salti quantici
Bòdler – che non è la copia fonetica del più famoso maledetto – è un uomo solitario, ma di una solitudine molto rumorosa (per dirla alla Bohumil Hrabal) e, non certo perché faccia rima, altrettanto curiosa. Bòdler, infatti, sente il bisogno di esplorare il mondo che lo abita, da tutte le parti possibili: dentro, fuori, dall’alto, dal basso. Eh già! con la ‘Patafisica si può! “La scienza delle soluzioni immaginarie” l’ha definita il suo inventore, Alfred Jarry, che visse a cavallo di due secoli, il XIX e il XX, con sua gran fortuna, e con invidia di chi scrive, perché proprio in quel periodo la Francia sfornava, prolifica e incontinente, talenti e geni in tutte le arti. E quelli che non vi nascevano, la sceglievano come patria d’adozione: il livornese Modì, per esempio, che nella sua pronuncia ipocoristica ci rimanda, per caso o per lingua ossitona, al maledetto omonimo del protagonista. Che sia un fiore del male? Dipende dai punti di vista: noi che, appena sbocciata l’adolescenza, abbiamo letto “La montagna incantata” di Thomas Mann e ascoltato con ingenuo sbalordimento gli insegnamenti di Settembrini, ancora ci ricordiamo che l’italiano riteneva la malignità “l’arma più brillante della ragione contro le potenze delle tenebre e della bruttezza” e che “la critica” è “l’origine del progresso e della civiltà”. Bòdler, incredibile auditu, è tutto questo.
Ma torniamo alla Francia, anzi a Parigi e a quel “fin de siècle” in cui – a differenza dei tempi che ci riguardano, flagellati dal virus e affetti, ancor prima, da un individualismo che delira onnipotenza, dimentichi che proprio la socialità ci ha evitato la fine dei dinosauri – tutti questi talenti avevano la buona abitudine di incontrarsi, stare insieme, ubriacarsi, litigare e mandarsi al diavolo su temi che oggi sono considerati “voluttuari”, come se il Sapiens avesse potuto evitare l’estinzione, nel corso di trecentomila anni, senza la “voluptas” della scoperta! Jarry, quindi, ebbe gioco facile nell’influenzare una serie invidiabile di talenti coevi e successivi. Fino ad arrivare ai giorni nostri. Profetica sembra, quindi, l’esclamazione che indirizzò alla condomina, preoccupata dell’incolumità dei bambini, quando ebbe la brillante idea di sparare dal balcone, rassicurandola che gliene avrebbe fatti fare degli altri. Forse nemmeno lui immaginava che i figli sarebbero stati così tanti.
Ma torniamo a Bòdler. Esplora il mondo in cui vive per cercare di capirlo e farselo piacere. Ma non ci riesce. Nonostante le sue buone e comprensive intenzioni. Cosa vede Bòdler con il suo potente psicoperiscopio sotterraneo? “Palazzetti dello sport, ristoranti a prezzo fisso e supermercati semivuoti sono i nuovi teatri dell’evento temporaneo che mette in scena chiunque”… “aree della sacralità laica inaugurate una volta e sempre di nuovo inaugurabili da sindaci e benefattori, che li hanno voluti a tutti i costi e perciò tutti i costi hanno pagato.”
Bòdler non è il Bartleby melvilliano, non abdica alla vita che non gli somiglia, non oppone il gran rifiuto, Bòdler preferisce fare. Bòdler ha un semantema (body) che lo inchioda all’azione. Così, un bel giorno di primavera (casuale che si sia scelta la stagione della rinascita, del boccio, del risveglio della natura?) prende un breve periodo di ferie dal lavoro che svolgeva presso la cartiera del suo paese e scompare. In tutti i sensi. Si smaterializza. Non che quando era in carne e ossa fosse più visibile. Anzi, faceva di tutto per passare inosservato, proprio nell’era in cui i vizi privati e le pubbliche virtù fintamente coincidono, “la sua esistenza aveva preso la piega di un tessuto per tende da salotto, verticale, dritto e lavato al cambio di stagione.”… “Si era convinto nel corso delle sue immersioni che non occorresse necessariamente spiegare il proprio punto di vista, dal momento che lui, per primo, non era interessato a quello degli altri.”… “Bòdler non cercò mai di attirare l’attenzione su di sé e, in questo modo, veniva sentito, trattato e, quindi, ignorato. Aveva un fratello con cui scambiava, ogni tanto, qualche parola sul tempo e la viabilità del traffico, argomenti che al termine della discussione apparivano sempre più incerti per entrambi. I colleghi di lavoro, le persone che vedeva con più costanza, erano relegati a ruolo di comparse in una scena statica, che poneva Bòdler come un volto ritratto a lato di una vecchia fotografia, dentro cui le persone erano piccole, sfumate in bianco e nero, nessuna di esse sorridente, ma tutte con lo sguardo rivolto alla fotocamera, eccetto lui, che con fare distratto sembrava uno che avesse perso la speranza che il fotografo si sbrigasse a scattare.”
