Intervista a Diego Bertelli, curatore del sito ufficiale di Bartolo Cattafi.

Cattafi, Milano, anni Sessanta
Cattafi, Milano, anni Sessanta (immagine tratta dal sito www.bartolocattafi.it)

Lunedì 27 maggio 2013, alle ore 17, al Caffè Letterario delle Murate, Firenze, Diego Bertelli, Raoul Bruni e Paolo Maccari presentano “La poesia di Bartolo Cattafi”. Inaugurazione del sito ufficiale del poeta (www.bartolocattafi.it). Modererà l’evento Vittorio Biagini. Per l’occasione, abbiamo intervistato lo studioso Diego Bertelli che, con la collaborazione di Ada ed Elisabetta Cattafi, cura i contenuti del sito.

Parliamo innanzitutto del tuo amore per l’opera di Bartolo Cattafi. Com’è nato?

Come tutte le cose migliori, anche il mio amore per l’opera di Cattafi si è costruito a poco a poco, attraverso una lunga e famigliare frequentazione, resistendo e rafforzandosi nel tempo. Oggi sento la forza della sua poesia ancor più di quando l’ho scoperto, una decina di anni fa. Ripensando alla mia esperienza con Cattafi e in generale al mio lavoro sulla sua poesia sento di aver avuto un privilegio enorme; quello di aver lavorato a fianco ad Ada ed Elisabetta Cattafi, che hanno arricchito di una componente umana essenziale il mio percorso di studi e la mia comprensione. Credo sia stato questo a fare la differenza tra i tanti poeti amati e studiati nel corso degli anni e Cattafi, a cui mi sento legatissimo, ben oltre l’apprezzamento indiscutibile della sua poesia.

Ti sei laureato alla Yale University con una tesi sui rapporti tra inizio e fine della scrittura nel Novecento. Di cosa tratta esattamente il tuo lavoro? Perché hai scelto di includere il poeta siciliano discutendo un aspetto poco conosciuto della sua opera, quello della scrittura diaristica? Puoi accennarci qualcosa del tuo lavoro?

