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Una poesia dal libro, I Compianti, Effigie 2013, dall’omonima sezione, e altre dalla sezione de I Congedi, per strofe. Il libro procede, come molti dei miei, à rébours: le meno recenti sono alla fine. In Deposizione, si assiste direttamente alla figura del corpo morto, cristico: è la scena primaria dei compianti, il motore non traslato, dove l’occhio di una donna rivisita, nell’amore, la figura di lui. Al padre ancora vivo si rivolgono invece le poesie dei congedi, composte in vita, come se entrambi dobbiamo prepararci. Dal tono più disteso, in elegia, “…senza sapere / di quell’intimo botto, / il crac finale che a v v a m p a / c h i u d e in crepitio insonoro / di ogni via le storie”. Intanto lo si accompagna in un’incessante passeggiata, entro una soglia di vita-morte-vita. “…che non sei mai partito affatto”, cammina, un padre, per sempre con la giacca spiegazzata, poiché “vivere e deambulare / sono la stessa cosa”, traversa la croce di una pianta antica all’aperto ne la Pelòta, enorme spazio storico di Parma dove gli spagnoli giocavano a palla, e dove oggi ci sono: la Pinacoteca, la Galleria nazionale che ospita i dipinti del Correggio, il vero testimone del libro (dopo che Dante e Pasolini, in esergo), senhal di un proscenio dove si può entrare e uscire poiché, “trattenerci è il tuo mestiere, / mentre noi non possiamo farlo a te, / legati a ritmi di catene / sonagliere al tempo”. L’abbraccio di conchiglie vuote è la figura filiale finale che ritorna anche in Qui, che ridiventa nido. Un marker dell’amore, quando, riunita “al male / con il bene” lei vuole tornare ad Itaca anche remando contro, il mercato e il reale, che è detto “l’intero”. Ma essere “testimoni dell’intero” che ogni giorno “si concrea” allontana il sogno eden del presente. Il battito del tempo si lascia guardare quando, “in sincronia futura” utopico luogo della Poesia (o dell’Amore) si ridisegna un tao. La terza figurazione è un’epistola-ritratto del padre giovane, in una dimensione visiva e quasi prosastica, frames di una micro biografia dove lui appare: soldato povero, poi marito di China, padre povero, e infine nutrimento, pane della poesia per la figlia. Nelle poesie de I Compianti la forma poemetto è più moderna, petrosa, trattando del limite della morte, in veduta frontale, dai luoghi, dai dialoghi, come per lasciare aperta una quinta di teatro. Una morte che si vuole allacciata, rilavorata dal suo interno, nelle piccole resurrezioni che l’amore inventa per la poesia.

Maria Pia Quintavalla

 

E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Canto XXXIV Inferno, La Divina Commedia, Dante Alighieri.

…La luce / del futuro non cessa un solo istante // di ferirci…
Pianto della scavatrice, da Le ceneri di Gramsci, P. P. Pasolini.

 

 

 

I COMPIANTI

(PASSEGGIATA CON CORREGGIO)

 

 

da Compianto in terracotta, V

 

Deposizione

Io l’ho tenuto in braccio,
gorgogliava entro la testa il sangue,
gli occhi aperti sognavano
di noi piccoli, esclusi;
dal nido io l’ho cullato, cambiato di vestiti,
visto nudo
le gambe belle già riposte in grembo,
il gesto aperto a croce,
negli occhi verde ceruleo l’ultimo battito
fluiva a oriente;
dal cervello il sogno d’essere tra noi
nell’amorosa sosta che lo volle
spaurito e solo,
lui  a t t e n d e v a

nella casa da generazioni, i frutti suoi
ritrosi, disertati.

