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2014 © Tadas Kazakevicius (www.tedkozak.com)

Aspettavo Carl ormai da tre ore, anche il suo cane si era stufato di giocare ormai. Sudaticcio mi sedetti sulla panca di legno sotto il pergolato, proprio di fianco all’ingresso, accesi una sigaretta e dissi tra me e me che se non fosse arrivato entro l’ultimo tiro di sigaretta, sarei andato via.
Chiamargli al cellulare? Utopia. Lui non ne ha e comunque, dove sta Carl, non puoi telefonare con nulla che non abbia almeno un paio di chilometri di cavo a disposizione. Ad un tratto il suo cane alzò la testa e cominciò a correre verso ovest, lo aveva fiutato. Eccolo infatti apparire all’orizzonte, riuscivo a distinguerlo a malapena, sotto il sole che cominciava a calare, con un sacco sulle spalle e il suo fucile da caccia. Mi fece entrare in casa, diede da mangiare al cane e mise l’acqua a bollire per il the, poi sparì per una buona mezzora per riapparire vestito di tutto punto, alle dita i suoi tre anelli d’argento: ci tiene molto ad essere ben vestito quando riceve qualcuno.
Adesso e solo adesso avrei potuto godere della sua ricchezza.
Cerchiamo di capirci però, Carl non è ricco, credo che a parte il cane, quel vestito ormai logoro e quei tre anelli non abbia proprio nulla; vive della sua terra, ma per me è ed è sempre stato la persona più ricca che conosca.
Carl disprezza gli adulti e ama i giovani, se mi fa entrare in casa, a bere il the con lui e a chiacchierare, è solo perché sono un ventenne. Lui dice che gli adulti sono dei frutti marci, che peggiorano con l’età e che costringono i giovani puri a vivere nel marciume che creano.
Definitivo su questo concetto, lapidario.
Posai sul tavolo il caffè e il tabacco che gli avevo portato, poi mi sedetti.
Quella sera, mentre sorseggiavamo il the bollente, mi comunicò con la sua solita sigaretta in bocca, una delle sue entusiasmanti teorie:
– I proverbi, caro mio, sono tutti sbagliati!
– Carl! Questa è grossa! – risposi attonito, ma lui incalzò: – Dimmene uno qualunque allora, te lo dimostrerò.
Io d’istinto scandii, quasi recitandolo a tono: – L’occasione fa l’uomo ladro.
La sua risposta non si fece aspettare: – Certo, ma suona come una giustificazione non trovi? La colpa non si riversa sul ladro, ma sul contesto! Implica, ovvero, che finalmente un povero sfortunato ladro abbia trovato finalmente l’occasione per cambiare… forse… ma credo poco che il marciume di un ladro possa cambiare… Non trovi che sia più appropriato dire “L’occasione fa l’uomo onesto”? Detta così, sembra che anche il ladro peggiore, possa avere l’occasione per cambiare e diventare onesto!
Non seppi rispondere.
Preso dalla curiosità ne citai un altro: – Mal comune, mezzo gaudio!
Anche qui la risposta fu celere e sicura: – Ovvero dovrei essere “mezzo felice” perché non soffro da solo? Perché esiste altra gente che soffre del mio stesso male? O piuttosto dovrei invece dispiacermi il doppio poiché la situazione è pessima per tutti quelli che soffrono come me? Credo decisamente la seconda! Lo cambierei in “mal comune, lo si cura”… adesso sì che tende al bene.
Anche in questo caso non seppi controbattere nulla.
– Carl!- dissi bevendo l’ultimo sorso caldo: – Non continuo, immagino che tu abbia una risposta per ogni proverbio che citerò e che il resto delle risposte debba trovarle come al solito da solo.
Mi sorrise e disse soltanto: – Esattamente.
Stavo per indossare la giacca e uscire, quando fui preso da uno sconforto al cuore: adesso vedevo ogni dialogo inutile, un insieme di luoghi comuni e di frasi fatte, un’intera quotidianità di discorsi da buttare via, vedevo le parole diventare affilate e pian piano entrare nel cuore senza dolcezza, sentivo echeggiare i discorsi fatti con gli amici, con la mia famiglia, a lavoro, e con tutta la gente che ogni giorno incontravo.
Sentivo il loro prezzo e il loro peso, il loro colore e il loro suono, e tutto questo mi schiacciava.
Lo chiamai ancora mentre una mano toccava già la maniglia della vecchia porta: – Carl! Ma adesso mi tocca rifare tutto, non mi rimane nulla! Solo la speranza!
Mi guardò come un padre guarda un figlio, severo, ma gioioso, poi disse: – No, caro compagno di vita, la speranza non è l’ultima a morire, l’ultimo a morire sei tu, la speranza è una donna bellissima che dorme in attesa di svegliarsi, solo tu con il suono del tuo coraggio potrai destarla.
Lo abbracciai sull’uscio prima di andare via, lui mi strinse e sentii le sue gracili ossa anziane contro il mio corpo che diventava sempre più adulto.
Anche stavolta Carl mi aveva dato tutta la ricchezza di cui avevo bisogno.

 

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