La tesi di dottorato è stato un laboratorio essenziale di idee, che il professor Giuseppe Mazzotta, mio dissertation director, ha accolto con sincero entusiasmo. Da tempo avevo deciso di fissare alcune ipotesi di lavoro su concetti per me decisivi in letteratura: «opera», «testo», «corpus», «inedito», «incompiuto», «silenzio poetico» o, più in generale, creativo, con tutto il carico simbolico a essi collegato, specie in rapporto all’inizio e alla fine della scrittura. Ricordo la folgorante riflessione di Foscolo: «Il carme sulle Grazie è finito, ma non terminato». Tutta la storia della letteratura è da sempre una storia di perdite e ritrovamenti, del textum che viene consumato dal tempus edax, come scrive Boccaccio nella Genealogia. Ho scelto il Novecento tenendo sempre a mente la lezione di Baldacci, ossia pensandolo in relazione all’Ottocento e individuando in Dossi e Leopardi un turning point decisivo non solo sul piano della cronologia (Note azzurre e Zibaldone come opere inedite che aprono il Novecento), ma anche su quello gnoseologico. È necessario premettere che il secolo XX, per una seria di concomitanze storiche, si è trovato a riflettere sul concetto di fine come solo i secoli XIV e XVII hanno fatto (il parallelo possibile è quello tra l’esperienza delle pestilenze e le due guerre mondiali), ma con in più la perdita di una forte componente religioso-valoriale, presente invece nel medioevo e nel secolo della Controriforma (la nietzscheana «morte di Dio» come morte dei valori). In più, sempre rispetto al passato, il Novecento ha subito indubbiamente una compressione enorme delle fasi di progresso e crisi storiche, sia nel caso delle rivoluzioni sociali sia di quelle politiche e industriali. L’accelerazione del tempo e la relatività dello spazio hanno condotto, in generale, a una minor durata degli eventi, tanto che Hobsbawn, con sguardo retrospettivo, ha parlato di «secolo breve». Le ripercussioni sulla scrittura sono state immediate e decisive. Da una parte si sono manifestati più che mai i sintomi di quella che Citati ha definito «malattia dell’infinito», con scritture destinate a restare scrittura, a non «riuscire opera»; dall’altra, le possibilità asintotiche dell’infinito sono state esorcizzate attraverso un gioco a carte scoperte. Nel Novecento, volendo sintetizzare, laddove non sia trattato di mostrare, anche ludicamente, l’aspetto metaletterario della scrittura, quest’ultima ha vissuto in modo esplicito la sua malattia, con lo scrittore che drammatizza l’atto creativo, scrivendo e nascondendo il testo, moltiplicandolo all’infinito, distruggendolo. Per quel che riguarda Cattafi, valeva appunto un fatto, quello del rogo letterario, che negava del tutto il suo aspetto retorico (quello virgiliano del fuoco che brucia il testo perché non finito, imperfetto), elevandosi a necessità vera e propria. La distruzione del testo sembrava rispondere a una sua generazione incontrollata e molteplice, come se ad agire fosse un essenziale bilanciamento fisiologico. In una conferenza che ho tenuto a Oxford nel 2011, ho insistito proprio su questa congiunzione tra distruzione e produzione del testo in alcuni momenti topici della parabola creativa del poeta. Dopo una fase di discontinuità profonda, termine che preferisco a quello di «silenzio», è la scrittura diaristica, fino a quel momento mai praticata da Cattafi, a proporsi come un esempio unico nel suo genere di ipotesto poetico, «sorreggendo» tutta la produzione lirica che ricomincia a partire dal 1971, quando l’occasione di un’edizione fuori commercio delle sue poesie segna il ritorno alla scrittura. In quel momento, la congiunzione tra inizio della scrittura diaristica, selezione delle poesie da mandare all’editore e impegno in ambito grafico, portano Cattafi a bruciare un’ingente quantità delle sue carte. Poi, una notte, «come morso da una tarantola», si apre la piena della scrittura poetica, stavolta però mai separata dalla pratica quotidiana del diario. Da quel momento in poi, la poesia di Cattafi, come parte edita, e la sua scrittura diaristica, come parte inedita, si riflettono specularmente, mostrando in maniera esemplare l’idea di un inizio e di una fine costanti della scrittura.

Da studioso che fa la spola tra Italia e Stati Uniti come vedi la ricezione dell’opera di Cattafi? A che punto sono gli studi in Italia e le traduzioni estere?

Cattafi è un caso unico anche da questo punto di vista. Vale per lui, più che per qualsiasi altro poeta del secolo scorso, l’espressione nemo propheta in patria. La diffusione estera di Cattafi è inversamente proporzionale all’attenzione italiana nei suoi confronti. Stupisce sempre come alcuni dei massimi critici, studiosi e poeti del Novecento abbiano riconosciuto in Cattafi un unicum, mentre altri lo abbiano sistematicamente ignorato. Penso a Baldacci, Bo, Sereni, Raboni, Savoca, e poi mi viene in mente Mengaldo e l’esclusione di Cattafi dal gotha della poesia del Novecento. Che Cattafi sia una voce fuori del coro è indubbio. Nonostante ciò abbia determinato una tensione non poco infruttuosa per quel che riguarda la sua fortuna, il fatto rappresenta adesso un valore aggiunto, ne conferma la sua attualità. Pochissimi poeti oggi, nati come Cattafi negli anni Venti del Novecento, si leggono altrettanto bene, senza sentirli «invecchiati», appesantiti dal tempo trascorso. E questa non è semplicemente la mia opinione, ma quella di chiunque si è avvicinato senza pregiudizi all’opera di Cattafi. Eppure, la dialettica tra ricezione e diffusione della sua poesia in Italia e all’estero non lascia spazio ad alcun margine: Cattafi è sconosciuto alla maggior parte dei critici americani, ancora oggi sottovalutato dalla critica accademica nostrana, mentre resta uno dei poeti più tradotti all’estero, specie negli Stati Uniti, dove ha avuto l’attenzione e l’amicizia di Ruth Feldman e Brian Swann. Nel 2000, Brian Cole ha pubblicato una nuova antologia di versi in inglese, Anthracite; da appena un anno, poi, il poeta è stato riproposto nel Book of twentieth-Century Italian Poetry, curato da Goeffry Brock per il colosso Farrar, Straus and Giroux di New York. Nel nostro paese, dopo le monografie di Paolo Macccari e Stefano Prandi, rispettivamente uscite nel 2003 e 2007, non si è avuto più un approccio sistematico all’opera di Cattafi; sono seguiti solo saggi, alcuni brillanti (penso ad Andrea Cortellessa, Andrea Inglese e Luca Lenzini), ma che comunque si fermano al biennio 2006-2008. A segnare questa minore attenzione, ahimè, l’assenza di Cattafi dagli scaffali delle librerie, inutile ricordarlo.