 

*

 

Odorava di buono e versi
agonizzati al largo,
ma le gambe erano ben tornite
il pene che non avevo mai veduto
riposava allungato,
la mano artistica segreta
poggiava al petto;
dormendo a lui vicino nella casa
per tre notti, in positura angelica
il gesto della pietas, l’alone
nel braccio ripiegato, alla vista non sottrassi

mentre piovevano le stelle, i giorni
erano trascorsi i raggi,
gli interminati
che lo avevano innalzato al cielo,

 

*

 

 

avvicinato al tempo che allontana,
che mi cresce piano,
più vicina a te, filiale –
mentre piovevano le stelle ti spegnevi,
santo nel corpo, umano nella morte
ti spiegavi al centro
di ogni vita dove tutto si compie
una visione suggella te, noi
tutti aperti sanguinanti,
pronti alla narrazione dentro
che di vita scolora, e il cuore sanguina
più piano,
il punto asciugato e il punto trattenuto,
che dagli occhi cola.

 

*

 

 

Riparavano le gambe, tu dormivi
nella camera che era già stata mia,
Ti avranno dato il pasto? Io, pensierosa
riprendevo del feto la passione,
dal cuscino inalavo il tuo respiro,
dei capelli il sudore
espurgato nell’impenetrabile del bosco;
la nipote singhiozzava in bagno,
le tue scarpe in camera, già pronte
alla fuga, tra mussole di lino.

 

*

 

 

Al terzo giorno non resuscitasti,
ti portarono via, nessuno vide,
eri già morto ti avvolgesti
mentre gridavi nomi alle porte,
il gesto non inteso
il tempo del soccorso, tu
né le donne armeggianti carpirono fragilità
agonia, paura
in altra lingua viva –

 

*

 

 

Venne detto il tuo nome ai funerali,
recitati i diari della prigionia,
ma la mano dei tedeschi ricordava
a ossa mute conserte, l’abbandono;
il rinfresco dei morti disertato;
ma là sopra, aspettava nutriva
con incerta mano la sua cena
una sorella vera –

E il treno allentava la materia
le stazioni abbracciava chiudeva,
ai viaggianti, tutte le sue pene.

 

*

 

 

Per mesi a Itaca tentai in me,
già Lazzaro, l’uscita –
ma dormire era freddo, mangiare
su cartine un’impostura, le visite
tornarono a un inizio, consegnandomi
la casa vuota dove spegnere
le tracce dell’amore vivo

mentre là fuori
l’osso spolpare chiudere i battenti,
in abiura in dolore in smania
sgocciolare via, brucare
il non spendibile tesoro.

 

*

 

 

Andavo più vicino, rivolgevo
a Milano l’era adulta, oppure ritornavo,
ma toccata dal cesareo del fiume, trafugavo
il liscio valicato e il Po mi rispondeva:
andata e andata, suggeriva,
poi fluiva, ah se fluiva.

Ecce, rinasci dolce
del fiume di confine dove stazionaria
v e d o
due case inghiottite in sortilegio da
cumuli di neve, ricoperte di edere
fessure, le faccine tristi
cremare come in un lago di tsunami.

 

 

**

 



da Intermezzo, Parte II                             

 
Qui, che ridiventa nido

I)

Se mi mettessi fuori a testimone,
del tempo e del mercato,
che la stessa scena ogni giorno
r i c o n c r e a

ma per meglio cogliere nel flusso
che si libera, io lenta
navigante che non sporge più
non rema a braccia a nuoto,
nuove luci arricchiscono disegnano
i suoi fianchi flessi come l’iride.

Se testimone fossi dell’intero,
nel verso io potrei smorta
carpire un suono madido che afferra,
piega a lato in frescura,
la bocca benedice, non sente più
pianti nolenti ma bambini
lesti nel correre,
che ricambiano  il suo  v o l o.

II)

Rivivi la tua infanzia, mentre ricrei
a Itaca, col padre
nel nome tuo familia nova, che
come l’altra, drammatica insoluta,
perché per crescere occorreva
essere amati, io adulta genitrice
della vita che si fa futura,
non mentore soltanto di occasione – infanzia
che si genera rifà mi pianta
intorno a un’ostrica mi incolla
alla matrice unita al male
con il bene, un arco soddisfatto

in sincronia   f u t u r a.

