Il male oscuro: Rita Pacilio e Federica Ziarelli

In questa puntata di Chiedimi ancora ad essere messe a confronto sono due poetesse che hanno in qualche modo conosciuto il male oscuro, sapendolo però trasformare in qualcosa di luminoso e illuminante, pur nella difficoltà. Ciò che si innerva nei versi di Rita Pacilio è dunque il sentimento e il fatto che, come ci racconta, «quando sono di fronte alle persone, vivo tutto in maniera empatica, con forza».
Quel male oscuro significa, per Federica Ziarelli «assistere ad una scena dove il sole non è ammesso, in cui i giorni e le notti non possiedono più ritmo ma sono confusi in una veglia forzata, atterrita». A contrastarlo c’è una scrittura che si nutre della «gioia contenuta nella bellezza».
Per entrambe, dunque, la barca della poesia ci traghetta dalla notte all’alba.
Buona lettura!

Rossella Pretto e Marco Sonzogni

 

L’ultima opera poetica edita di Rita Pacilio è La venatura della viola (Giuliano Ladolfi Editore 2019); quella di Federica Ziarelli è In erba (Terra d’Ulivi Edizioni 2019).

Rita Pacilio

CINQUE DOMANDE AI POETI: RITA PACILIO (1963)

1.
In uno dei mottetti per la sua musa girasole, Clizia, Eugenio Montale parla di «segno» che «s’innerva» e lo descrive con queste parole: «sangue tuo nelle mie vene». Cosa o chi s’innerva in te arrivando a scorrere nelle vene della tua scrittura?

La mia scrittura nasce dal rapporto che ho con le creature del mondo. Quando da bambina ho iniziato a leggere, ho provato immediatamente stupore dinanzi alle pagine scritte che, con il passare degli anni, hanno accresciuto sempre più il mio desiderio di conoscere e attraversare dal vivo i ‘posti’ e i personaggi delle storie narrate. Ambisco a fare esperienza diretta di emozioni, persone e luoghi. Se la vita è un viaggio, la vivo pienamente frequentando gli esseri umani collocati in territori e culture diverse. Ciò che si ‘innerva’ in me, come ispirazione profonda per la scrittura, è il sentimento: l’amore, la malinconia, l’assenza, l’odio, i sentimenti di angoscia e di solitudine psicologica e sociale, la ricostruzione, il perdono, la speranza e la sacralità della vita. Quando sono di fronte alle persone, vivo tutto in maniera empatica, con forza.

2.
In una delle canzoni più celebri interpretate da Johnny Cash, the man in black dice di vedere un’oscurità («I see a darkness»). Quale oscurità ti è capitato di vedere e come ne hai scritto?

Se per oscurità intendiamo sofferenza, malattia, frustrazione, cioè momenti che, nonostante tutto, hanno avuto risvolti tali da riportarmi alla superficie, alla luce, potrei affermare di averne attraversato molte: la morte di mio padre, la malattia di mio fratello, la depressione di mia madre, il mio coma a ventiquattro anni, il dolore cronico. Alla patologia psichiatrica di mio fratello, per esempio, ho dedicato il libro di poesie Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice 2012) risultato vincitore di numerosi Premi, tra cui Laurentum 2013, è stato tradotto in francese Les imparfaits sont des gens bizarres, (L’Harmattan, 2016, traduction en français par Giovanni Dotoli et Françoise Lenoir) e per Uet Tunisi la traduzione in lingua araba (a cura del Prof. Othman Ben Taleb); alcune poesie tratte da questa raccolta hanno fatto il giro del mondo; sono state tradotte in inglese, catalano, portoghese, spagnolo, romeno. È un lavoro poetico che ha cambiato la mia vita, non per i riconoscimenti e consensi ricevuti, ma perché l’ho elaborato durante le visite a mio fratello e ai suoi ‘amici’ nell’ospedale dove è ospite. Un cammino doloroso che ho trasformato in visione poetica staccandomi da me stessa, dal dolore personale, cercando di renderlo materia culturale comune.

3.
Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Bob Dylan, ricordando il suo primo punto di riferimento artistico, l’amico Buddy Holly, dice che sembrava esserci in Buddy qualcosa di permanente («something about him seemed permanent») e che riusciva a trasmettere qualcosa che gli faceva venire i brividi («he transmitted something» … «and it gave me the chills»). C’è un poeta che ti fa sentire così quando lo leggi e perché?

