Leggere (NpL) a cura di Sillabaria – Semi di Libro. Si è classificata terza nella sezione Prosa dell’Antologia di narrativa e poesia edita da Primalpe Cuneo (2017), e nell’anno successivo (2018) la stessa casa editrice ha pubblicato il suo secondo romanzo, Alice Schanzer l’alambicco dei ricordi, ispirato alla poetessa e critica letteraria Alice Schanzer in Galimberti. Ha seguito un laboratorio di scrittura. Fa parte del comitato di lettura degli adulti per il Premio Primo Romanzo città di Cuneo. È tra gli autori di Rendiconti anni 2018 e 2020 edito da Nerosubianco edizioni, e semifinalista all’edizione 2020 di Incipit Offresti, il primo talent letterario che permette agli autori di gareggiare tra di loro e di promuovere la lettura dei propri inediti.

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