BIOGRAFIA DI UN ARTISTA POSTUMO

gino di costanzoNacque su una barella prima di entrare in sala parto, raggiunta ormai a cose fatte, il 27 Gennaio del 1963. Fu così che Luigi (Gino) Di Costanzo, secondo di tre figli maschi, da quell’errore di tempistica dell’ostetrica, si rese conto di non essere nato in Svizzera ma in una clinica di Mergellina. La cara mamma  era ed è casalinga, il papà era operaio (poi quadro) dell’Italsider, nota acciaieria del gruppo IRI che dava da vivere a circa novemila famiglie, minando nel contempo la salute degli abitanti del quartiere di Bagnoli dove la famiglia Di Costanzo risiedeva, accanto alla suddetta puzzolente fabbrica. All’età di quattro anni sviluppò un precoce anticlericalismo, allorquando la sua mammina ebbe la brillante idea di iscriverlo all’asilo dalle suore. Dalle cape di pezza apprese i primi rudimenti dell’arte della bestemmia, cosa nella quale le pie donnine erano molto versate. Si innamorò per la prima volta, ma non riuscì a dirlo a lei, anche perché non ci capiva nulla. Alle elementari si distinse per il  notevole profitto negli studi, ma, all’esame di quinta, un suo compagnetto, da sempre surclassato, vantò voti migliori dei suoi: era il figlio di un maestro che insegnava nella stessa scuola. Conobbe così la raccomandazione. Si innamorò un’altra volta, ma continuava a non capirci nulla. Alle medie quel compagnetto capitò di nuovo in classe con lui, la carogna,  ma stavolta non ci fu storia. Il nostro divenne il primo della classe e la giustizia trionfò. In quegli anni ebbe i primi proficui contatti con lo sport, il calcio, che praticava con piccoli delinquenti del quartiere dopo aver superato il trauma di sei mesi di nuoto in quinta elementare, interrotti da una provvidenziale otite purulenta corredata da esaurimento nervoso, quest’ultimo causato dai metodi nazistoidi del suo allenatore. In breve divenne un ottimo difensore, prima stopper, poi terzino fluidificante, infine libero “all’olandese”. Nella fenomenologia antropologica del “primo della classe”, Luigi “Ginetto” Di Costanzo rappresentò uno spartiacque: egli fu il primo dei primi della classe a non essere un secchione imbranato e deriso,  ma un ricercato compagno di partite con scommessa (chi perde paga il campo) e anche di qualche scazzottata, che però avrebbe volentieri evitato, essendo di indole mite. Vinse con la mitica A.C. Bagnoli il campionato di quartiere, battendo in finale per tre a zero la altrettanto mitica Real, zeppa di mini calciatori che sarebbero poi diventati killer della camorra, tossici, rapinatori, sieropositivi, galeotti abusivi e idraulici avventizi. Naturalmente superò l’esame di terza media col massimo dei voti, essendo bravo anche in disegno: suo padre era pittore dilettante e i misteri della genetica non li conosceva ancora nessuno. Si innamorò un altro paio di volte, in terza media, ma con modesti risultati pratici, pur capendoci di più: quelle cagavano quelli più grandi, che ci capivano meglio. Scelse nel 1976 il liceo scientifico – il glorioso “Arturo Labriola” – lo stesso del fratello maggiore, dove se non eri più a sinistra del PCI rischiavi grosso. Partecipò sporadicamente alle prime assemblee studentesche dove decise di non parlare mai. Raramente frequentava manifestazioni di piazza e cortei vari, ma quando accadeva non si intruppava fra i militanti del suo liceo, vi partecipava da cane sciolto, pur non facendo la cacca sui marciapiedi. Capitò in una classe piena zeppa di primi della classe, cosa alla quale si abituò subito, perché, in fondo, non gliene fregava niente di essere l’unico, e in condominio si mimetizzava meglio. Continuò a praticare tutti gli sport più diffusi tranne il “sottomuro”, arrivando ad allenarsi contemporaneamente nel karate, pallavolo, tennis e calcio. All’età di 17 anni, era d’Agosto, un grave infortunio pregiudicò per sempre la sua carriera di calciatore mai cominciata, proprio alla vigilia di un provino settembrino con la squadra “primavera” del Napoli. Per la disperazione si diede alla lotta libera che praticò presso il circolo sportivo aziendale Italsider. Vinse però un torneo di tennis in Sicilia, specialità del doppio, in una località balneare nei pressi di Taormina, sconosciuta ai più. Si innamorò per ben quattro volte durante gli anni liceali, riportando una vittoria, un pareggio e due sconfitte, ma evitò la serie B. Di lui si ricordano la prima vera trombata, all’età di 16 anni, con una ragazzona olandese coetanea, che negli anni successivi pare sarebbe ingrassata come una lanciatrice del peso bulgara. Nell’1981 si iscrisse alla facoltà di architettura dove avrebbe sofferto per dieci lunghi anni per una vilipesa laurea, la cui pergamena ritirò dopo 16 anni dalla discussione della tesi. In quegli anni studiò molto, lavorò – perché la famiglia era umile ma onesta – e continuò ad allenarsi, ma anche ad allenare giovani virgulti di una squadra juniores di handball, che è meglio che dire pallamano, ché non suona bene e potrebbe essere male interpretato. Lavorò inoltre come cameriere, uomo di fatica (scaricatore di mobilia), commesso, secondo-vice-aiuto-apprendista architetto e consimili. Odiò con rara intensità i colleghi di università, i professori, i loro assistenti, gli addetti di segreteria e quelli dei dipartimenti, auspicando un olocausto di uomini e cose all’interno dell’edificio universitario. Si laureò con lode (e che te lo dico affà?) nel 1992, prendendo a male parole un professore della commissione – che fortunatamente non udì – durante la seduta di laurea, ricevendo per questo una dolorosa gomitata nel fianco da una sua collega che conferiva accanto a lui – la tesi era di gruppo. Nei primi anni universitari si convinse di aver compreso appieno le donne, per questo, in seguito, le evitò per anni. Dopo la laurea e fino ai giorni nostri, una volta afferrato che gli architetti non se li filava quasi più nessuno, e che, seppur cagati, dopo non venivano pagati, cominciò a sbarcare il lunario in tutti i modi, lavorando nell’ordine come: architetto progettista a Napoli, operaio elettricista alla Fincantieri di Ancona; cameriere, uomo di fatica, barman, wine-waiter, architetto “caddista” a Londra; architetto progettista, operaio giardiniere a Napoli; capocantiere a Ferrara; capocantiere a Napoli, direttore tecnico a Napoli in una società di costruzioni, disoccupato.