Sì, Cesare Pavese. Pavese è l’unico poeta che leggo e rileggo e ogni volta mi fa rabbrividire, tremare. In lui trovo attualità, linguaggio genuino, pensiero, storia, letteratura e umanità. Per la mia crescita creativa è un esempio importante, ma potrei citarne molti altri.

4.
Un altro Premio Nobel per la letteratura, Seamus Heaney, ha detto che Eminem ha creato un senso di ciò che è possibile iniettando un voltaggio nella sua generazione («he has created a sense of what is possible. He has sent a voltage around his generation») non soltanto con il suo comportamento sovversivo ma anche attraverso la sua energia verbale («He has done this not just through his subversive attitude but also his verbal energy»). C’è stato/c’è un poeta che per te corrisponde a questo identikit?

Assunta Finiguerra e Rocco Scotellaro, due poeti lucani che, secondo me, hanno posto l’attenzione sulla necessità di rivendicare diritti personali e sociali utilizzando versi taglienti per parlarci di amore, terra, origini, politica, conflitti, desideri, speranze, morte e destino. Due poeti studiati troppo poco, sia dal punto letterario che sociologico, ma che hanno lasciato segni culturali indelebili e a cui si dovrebbe ritornare per risanare le coscienze.

5.
Scegli una tua poesia e ci spieghi perché ti rappresenta?

Racchiudere la poetica di un autore in una sola poesia è veramente complicato. Credo che ogni testo sia la continuazione di un filo, un percorso filosofico che si intreccia e si snoda: un discorso che inizia e che, nel corso del tempo, viene sviscerato o associato ad altre tematiche utilizzando un linguaggio attuale e credibile. Scelgo, come esempio della mia poetica, una poesia tratta dal mio nuovo lavoro dal titolo La venatura della viola (Ladolfi Editore):

Ci si ammala. Per eccesso di fiducia

per velocità, per la speranza invecchiata.
Cresce dentro senza preavviso, il ladro.
E gli parli. Devi fartelo amico.
Dici che non va bene. Che sei innamorata
che domani hai un nuovo libro da leggere
hai da fare, infornare la torta di pere
innaffiare le viole sul davanzale.
La paura si fa una risata. E anche lui.
Non lo avresti voluto, lo ripeti sottovoce.
Ci si ammala per avidità
quando la forma del secolo non ti ha voluta.

Qualcuno ha dichiarato, all’anteprima di presentazione del libro, che questa poesia è tremenda e attuale: appellativi che mi hanno gratificata, perché credo che la poesia debba dire con poche parole, tante cose, celare più significati e dovrebbe arrivare al lettore come un pugno nello stomaco. Diverse le tematiche sottese tra scienza e coscienza: la solitudine e la frustrazione dell’ammalato, la denuncia dell’indifferenza sociale, la delusione di non essere accolti, la paura e lo smarrimento dell’incomprensione, della cattiva comunicazione, l’accettazione di essere fragili, lo scoramento dell’umanità di fronte alla superficialità. Una sorta di illustrazione della condizione umana del nostro tempo in cui si avverte il bisogno di nominare e urlare l’innominabile nella prospettiva dell’educazione, della rinascita, della ricostruzione.

Federica Ziarelli

CINQUE DOMANDE AI POETI: FEDERICA ZIARELLI (1980)

1.
In uno dei mottetti per la sua musa girasole, Clizia, Eugenio Montale parla di «segno» che «s’innerva» e lo descrive con queste parole: «sangue tuo nelle mie vene». Cosa o chi s’innerva in te arrivando a scorrere nelle vene della tua scrittura?

Il mio sangue, e quindi la scrittura che all’interno ci scorre, è profondamente permeato dal senso della nostalgia per la mia infanzia. Si tratta di un passato che percepisco luce così potente da travalicare il muro del tempo fino a raggiungere l’attimo presente e guarirlo delle ferite, del dolore, del disincanto. Torno in quel lucore di puro amore ogni volta che la realtà contingente si rabbuia e ne faccio ritorno coi palmi colmi di doni, come risanata. Dunque non è una nostalgia tormentosa la mia, piuttosto è un mezzo felice per accendere la mia ispirazione poetica, per riappropriarmi delle radici che hanno sostenuto con forza me, albero bambino, e che possono continuare a reggermi anche ora, in età adulta.