 Il sito che inaugurate il 27 maggio di quest’anno a Firenze contiene una biografia dettagliatissima e dei contributi video, come l’intervista fatta da Vittorio Sereni, che sono autentiche rarità. C’è ancora un lavoro in fieri dove sono previste ulteriori perle, significative soprattutto per un poeta così appartato?

Il 27 maggio rappresenta una data davvero importante per me, Ada ed Elisabetta Cattafi, che saranno presenti all’evento. È il riconoscimento ufficiale di un lungo percorso di studi, ipotesi, soluzioni pensate e risolte senza il supporto di nessuno, grazie soltanto al nostro entusiasmo e all’amore per la poesia di Cattafi. Può sembrare la solita frase fatta, ma si tratta esattamente di questo: abbiamo fatto tutto da soli e il sito, da quando è stato indicizzato e messo on line ha avuto il riconoscimento che merita. La biografia è stata un’intuizione fondamentale di Ada ed è forse la cosa più importante, perché uno studio ampio sulla vita di Cattafi mancava. Per quel che riguarda il resto dei contenuti, recuperare il materiale disperso è stato per me come scoprire un tesoro nascosto; abbiamo deciso con attenzione cosa sarebbe dovuto andare in rete e cosa invece escludere, anche per non appesantire il sito. Questo è valso sia per il materiale audio-video sia per la parte dedicata all’opera grafica del poeta. Non escludiamo di inserire nuovi contenuti nel futuro prossimo, secondo la dinamica dell’«aggiornamento», anche perché questo è il solo modo per mantenere in vita un sito. Mi riferisco soprattutto ad esempi del repertorio fotografico di Cattafi, sia per il valore documentario dei soggetti delle fotografie sia per il pregio visibile di alcune di esse; c’è poi la biblioteca del poeta, che rappresenta un altro pregiato elemento di studio ancora non presente sul sito. Ricollegandomi infine alla questione espressa nella domanda precedente, posso dire che l’intenzione adesso è quella di creare presto uno spazio gemello alla sezione «Leggi» per le traduzioni di Cattafi, permettendo al lettore di sfogliarle come le pagine di un libro virtuale ed eventualmente scaricarle in formato pdf sul computer. Vogliamo fornire all’utente la maggior quantità di materiale possibile senza alcuna forma di mediazione, attraverso il contatto diretto col testo, ma senza scadere nel superfluo. Inoltre, le traduzioni di Cattafi, non solo quelle nordamericane ed europee, ma soprattutto quelle di area balcanica, amplierebbero il bacino d’utenza in modo decisivo; questo sarebbe per noi importantissimo, dato che la nostra, alla fine, è una lotta contro una certa, reiterata disattenzione nei confronti del poeta. Internet è stato anche questo: una reazione decisa contro le dinamiche editoriali tradizionali, le attese dall’alto, i paludamenti accademici. Senza negare del tutto una certa bontà dei meccanismi di diffusione tradizionale, che in certi contesti e grazie a menti illuminate ancora funzionano, oggi è anche possibile andare oltre, e noi ci siamo riusciti. Non credo che sia così facile trovare in rete siti ricchi di materiale, sobri nell’aspetto e user-friendly come il nostro, lo dico anche con orgoglio. Anche dal punto di vista del «look» abbiamo lavorato molto: per resa cromatica, dimensione dei caratteri e infine struttura dei paragrafi. Sul web abbiamo visto moltissimi esempi di siti dedicati alla poesia e ai poeti che però non ci convincevano: troppi orpelli, colori eccessivi, effetti grafici superflui, spesso e volentieri. Noi, in linea con la poesia di Cattafi, abbiamo voluto «qualcosa di preciso».    