Dipinge e scrive ma non ha mai tentato di pubblicare nulla, cosa di cui tutti gli editori italiani e stranieri ancora lo ringraziano. Si rimarca inoltre che i migliori pezzi della sua produzione pittorica risultano tutti venduti – incredibile! – mentre le tele invendute, delle croste immonde, sono ancora accatastate in casa del poeta poiché nessuno è in grado di definire la categoria di rifiuto nella quale vadano smaltite. Per tre anni circa ha curato la redazione di un blog individuale, dove ha cullato il suo ego beandosi dei numerosi complimenti ricevuti. Datosi alla controinformazione passò su FB, con grande rammarico dei fans del suo blog. Nuota attivamente da sei anni – anche a delfino, eh – causa infortunio all’anca che gli impedisce di correre – ora, operatosi al “Rizzoli”  di Bologna, salterebbe come un grillo se non fosse intervenuta nel frattempo l’anagrafe a ricordargli di non farlo, che è meglio. Non è sposato e nemmeno ci ha mai provato, ma ama le donne e ne è a volte riamato, anche se, si sa, non è sempre natale. Attualmente gli dice bene, e non risulta sul mercato. Mente razionale e scientifica, ma anche dotato di rara sensibilità, il Di Costanzo ha sempre coltivato la passione per le umane lettere, che tutt’ora maltratta con profitto.

 Il sottoscritto Luigi Di Costanzo, nel pieno possesso delle sue opinabili facoltà mentali, autocertifica la veridicità della biografia in oggetto: diploma, laurea, attività lavorativa, attività sportiva e approcci amorosi corrispondono a totale verità; anzi, causa precoce Alzheimer, molte delle cose che hanno caratterizzato la sua singolare esistenza non sono state inserite fra le note essenziali.

Sarà per un’altra volta 😉

 

 

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2 risposte

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