Bòdler è un eroe romantico. Perché se, da un lato, sembra presentare tutti i tratti che qualunque psichiatra di navigata esperienza definirebbe sintomatici di una personalità schizoide, e cioè iperriflessività, distacco ironico nei confronti del mondo e di chi lo abita, forte vocazione verso l’anarchia, un certo manierismo fenomenologico e una spiccata attitudine a travalicare quello che le persone normali nutrono e considerano “senso comune”, dall’altro, il quadro psicologico descritto, seppur in modo estremamente sintetico, corrisponde, in modo quasi sorprendente, al creativo, all’artista, al deragliatore visionario, all’inventore fantastico, al navigatore lunatico, all’estatico predittivo. Perché se la ’Patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, occorre avere proprio un’immaginazione tosta, tanta da far impallidire quella del Barone di Munchausen, per poter trovare, o cercare in tutti i modi possibili di trovare, una o più esaustive soluzioni. È inutile ricordare che la parola “soluzione” proviene dal latino “solvere”, sciogliere, anche se, nell’Occidente del capitalismo muscolare e della teocrazia del libero mercato, ha acquisito il significato, corrente e anglofilizzato, di “problem solving”, e cioè se c’è un problema ci sarà pure una maledetta soluzione. Bòdler si scioglie per trovare una soluzione. Per quanto si vesta quasi sempre di nero, non abbia amici, e non “aveva stranamente un cane”, per quanto sia l’opposto del “secolo di Internet, del web, della manifestazione del sé, della ricerca della notorietà, del presenziare agli eventi, del viaggio distintivo”, Bòdler crede di poter salvare l’Umanità dal suo giogo digitale, perché finanche “un insieme di buone immagini può essere detestabile dopo qualche ora di vacua virtualità”, e, per essere compreso e riconosciuto, fa quello che fanno tutti i supereroi: si trasforma. Bòdler diventa Ubuweb. Un virus? un diavoletto dispettoso? un iperione? Non importa quello che è, importa quello che fa. E Ubuweb fa, e come! Cancella il web! “per liberare questo linguaggio satellite che insulta le emozioni”. Perché se è vero quello che dice Giorgio Manganelli e cioè che “un’idea del linguaggio, ormai lo sappiamo, non può non essere un’idea del mondo”, allora è da lì che bisogna ricominciare.
Cosa succede quando il web viene cancellato? Non rivelerò né il seguito né la fine. Perché leggere questo delizioso “pamphlet” è un piacere di cui non ci si può privare. È divertente dalla prima all’ultima pagina, scritto con quella “leggerezza”, tanto cara a Calvino, autore amato da Guglielminetti, che “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”, o dentro, in profondità, nell’abisso, negli inferi dei byte, e cogliere l’essenza, la sostanza di cui è fatto l’uomo post-moderno, che rimane inerte e immobile, chiuso tra emoticon e solitudine, di fronte alla ferocia del tempo, che Guglielminetti descrive ed elenca in alcuni lapidari, aguzzi, aggressivi, ossessivi slogan che incalzano la vita di ogni giorno e che scandiscono cronache di ordinaria follia, fatte di crimini efferati, di violenza implosa in contesti insospettabili, di morti sul lavoro, del Golem d’argilla di una finanza immorale, di disastri ambientali e migratori.
Ci vuole vero “jarryismo” e senso della scrittura per affrontare argomenti così disperanti, mantenendo il registro della raffinata ironia, del guizzo buffonesco (nel suo significato siciliano di “buffuniàri”, prendere in giro, deridere, farsi beffa), della potenza immaginifica, alternando narrazione disincantata a dialoghi teatrali surreali, dalla giocosità circense, a scenari danteschi in cui si vede e si sente tutto il cinema di cui Guglielminetti si dice appassionato e che frequenta sin da quando era bambino.
“Ho visto cose che voi umani…”: battuta arcinota che ormai vive di vita propria, usata e abusata oltre il suo significato, altrettanto notoriamente pronunciata dal replicante di “Blade Runner”, film di Ridley Scott, che ha segnato, proprio come Jarry ha fatto con il suo genio folle e immaginifico, tutta la cinematografia successiva, di genere e non. Ubuweb/Guglielminetti vede/immagina cose che noi umani ancora non riusciamo a capire nella sua drammaticità: un’umanità livida, anaffettiva, seriale, malata di “nymbismo” che, senza web, si aggira smarrita e purgatoria in cerca di un leader qualunque, purché si assurga, che ne prenda il posto e la conduca. Che restituisca il web quotidiano e che non la liberi dal male, perché il male serve a illuderla di vivere nel migliore dei mondi possibili.