A che punto sono i lavori di catalogazione bibliografica?

La questione «Archivio Cattafi» è talmente importante che abbiamo deciso di pubblicare sul sito la descrizione esatta del lavoro di catalogazione compiuto, a intervalli non sempre regolari, nei due anni precedenti. La ragione principale è stata quella di documentare le fasi che hanno portato l’archivio allo stato attuale, senza perdere alcuno dei passaggi compiuti, specie per chi studierà in futuro Cattafi a partire dalle sue carte. Volendo sintetizzare il più possibile le fasi di un lavoro molto complesso, posso dire che l’intenzione è stata quella di dare un ordine al materiale ancora disperso, specie dopo l’eccellente lavoro di Prandi, che aveva ripreso laddove Leotta si era interrotto, concludendolo e ampliandolo la catalogazione attraverso il riordino della corrispondenza e l’elenco quasi completo della biblioteca privata del poeta. Io sono partito da lì, implementando la corrispondenza e soprattutto riordinando una quantità notevole di prose, tra cui sono sbucati fuori inediti che col tempo potrebbero rappresentare materiale da proporre a editori con la giusta sensibilità. In ogni caso, il mio lavoro è stato fondamentalmente quello di un riordino non definitivo del materiale ancora disperso in previsione della catalogazione generale dell’archivio, stipulata con un contratto di comodato col centro «Apice» dell’Università statale di Milano. L’accordo prevede che l’archivio venga catalogato in maniera definitiva nei prossimi dieci anni. Purtroppo sono tempi lunghi ma necessari; la cessione è stata in ogni caso un atto dovuto. La tutela di un centro specializzato garantirà il risultato a cui noi tutti aspiriamo. Non è passato neppure un anno dal momento della cessione, per cui i lavori sono appena all’inizio. Naturalmente, voglio ricordare che chiunque fosse interessato a studiare l’archivio o a consultarlo, può benissimo farlo contattandoci e stabilendo con noi e il centro «Apice» un piano di consultazione.

Si attende da tempo la pubblicazione dell’intera produzione poetica di Cattafi. Sono previste novità significative a breve? Magari l’edizione di un Meridiano Mondadori?

Come spiegavo in precedenza, si tratta di una questione delicata. Cattafi è, a questo punto, scomparso dalle librerie; l’ultima edizione mondadoriana delle sue poesie risale a più di dieci anni fa. Siamo ancora in attesa della ristampa dell’Oscar, che però sta tardando. La questione Meridiano è dunque un problema elevato al quadrato, in quanto un’edizione commentata di tutta la sua opera avrebbe cozzato con la mancata presenza di Cattafi dagli scaffali di poesia; l’operazione sarebbe stata una cattedrale nel deserto dal punto di vista commerciale. Ci sono, ahimè, molti «casi Bianciardi» nella storia dell’editoria e anche per questo vogliamo che il riconoscimento di Cattafi poeta passi attraverso altre vie. Negli ultimi dieci anni almeno, Mondadori ha scelto di privilegiare certi autori e di «riporne» altri. Dal rigoroso punto di vista del marketing, le ragioni di queste scelte sono incontrovertibili: i primi «vendono», i secondi invece no. La conseguenza più tangibile è stata la pubblicazione di tutta una serie di Meridiani che raccolgono l’opera completa di autori ancora viventi, elevando al rango di monumento prodotti necessariamente parziali. Attraverso il web e i suoi meccanismi noi abbiamo intanto ridato a Cattafi una presenza, che vuole naturalmente essere il prodromo a una riproposta della sua poesia in edizione cartacea. Anzi, specie la biografia e la bibliografia presenti sul sito sono state pensate in virtù di una futura edizione critica della sua opera. Per questo non abbiamo tralasciato nulla, indicando perfino i singoli testi presenti su rivista e nelle antologie. Intanto, però, sarebbe importante ripresentare le Poesie di Cattafi in libreria, specie in una collana economica, destinata alle nuove generazioni. Il fatto che Cattafi sia stato «dimenticato», se così si può dire, potrebbe rappresentare un vantaggio: quello di proporlo alle nuove generazioni senza il peso di filtri storici forvianti e riduttivi.

