Franz Kafka: “Amore… tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso”

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Aprile 1920. Dalla pensione “Ottoburg” di Merano, dove si era recato per un soggiorno di cura, Franz Kafka scrisse le prime lettere a Milena Jesenská – Polak, una giovane traduttrice ceca che aveva conosciuto a Praga. Gli amici la ricordano avida di vita, di denaro e di sentimenti. “Lei è un fuoco vivo come non ne ho visti” scrive, evidenziando delicatamente alcune caratteristiche della sua personalità. La corrispondenza tra Kafka e Milena divenne molto stretta e intima. Si racconta che nella vita di Kafka ci furono altre donne, ma che nessuna riuscì a penetrare il suo animo così in profondità. Le Lettere a Milena restano eterne e sono la testimonianza di un amore profondo, dentro il quale, prendono vita scintille d’infinito che illuminano i nostri giorni. Due mesi dopo scrive: “Tu mi appartieni, anche se non dovessi vederti mai più”. Sembra una frase d’amore qualunque, come se ne leggono tante. Sembra il solito amore che si manifesta nel mondo ma non appartiene al mondo e di cui gli esseri umani hanno paura. Sette mesi dopo il turbato Franz scrive: “Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre”. S’incontrarono soltanto poche volte: a Vienna e poi a Gmünd. Kafka pose fine alla loro relazione anche a causa del fatto che Milena non voleva lasciare il marito. La loro corrispondenza quasi quotidiana, si interruppe nel novembre 1920 ma si scrissero ancora nel 1922 e nel 1923. Quando la conobbe, aveva trentotto anni e «i capelli bianchi delle vecchie notti»; lei era sposata, scriveva sui giornali, «Era bella come un angelo», era molto giovane, ventitré o venticinque anni; lui si stava consumando, lei era fresca e coraggiosa. “Milena se n’ è andata, alla metà di maggio del 1944, fra i reticolati del campo di Ravensbrück, sfinita dai patimenti, con il peso della memoria e l’affanno d’un congedo senza dolcezza” (da I turbamenti del giovane Kafka di Enzo Biagi). Milena rimase un’ombra nei suoi sogni impossibili e disperati. «Cara signora Milena», comincia l’ultima lettera, «per favore non mi scriva più». Non c’è neppure un’ora per il dialogo, bisogna che l’uomo Kafka si prepari all’ addio. È la fine. Anche se una volta aveva detto: «Non prendo commiato. Come potrei farlo se tu sei viva?».” Meno di un secolo dopo Franz e Milena la corrispondenza non è più epistolare. Una lettera diventata “email”,  poi “sms”, prima di “Whatsapp”, un’applicazione di messaggistica istantanea per smartphone. Nell’era post-carta nessuno ha storie da ricordare, semmai ha storie da dimenticare. I rapporti sono appesi come le t-shirt nei grandi magazzini, in bilico, tra la presa in giro e l’amicizia. L’amore costa di meno. La vecchia cena “a lume di candela” è stata sostituita dai “fast food”. “Ci frequentiamo” ha sostituito il “ti amo”. Ci si conquista di meno e ci si concede di più. I messaggi istantanei consumano le storie velocemente: si può lasciare qualcuno senza nemmeno avvisarlo, senza camminare a piedi fino a casa sua per comunicarglielo, senza imprecare per la difficoltà di parcheggio e senza bagnarsi con una goccia di pioggia, in caso di pioggia. La nuova civiltà è social. L’individuo è posseduto dalla smania di allargare le proprie conoscenze. L’inizio e la fine di una storia sembrano contenute nello stesso attimo. In un nanosecondo: velocemente si ama, velocemente si consuma, velocemente si passa ad una nuova conquista. Nelle vene dei messaggi social regna l’impulso del momento, posseduto da una proiezione di sé molto fugace e uno stato mentale altrettanto effimero. Non esistono emozioni che arrivano al giorno successivo, ma solo conversazioni luminose e fragili. Eppure, dentro un attimo fuggente, ci si può far male di dolore vero! 

(Carina Spurio)

 

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