Annamaria Ferramosca, foto di Dino Ignani
 
 


Note critiche di Gianmario Lucini. Con la raccolta inedita Canti della prossimità,
puntoacapo Editrice, Novi Ligure, 2011

Quinta monografia dedicata ai poeti contemporanei, a cura di Gianmario Lucini, questa, dedicata alla voce poetica di Annamaria Ferramosca, originaria del Salento ma romana di adozione, biologa, operatrice culturale e cultrice di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi Roma Tre. La scelta di testi, tratti dalle diverse raccolte (dall’iniziale Il Versante Vero del 1999 all’antologico bilingue Other Signs Other Circles. Poesie scelte 1990-2009), nonché un’utile intervista all’autrice offrono al pubblico dei lettori – non senza il fine ed esaustivo supporto critico del curatore – un valido ausilio alla corretta comprensione della poesia e dei molteplici nuclei ispiratori che la contraddistinguono, tra i quali spiccano prevalentemente i motivi dell’umana convivenza, nelle relazioni di scambio e reciprocità, e del femminile nella cultura, non già solo occidentale (alludo, segnatamente, al culto della dea madre, vero e proprio archetipo cultu(r)ale). Il quaderno include altresì la silloge inedita Canti della prossimità che segna una ulteriore tappa del percorso poetico della Ferramosca. Felice già la titolazione della raccolta; si noti l’intrinseco connubio di ‘Canti’ (di antichissima, preletteraria memoria) e ‘prossimità’ – quest’ultimo, dal superl. lat. propissimus, dell’avv. prope = vicino, dunque ‘vicinissimo’ – che vuole tradurre non già un avvicinamento quanto una prossimità che è fusione con l’‘altro’ e con la natura, fusione alla terra fino a scavarla «con foga», fino a «entrare nel suo tempo». Sul piano formale, se, da una parte, l’espediente di certi grafismi, ma soprattutto dei neologismi, per fusione lemmatica («silenzio-beatitudo») o plurilemmatica («sanguelinfahumus»), bene rendono quella prossimità di cui sopra, dall’altra, il plurilinguismo, attinto ai più disparati codici settoriali (di tipo tecnologico-informatico), ma anche regionali (di prevalente provenienza mediterranea), si pone in linea con quella esperienza totalizzante, cosmogonica, di contaminazione e condivisione del messaggio poetico, di cui pure alle frequenti epigrafi ai testi; epigrafismo che – beninteso – non risponde a una esigenza di mero citazionismo, quanto piuttosto di appassionata cum-partecipatio, speculare all’indicazione, in chiusa di testo, dei luoghi ispiratori del canto, molti dei quali provenienti da siti archeologici poco noti. Infine, a permeare i testi è una energia cosmica che attraversa il sentire dell’autrice e abbraccia in una curva empatica quel «planetario di manoscritti» che è il creato, in un misto di irrinunciabili interrogazioni sul senso dell’essere eppure di abbandono al sogno, all’«in-cantamento», allo stupor mundi; a uno stupore di rinvenirsi ogni volta parte di un Tutto, dell’Universo cui andare incontro, «la fronte alta contro le nebulose / la gola piena come in largo respiro», fino «a conquistare / il rango di dea custode» di segrete, di arcane simbologie, di «frammenti / da storie lontanissime», piovuti «sulle tempie», e di «lontanissimi / lembi di cielo pulsanti». Pulsanti il miracolo, sempre e comunque, della bellezza.

 

 

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