Gabriela Mistral: “Canto che amavi”, un bisogno primario di tornare ad elementi comuni.

 

Gabriela Mistral, Canto che amavi, traduzione di Matteo Lefèvre, Marcos y Marcos, 2018.

Se quest’antologia della poetessa cilena, premio Nobel nel 1945, fosse un film da consigliare, useremmo la formula seguente: «per bambini accompagnati da un genitore». Non perché i piccoli vi troverebbero immagini poco adatte alla loro età, tali da meritare l’intervento di un adulto, ma perché questo libro è uno strumento efficace per introdurre la lettura della poesia in giovane età, da condividere subito con un’altra generazione, la quale ne trarrà ovviamente grande profitto. Le qualità della poesia della Mistral sono inscindibili dal suo rapporto con la canzone popolare, la filastrocca infantile e la fiaba (anche dolorosa). Siamo quasi sempre di fronte a componimenti di una certa lunghezza, quartine che fanno avanzare la narrazione di una leggenda (perché «muore la storia del mondo / quando muore il narratore») e che celano a volte ritornelli malinconici, sia per condurre la sepoltura di una persona amata (un martire), sia per cantare la nostalgia della propria terra, dopo tanti viaggi e missioni («Le barche le cui vele biancheggiano nel porto / arrivano da terre a cui non appartengo; / gente dagli occhi chiari che non sanno i miei fiumi, / portano frutti pallidi, di orti senza luce»). Di qui l’impressione, per l’appunto, che martiri siano un po’ tutti gli umili lodati con pietas cristiana: operai, contadini, donne anziane, forti e sagge, e in genere quando sono presenti le bambine, la questione è sempre quella di non crescere troppo presto, per paura che l’infanzia voli via. Perciò i giovani lettori incontreranno gli ingredienti classici della poesia: ritmi regolari e danzanti, metafore, ma pure un universo incantato ed esotico. E soprattutto, il bisogno primario del poeta di tornare ad elementi comuni, che parlano chiaro ai più poveri: il pane, il sale, l’acqua, il mais. Da questo punto di vista, la Mistral ci rimanda al giovane García Lorca e alla semplice plasticità di alcune odi del suo connazionale Pablo Neruda. Entrambi da rileggere di seguito. Potremmo concludere con quattro versi che ben rappresentano l’esperienza della neve nello stile di Gabriela Mistral: «Sempre lei, silenziosa, come il maestoso sguardo / di Dio su di me; sempre i suoi fiori sul tetto; / sempre, come il destino che non sfuma né accade, / tornerà giù a coprirmi, terribile e stregata».

 

 

 

 

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