 

 

**

 

 

da I congedi (preparativi, saluti), Parte III
 

Come potere trattenerti

II)

 

Padre che non sei mai partito affatto,
ma che viandante ci sorridi additando
in un gesto più segreto il riso
o uno scongiuro,
della bianca camicia spezzi un giorno
arioso e lieve come un’ostia calma
che sa di carta e pane, che fa luce,
poi ci accenni che vivere e deambulare
sono la stessa cosa

 

*

 

 

un giro di memoria non si stacca,
le colline suonano soavi l’orizzonte                                 ,
lo incoronano di strisce blu e marroni
sotto il cielo che fila dalle nubi,
a sera forma la luna
più vicina, e credula sorella.
Non sai che trattenerci è il tuo mestiere,
mentre noi non possiamo farlo a te,
legati a ritmi di catene
sonagliere al tempo,

 

*

 

 

che tintinnano toccando terra
raspando l’aria dei bambini
che persero l’infanzia, quella nascosta,
derubata, come guscio amoroso
sotto terra ma dalla mano
un gesto ci ammonisce,

Non parlate di me non commentate
ma sostate guardando assaporate
aprite pure le braccia dei polmoni
a respirare ancora un’ora,
a sorseggiare aria sotto la volta
di una Parma antica.

 



III)
                        

Tra campagne a raggiera
ed alte mura che sorreggono
canzoni, notturni di visioni e pietra,
dove lunghe fontane coricate entrano
alla Pelòta, corrono
sotto al verde tenero che nasce
accanto all’acqua.

È nella croce antica di una chiesa
che riempita d’acqua si formò fontana,
e pioppi piccoli restano a guardare,
il monumento a Verdi travagliato dalle bombe
ostenta il pezzo suo migliore,
riesce a trasmettere un sipario
che ti rappresenta, che cammina  –

 

*

 

In angolo proscenio il cielo lo rapisce,
e vortica dove lo spazio assume il cono d’ombra
e luce, quasi eterno
che già eterno t’accompagna –
È là, in un’aura dolce
che ti seguirà rinato, a passo lento
dentro l’erba
per sempre tu ne varchi il cerchio,
lo attraversi ne esci, poi ritorni;
la passeggiata vola ai piedi, danza
su acqua scalza.

 

 

*

 

 

Non seguo il tuo bastone,
ma da lontano in muta processione
tutti i miei passi ai tuoi serrati
formano un cordone in ampio nodo,
un corrimano dove appoggiarsi
ai fori della voce, avanzano
risuonano quei gesti tornano vinti
e morsi d’aria, raddoppiano
le eliche del tempo da ieri a ieri
fino a qui, f u t u r e.

Come potere trattenerti non sappiamo,
ma infine, come nel gioco della retina
ed un suono tracciato trattenuto,
risuona stretto a te un   a b b r a c c i o
di conchiglie vuote.

 

 

**

 

 

 
Congedo, V
 
Caro Padre
 
Caro padre
dal cappello e cappotto infagottato,
come un uomo dell’ultima guerra
che fu soldato, maestro povero,
poi deportato; infine fu salvato
e ritornato, qui generò la sua secondogenita
uscita da un getto d’amore imprevisto,
un interruptus che mia madre non pensava,
facendola pregna –

Caro padre,
senza nessun foulard o corona,
si mantenne agli studi mentre lavorava,
che sgobbando ricordava
cosa è la fame
 
Che la fame provò
il tormento della tentazione a morire
scappando a piedi
dal campo di lavoro, con i russi alle calcagna,
i tedeschi col fucile spianato;
che incontrò China e visse
più di un sogno, una pittura come beltà
paesaggio che attendeva,
che della miseria fece modestia e vanto
tacitando la paura,
che rivoltò cappotti e tasche
per dare il pane a China, creatura
di regale aspetto mentre lui rude,
dal profilo adunco, che allattava

per non essere affamatore
diventò affamato.

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