Isabella Leardini, “la poesia agisce nel buio per mostrare anche l’invisibile”

«L’attimo dell’aria che risplende/ è così simile alla vita qualunque/ soltanto un po’ più chiaro». L’invisibile radicato nel visibile, s’insinua leggerissimo come un fiato di luce. È questa la sensazione che si ha leggendo “Una stagione d’aria” di Isabella Leardini. “Il canto inimitabile ha lo splendore di un diamante […] collocato nella sua terra d’origine. Così la poesia arriva [anche] a essere la trasmissione dell’esperienza dell’indicibile”, sovviene Viviani. Per le raffinate edizioni “Donzelli Poesia”, un libro che ci coglie di sorpresa, che, nuovissimo ad ogni lettura, non si lascia impugnare, non si lascia “spiegare”. Come l’amore, «come l’ultimo boato senza luce», «come capita alle cose importanti/ quando cadono per sbaglio dalle tasche», «come un inverno che finisce all’improvviso», «come i bambini che accudiscono un segreto/ e corrono a giocarci di nascosto», «come un bicchiere che si rompe per caso», «come gli amanti e i pensieri di chi attende», «come una pianta che con poca luce/ sappia fiorire mille volte senza cure», «come l’insegna negli occhi dei vinti», «come tutte quelle cose/ che nascono già doppie», «come fa chi crede/ senza pace ma senza dubitare». Un susseguirsi ininterrotto di parallelismi che tesse un effetto climax straordinario, accentuando l’espressività di un “discorso” puntellato dalla sospensione.

Oggi a cosa serve la poesia?

«Serve a riconoscere la verità, come da sempre. Oggi le cose importanti si dicono solo scrivendo e la scrittura è l’unico strumento per esprimere l’emotività; solo che è usata allo stato brado, come un tic del nostro tempo, disabituata alla consapevolezza e alla complessità. La poesia serve a dare questa consapevolezza, è come un’accensione, uno svegliarsi delle parole».

La poesia «raggiunge tutti gli angoli del buio»?

«Sì, raggiunge tutti gli angoli del nostro buio. La poesia io credo agisca nel buio, non per illuminarlo ma per attraversarlo, per mostrare anche l’invisibile».

 Un’altra domanda con i tuoi versi, la poesia è «quest’allegria improvvisa che si pianta/ come una ladra al centro del dolore» o qual è la tua più “attuale” (e intima) definizione?

«Questi versi si riferiscono all’amore, quando arriva malgrado noi stessi, non li attribuirei alla poesia. Non è una silenziosa ladra, io la vedo piuttosto come una strana e ingombrante belva alata, subacquea, sotterranea, capace di essere feroce e invisibile, la poesia non è un’allegria improvvisa, è una lunga caccia e il dolore è la perla che custodisce e trasforma».

 Puoi farci alcune anticipazioni riguardanti i tuoi prossimi progetti e pubblicazioni?

«Al momento sto lavorando a “Domare il drago”, un saggio narrativo in cui racchiudo il mio metodo di laboratorio di poesia: sono sette passi nella giungla della scrittura, dal silenzio in cui arriva l’ispirazione alla forma concreta del manoscritto. Un percorso, anche pratico, che prende forma attraverso le storie dei ragazzi che ho incontrato nei miei laboratori, miti greci, fiabe e voci di grandi autori».

Per concludere, ti invito a scegliere tre poesie dal tuo “Una stagione d’aria”, per salutare i nostri lettori.

Desiderare è una questione di distanze,
di corpi freddi che riescono a brillare.
Cercavo la costellazione esatta
che riunisse i tuoi punti con i miei
la congiunzione fatale negli anni
lo squilibrio infallibile del cielo.
Il vero amore regge il capogiro
con la testa piantata nell’aria
di una logica che splende se si avvera.
Sovrappone come una mappa
il tuo buio di pianeti con il mio
la precisione muta delle stelle.
L’ho studiato come una scienza
il codice dell’ora in cui sei nato,
amare è un atto di interpretazione
che riempie il giorno dopo l’evidenza.

Lo spettacolo dei fuochi a mezzogiorno
come un’età che viene quando vuole.
La rivincita maldestra dell’estate.
Interi campi di girasoli
a fine agosto si voltano per terra
e i turisti che scappano a branchi
attraversano senza guardare
quando arriva veramente il temporale.
Il vero amore all’inizio non nuota
entra in acqua con i piedi sui sassi.
Hanno paura di uno scherzo
ma si tengono più strette alla mano.
Hanno aspettato per tutta la vita
il privilegio di essere stupide
le ragazze che ridono nel mare.

Strana allegria di tutti gli amori
che non hanno finito l’estate
come passavano in altre mani
le chiavi, le cose dimenticate.
La vacanza degli altri è l’enigma
dello sguardo che segue chi parte
tutti chiedono com’è l’inverno
ma non vogliono farne parte.
Sortilegio di vedervi felici
seduti ai tavoli fuori
nell’identica festa dei fuochi
nel rituale degli abbandoni.
Ridono per un attimo per sempre
nelle foto di gruppo del mare
i turisti che non tornano più
le stagioni che non possono tornare.

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 20 maggio 2018, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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