Il tempo in un bicchiere di vino. Le quartine di Omar Khayyâm

 

l’étranger di Davide Zizza

Omar Khayyam
Omar Khayyam

L’interesse europeo per le quartine del «fabbricatore di tende» – questo il significato letterale del cognome di uno dei più affascinanti poeti di lingua persiana dell’XI sec. quale fu Omar Khayyâm – risale, ci ricorda Mario Praz, alla sua diffusione nell’Inghilterra pre-raffaelita. Edward Fitzgerald, poeta e traduttore, basandosi su un manoscritto del 1460-61 conservato nella Bodleian Library, pubblicò una sua vulgata nel 1859, edizione questa scoperta da Dante Gabriel Rossetti l’anno dopo su una bancarella. Khayyâm apparve subito consono al clima letterario di allora, l’edonismo e lo scetticismo dei suoi componimenti accompagnati alla raffinatezza del verso sembravano collimare con la concezione di vita dell’epoca. Lungi dall’inquadrare in modo esaustivo l’autore e l’opera – i dati biografici rientrano nel rango dell’aneddotica e le interpretazioni sulla sua figura risultano controverse, inoltre rimangono ancora aperte ipotesi sull’autenticità di alcuni componimenti – per conoscere la visione di Khayyâm possiamo serenamente soffermarci su due delle edizioni più note che incontrano ancora adesso ristampa in Italia, l’edizione di Hafez Hajdar (Rizzoli, 1997) e quella di Alessandro Bausani. In particolare Bausani (Einaudi 1956, ristampa 1979 e successive) – allora uno dei più forti studiosi del mondo culturale e letterario islamico – traccia dei criteri essenziali per dare una fisionomia, se non esatta tuttavia meno incerta, riguardo il poeta e la sua raccolta. Ma a prescindere dalla filologia, rimangono le liriche e le sensazioni fugaci che queste comunicano al lettore. Alternando misticismo, filosofia pessimista e ateismo venato di umorismo, Khayyâm, un po’ alla maniera di Orazio, suggerisce di cogliere l’attimo perché la ruota del tempo gira e ci riduce in polvere («Cogli quest’attimo, tu, del Tempo» quartina 65; «ché passa e non resta questa tua vita d’un giorno» quartina 83); in questo giardino-mondo la nostra vita è racchiusa in «scrigno di terra» (quartina 57); siamo anfore di argilla, creati da un Dio-Vasaio (quartina 117), che contengono l’inafferrabile mistero dell’esistenza. L’amarezza nel non poter fermare la fuggevolezza dell’istante, essendo la morte il destino comune degli uomini, si traduce in tristezza e cerca consolazione nel piacere di vivere. Il tema del vino ricorre spesso in Khayyâm. Nonostante la controversia ermeneutica nel considerarlo un vino vero o simbolico – allora vi erano delle restrizioni sul bere e al tempo stesso il vino acquisiva valore evocativo nella creazione di quartine – Khayyâm non manca nel consiglio di trascorrere i giorni «con una coppa e una bella fanciulla». Ma se da una parte i suoi versi, esortandoci a non sprecare il tempo in affanni, ritornano seducenti alle nostre orecchie, dall’altra il poeta invita a riflettere filosoficamente sul senso di quanto accade intorno a noi («Dal mare della Meditazione la Sapienza m’ha tratto una Perla» quartina 128). Il mistero di esistere non può essere svelato. Può essere solo vissuto.

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