2.
In una delle canzoni più celebri interpretate da Johnny Cash, the man in black dice di vedere un’oscurità («I see a darkness»). Quale oscurità ti è capitato di vedere e come ne hai scritto?

L’oscurità per me risiede in un male che è chiamato per l’appunto male oscuro e che ho visto ammorbare la mente, la vita dei miei familiari. Osservarlo significa assistere ad una scena dove il sole non è ammesso, in cui i giorni e le notti non possiedono più ritmo ma sono confusi in una veglia forzata, atterrita. Ho scritto di esso in un modo un po’ particolare e cioè parlando del suo contrario, descrivendo la gioia contenuta nella bellezza. Tutto quello che partecipa della bellezza, un mandorlo in fiore, il volto di chi si ama, un treno che passa attraverso un paesaggio innevato, l’estate che frinisce nella gola degli insetti, si oppone alla noia, all’insensatezza, alla disperazione, pertanto in qualche modo, annienta l’oscurità mostrandole il suo volto abbagliante.

3.
Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Bob Dylan, ricordando il suo primo punto di riferimento artistico, l’amico Buddy Holly, dice che sembrava esserci in Buddy qualcosa di permanente («something about him seemed permanent») e che riusciva a trasmettere qualcosa che gli faceva venire i brividi («he transmitted something» … «and it gave me the chills»). C’è un poeta che ti fa sentire così quando lo leggi e perché?

La poeta Anna Maria Farabbi di cui sono orgogliosamente conterranea, ha questa strabiliante capacità di incidere sul foglio creando segni indelebili. È come un aratro che prepara la terra alla semina e che promette una fioritura certa, prolungata, un raccolto che sazia. In lei non c’è maniera, nessuna posa ma un vento di verità che scardina tutto ciò che è superficiale, narcisistico, volto all’autoreferenzialità. Le sue parole sono oneste, pulsanti, battiti che sfondano il silenzio. Quando la leggo acquisisco certezze, ricevo carezze materne che mi fanno rabbrividire di piacere, mi riconciliano con le creature e con il creato.

4.
Un altro Premio Nobel per la letteratura, Seamus Heaney, ha detto che Eminem ha creato un senso di ciò che è possibile iniettando un voltaggio nella sua generazione («he has created a sense of what is possible. He has sent a voltage around his generation») non soltanto con il suo comportamento sovversivo ma anche attraverso la sua energia verbale («He has done this not just through his subversive attitude but also his verbal energy»). C’è stato/c’è un poeta che per te corrisponde a questo identikit?

Ammiro Arthur Rimbaud perchè è stato sovversivo anzitutto per il coraggio. Era giovanissimo ma ha saputo esporsi alle occhiatacce buie degli intellettuali del tempo elaborando un nuovo codice, esclusivamente estetico, del significato. La sua poetica oscura, complessa, visionaria si è imposta impudicamente contro le coordinate della cultura dell’epoca, ha sovvertito il linguaggio, le forme. La sua rivoluzione temeraria lo ha per sempre innalzato a simbolo di cambiamento, di modernità. Ne ricordo anche l’omosessualità sofferta ma mai occultata, l’ardore libero di affermare il suo pensiero, la volontà di rifuggire al dispotismo di certi collari. Credo avesse in sé caratteristiche incendiarie, una voce inequivocabile.

5.
Scegli una tua poesia e ci spieghi perché ti rappresenta?

Visto che ho un mucchio di semi dentro
rido
perché sono piccina piccina
e gli anni mi germoglieranno
dalla bocca giardini.

(da In erba, Terra d’ulivi edizioni, 2019)

Mi sento rappresentata da questo mio componimento perché la bambina che parla, così colma di sorriso, speranzosa, ottimista, è la Pollyanna che da sempre mi abita. In lei il futuro ha membra verdeggianti, che rifuggono l’aridità. I suoi occhi si stupiscono di tutto quello che vedono e sanno che il tempo non spegnerà la maraviglia di quella visione. La bambina è consapevole del dono che ha ricevuto, ne conosce il potere quindi vive la sua infanzia senza alcuna paura per ciò che verrà. In compagnia della parola allora come adesso mi sento al sicuro, protetta in una tana morbidissima. Tutta la mia poetica si diverte a far danzare questa bambina.

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