Un altro importante contributo del vostro sito ufficiale è rappresentato dalla riproduzione dell’opera artistica di Bartolo Cattafi, che include acqueforti, acquarelli e oli. Sono previsti aggiornamenti di nuovo materiale inedito?

Sì, sono d’accordo, lo reputo un contributo importante. L’idea di inserire l’opera grafica di Cattafi è stata pensata attentamente, perché dapprincipio non volevamo mettere troppa «carne al fuoco». Poi, però, è venuto quasi spontaneo inserirla, specie alla luce dell’importanza che essa ricopre nel periodo di discontinuità tra il primo e il secondo tempo della sua poesia. Si tratta, come ho specificato nel mio studio sulla scrittura diaristica di Cattafi, di un trait d’union fondamentale. In generale, tranne alcune eccezioni significative, mancano interventi specifici sull’argomento, anche perché Cattafi non è un artista e non pretende di esserlo; egli è senz’altro guidato da un’ansia di ricerca sincera, alla cui base sta un entusiasmo da intendere come theia manìa, concetto che è stato bene illustrato da Raoul Bruni nel suo volume, Il divino entusiasmo dei poeti. Da un punto di vista prettamente tecnico, forse l’opera grafica di Cattafi non raggiunge la definizione formale della sua poesia, ma se è vero che spesso la scrittura può avere un cromatismo evidente, direi che nel caso di Cattafi il tratto delle sue chine e le concrezioni dei suoi oli hanno un aspetto scritturale concettualmente indiscutibile, «visibile», specie lungo l’arco compositivo di Segni, la raccolta che ridà in positivo l’intero percorso creativo di Cattafi dal biennio 1971-72 fino alla morte. Il 27 maggio sarà Paolo Maccari, che ha dedicato a questo argomento un bell’intervento uscito qualche anno fa su Poesia, a parlarne in dettaglio.  

Spazio finale per ringraziamenti personali e credits.

I ringraziamenti vanno prima di tutto ad Ada ed Elisabetta Cattafi, per la loro generosità e fiducia, per la pazienza e l’attenzione dimostrate in questi ultimi due anni di lavoro svolto insieme. È raro trovare persone così ben disposte e prive di qualsiasi preconcetto verso un giovane studioso. In particolar modo, la collaborazione con Ada, che per prima ha avuto l’idea del sito, è stata sotto ogni aspetto priva di qualsiasi imposizione; è questo che ha permesso di ottenere il prodotto sobrio e completo che vedete oggi on line. Un grazie sincero va anche ad Enrico Brugnatelli, the man behind, il quale ha permesso di fatto di avere un sito web, occupandosi di tutta la parte tecnica, linguaggio e ratio del sito compresi. Lunedì 27 maggio, alle ore 17, saremo tutti insieme al Caffè Letterario de Le Murate (Firenze) per sancire la fine di questo lungo percorso. Essenziali per la realizzazione dell’evento sono stati Vittorio Biagini, col suo slancio sincero, e Stefania Costa. A Biagini va tutto il merito per la logistica, compresi i poeti chiamati per l’occasione a recitare Cattafi: Andrea Gigli, Marco Simonelli e Davide Vallecchi. Ringrazio infine altre due persone importanti, che ho voluto con me il 27 maggio. Si tratta di Raoul Bruni, col quale il dialogo costante sulla poesia mi ha portato a leggere i versi di Bartolo Cattafi per la prima volta dieci anni or sono, e di Paolo Maccari, che oltre a essere uno dei massimi esperti di Cattafi, è stato colui che mi ha introdotto per la prima volta ad Ada, rendendo possibile l’inizio di tutto questo.

 

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