Dieci inediti di Michele Leonardi

Scott Bergey, Painting a day in the life

 

 

Non potrò mai spiegarti certe crepe.
Le segrete nelle quali non vorrei che entrassi,
che mi giudicassi deragliato, frantumato,
io che di me so già di esser spacciato, condannato
a sgretolarmi oltre l’indaco e il terreno,
dentro un singhiozzo pieno, sincope
senza preavviso o freno.

Io sento sussultare le pareti, leggo
nei volti lieti per la strada un insulto,
odo un tumulto, grido, squarcio, tanfo
di lembo marcio. E sono
io o siete voi, attorno? Non me ne frega
un corno delle mie poesie: fatemi spazio, posto.
È più clemente il mostro
delle vostre ipocrisie.

 

*

 

Ho detto al tempo di lasciarti stare.
“Se vuole, se le duole, la posso
allontanare”.  “Non importa, guardi, giuro:
può restare”.

Non ho specificato
che se tu andassi via
io non lo saprei più, dove
guardare.

 

*

 

Perdonami il creato.
Se io non sono stato in
grado, di riamarti
che in modo tanto ingrato, appiombato,
bucato come i fogli
sui quali l’ho vergato.

Hai tanto sopportato
le mie lezioni cieche,
le ridondanti teche, piene
del silenzio
che avevo musicato.
I miei lussuosi crampi

su campi in cui ho giocato, e mai
segnato un punto. Ciampi
te l’avrebbe cantato
di andartene a fanculo.
Io voglio averti addosso, portarti
appresso, sulle spalle;

come un mulo.

 

*

 

Così oggi mi hai abbandonato, è certo.
A un anno esatto dal tuo arrivederci.
Che senso avrebbe, oltre, trattenerci
se vedo i corvi dominare il cielo aperto?

Sostiene Valery: non si ama che un fantasma;
Ed io ho nutrito il tuo, per tanti di quei giorni.
Ora però so bene che, semmai ritorni,
non mancherò di fiato, come colto d’asma.

Pratico il bungee jumping: salto nell’oblio,
ma se mi specchio in fondo non c’è più il tuo volto.
Oggi il mio vecchio abisso, dunque, s’è dissolto.
In ogni lancio cercherò il prossimo Dio.

 

*

 

Decido di telefonarti.
E una voce, che non è la tua,
mi comunica che non sei raggiungibile.

«Grazie», le vorrei rispondere.
«Ora però mi dica qualcosa
che non sapevo già».

 

*

 

Dei romanzi che ho letto
ricordo appena poche parole.
Di tutte le poesie
soltanto una nebulosa.

Ho dedicato all’assenza
talmente tante ore
che solo quella è accaduta
e s’è dissolta ogni cosa.

 

*

 

 

Come mi sentite? Parlo da così lontano…
(R. Char, Fogli d’Ipnos)

Non ho nulla da dire all’uomo.
Non ho nulla da dire a.
Ho da dire: tacere
l’errore di essere carne,
silenziare le canne di
tutte le pistole, far parlare quelle
persone sole, o solo
persone, nient’altro,
cui la penna non risponde
al tatto, cui la vita
mostra, per poi scomparire.

Tuttavia non dico a loro, io
dico per dire.

 

*

 

Stasera esco, mi vesto bene.
Stai a vedere che qualche scemo
ci crede, che va tutto a gonfie
vele, che non si può desiderare
nient’altro che la giovinezza.

Che da questa altezza, vedi?,
non c’è proprio il rischio
di cadere.

 

*

 

I soddi fanu soddi
e i pirocchi fanu pirocchi
e u culuri fa culuri
e u duluri fa duluri
e a lumìa fa lumìa
e a lurdìa fa lurdìa
e a puisìa fa puisìa
e tu
fai a mia.

 

*

 

Ecco la verità che aveva scritta in grembo
mia madre prima ch’io venissi a questo mondo:
accendo il fuoco del mio amore non col legno,
ma dalle ceneri, con cui ho pagato pegno.
 
Non puoi trafiggermi, non posso penetrarti.
Non mi perseguiti, non posso idolatrarti.
In controluce, il negativo della gioia
non si sviluppa senza prima sottrarti.

 

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