Giuseppe Di Matteo e il suo “Meridionale. Frammenti di un mondo alla rovescia”.

tre domande, tre poesie

«La poesia di Di Matteo pone in evidenza le questioni più spigolose dei diversi Sud del nostro mondo. Non ha alcun intento consolatorio, non edulcora la realtà. Al massimo, punta a sintetizzare la complessità del reale. Nei frammenti circolano temi di riflessione sulla partenza, la restanza e i ritorni “Meridionale: / romanzo in versi/ dell’ultima porta socchiusa”. Il continuo flusso migratorio “dal mare al pane” occupa uno dei centri nevralgici di questa silloge, come il tema del viaggio e della nostalgia di casa, della Puglia, trasfigurata in una sposa “di pietra candida / su un sole di grano”. La poesia si conferma uno strumento indispensabile per poter leggere e tradurre il nostro tempo, le sue paure e le sue aspirazioni. È indispensabile soprattutto per scuotere i lettori e sottrarli allo smarrimento: per dirla con la poeta Elisa Biagini, la poesia è il legno che ci sorregge nell’acqua, “parola-ramo che ci tiene”».

(dalla prefazione di Alessandro Cannavale)

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio, qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Meridionale. Frammenti di un mondo alla rovescia”, 4Punte edizioni?

«La scintilla trascende quest’ultimo libriccino. Inizia infatti ad alimentarsi qualche anno fa, quando decisi di andare alla ricerca del senso di alcune parole. Precarietà è il nome della prima tappa (oltre che la protagonista del mio primo libro di poesie Frammenti di un precario); confinamento, invece, è la seconda tappa di quel viaggio (e infatti Cronache quotidiane il titolo della seconda silloge). Con Meridionale ho provato a scavare nell’anima di una parola già scolpita nel titolo stesso: chi sono i Meridionali? Cosa significa esserlo oggi? La domanda è tutt’altro che oziosa e ancor meno lo è la risposta. I Meridionali, infatti, non sono solo gli italiani del Sud. Sono soprattutto i figli di una sofferenza condivisa, che abita nel nostro Sud ma anche in tanti altri Sud del mondo. Una sofferenza che noi Meridionali “doc” conosciamo bene, anche se sempre più spesso la dimentichiamo a causa del sopraggiunto benessere, che tra l’altro non tocca nemmeno tutti».

Riporteresti una poesia (di altro autore) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, rivelandoci cosa “muove” la tua “preferenza”?

«Adoro La Pietà di Giuseppe Ungaretti, soprattutto la quarta sezione:

“L’uomo, monotono universo,
crede allargarsi i beni
e dalle sue mani febbrili
non escono senza fine che limiti.

Attaccato sul vuoto
al suo filo di ragno,
non teme e non seduce
se non il proprio grido.

Ripara il logorio alzando tombe,
e per pensarti, Eterno,
non ha che le bestemmie”.

Ungaretti è per me un poeta imprescindibile. Non solo per i contenuti ma anche per lo stile, apparentemente “semplice”. Tutt’altro. Quella di Ungaretti è una poesia rivoluzionaria anche dal punto di vista stilistico e, per quanto mi riguarda, il suo resta un modello ancora oggi insuperabile. E in questa poesia descrive l’impotenza dell’uomo, che in fondo è poesia essa stessa».

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro, “Meridionale. Frammenti di un mondo alla rovescia”, edito da 4 Punte; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

«La prima poesia che mi viene in mente è questa:

“Nel sonno della calce
grida in silenzio
la dignità delle formiche
che un tempo eravamo”.

E non è un caso. Il viaggio parte da questo senso di desolazione. Perché il Sud è anche uno stato mentale. Una litania della Rassegnazione, talvolta, che cerchiamo di mascherare con qualche bella cartolina o con una nostalgia fine a se stessa. Eppure, quello del Sud è un popolo intriso di enorme dignità. Sa come combattere. E deve reagire. Spesso lo fa lasciando la propria terra, qualche volta racconta scorci esistenziali di eroica resistenza. Il problema è il tempo, che al Sud è immobile.

“Ha la pelle nera
il Meridionale di quest’era.
Un alito di sale
le mani orfane di mezzo pane.

Dopo l’ultimo orizzonte
scruta senza fine
la riva più lontana del nostro cuore”.

“Ancora una volta
partire da Itaca
con la vela sul petto
di una nuvola inquieta”».

Questi due componimenti sono un po’ l’anima del libro: chi arriva e chi va. Via».

 

Giuseppe Di Matteo (Bari, 1983), giornalista professionista, collabora con QN e con il blog Pane e Scorpioni. Ha lavorato a Sky TG24, Il Giorno, Telenorba e la Gazzetta del Mezzogiorno. È stato anche addetto stampa della casa editrice Paginauno. Nel 2019 ha pubblicato Frammenti di un precario (Les Flâneurs Edizioni), nel 2020 Cronache quotidiane (sempre per Les Flâneurs) e nel 2022 Il 1799 in Terra di Bari (Adda Editore).

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