La poesia di Antonella Anedda è caratterizzata da sempre da una specie di sguardo a raggi infrarossi, da una capacità percettiva in grado di illuminare figure dell’invisibile, di evocare assenze e mancanze. E anche in questo libro, raccontando le tragedie dei migranti affogati nei nostri mari o la vita di chi va a cercare qualche avanzo nei cassonetti dei rifiuti, sono soprattutto le immagini a far procedere le «historiae». Immagini che riportano alla luce ciò che non si vuole vedere. Il rimosso storico è dunque al centro del libro, ma intrecciato con incursioni nella lingua sarda ed elaborazioni di lutti personali. Come se non ci fosse differenza tra pubblico e privato e l’angoscia fosse tutt’una. Ma oltre alla storia, più della storia, ci sono la geografia e la geologia. La prima e l’ultima sezione, che incorniciano il nucleo più politico del libro, sono dedicate a paesaggi allo stesso tempo concreti e metafisici, e alle ossa dei morti che ci ricordano l’appartenenza alla natura pietrosa dell’universo.

cinque poesie da Historiae, Giulio Einaudi editore, 2018

 

da Osservatorio

Osservazione 3

Orione il cacciatore che sorveglia la notte.
L’inverno che si addensa dove il buio gela la faggeta.
Sotto la luna la collina brulica di ossame,
di fossili di felci e di animali.
L’Auriga invece a forma di pentagono
tiene con le briglie le stelle,
il carro corre nell’aria e di nuovo la collina
mostra il suo erbario dove ogni foglia e spina
s’illumina d’oro a ogni venatura.

 

Geometrie

Davanti alla dismisura delle cose cerco di provvedere,
scendo nel loro baratro. Ogni volta riemergo
con il metro, il compasso, la mente piena di cifre.
Mi struggo per la geometria, mi ostino inutilmente
a calcolare l’area del cubo, del parallelepipedo,
del prisma, nomi di un’aria di cristallo priva di veleno.
È un sogno infantile di teorema,
un innesto di mondo su un segmento di radice.
Se la osservi rimanda a un’equazione, al suo quadrato,
con l’ala dei numeri che svetta su ciò che è smisurato.

 

 

da Historiae

Confini

L’ennesima notizia della strage arriva questa sera
nell’ora in cui messi gli ultimi panni in lavatrice
si scoperchiano i letti per dormire.
Sullo schermo del televisore unica luce nella stanza buia
scorrono visi morti e morti vivi, lampi di armi,
corpi nudi e dentro ai calcinacci un cane.
La storia moltiplica i suoi spettri, li affolla
ai confini degli imperi nell’èra di ferro che ci irradia.
Ha inizio un assedio senza nome.
Acque reflue, alluvioni, rocce spaccate
in cerca di petrolio. Resistono gli schiavi
intenti a costruire le nostre piramidi di beni.

Eppure

Quando sembra che la memoria di lei sia spenta
eccola tornare in un suo doppio
mentre spinge un carrello in un supermercato,
sola, nel carico di luci,
con le mani che sono quelle di un’altra
e il viso che traluce in un bagliore
tra i barattoli di vetro sui ripiani.
È invece lei davvero quando un suo spettro
fruga in un cassetto in cerca di un ditale,
mentre afferra quella minuscola cupola di acciaio
e la manovra muovendo in fretta l’ago,
con il suo sguardo verde di rapace.

 

da Futuro anteriore

Contrasto

Lo capite da sole parole,
non vi posso piú mostrare
con voi faccio del male. Non posso continuare.
Non voglio ferire, non voglio lusingare
ma restare nel calore minimo di un cerchio familiare.
Dunque parole siate buone, andate nel silenzio
abbasserò la voce fino in fondo.
Dalla bocca già escono solo sciami di lettere
cartigli medievali.
L’incontro dei vivi con i morti è il nostro affresco.
Serve a rinunciare.

 

 

In copertina Antonella Anedda (ph Dino Ignani)

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