Edvard Munch
Edvard Munch

Con fiera ed esasperata lentezza amo camminare lungamente per la città. Mi stupisco sempre, per esempio, quando passo davanti un bel palazzo del Settecento e allora alzo immediatamente lo sguardo alle sue eleganti finestre, alla sua rigorosa facciata esterna, così sobria e imponente, e qualche volta, da un vetro spalancato, dietro una tenda ricamata finemente e solleticata da un vento leggero, mi arriva la soave musica di un pianoforte a coda. Oh, com’è ancora piacevole poter puntare gli occhi in alto, e meravigliarsi delle antiche statue che sporgono dai discreti balconi o dalle semicolonne che si allungano snelle e leggere. Una meraviglia! Una delizia dei sensi! Finché, appunto, occhi e orecchie si perdono beatamente in ciò che ancora di bello ti può regalare lo sguardo verticale di una strada di città. Ma quando inesorabilmente i sensi tornano a percepire quello che sta in basso, allora quella lieta sospensione di gradevolezza si schianta al suolo! Orrendi agglomerati di automobili di tutte le dimensioni possibili che occupano la strada, i marciapiedi, perfino i passaggi pedonali, e che sputano gas maleodoranti e venefici, che strombazzano senza ritegno al conducente che li precede, reo di non scattare al semaforo anche se per farlo deve scavalcare il cadavere di una vecchietta appena falciata da un Suv. Gente che bofonchia orribilmente, che snocciola il suo tetro linguaggio sessuale, che di sessuale e virile non ha proprio nulla, se non l’impotenza! Ridicoli signori pluridivorziati e pluriprotestati che si accaniscono sul proprio corpo falcidiandosi senza pietà le sopracciglia, tostando impunemente la propria pelle con le lampade solari, infilandosi sulla panzetta, a mò di profilattico, la felpa che hanno visto indosso al figlio la sera prima! Allora gli occhi, avviliti da tanta miseria, vanno verso il basso, per non incontrare più cotanta immondizia per le pupille. Ma non possono far altro che annichilirsi nuovamente perché spiaccicate al suolo spuntano miliardi e miliardi di chewing gum che maculano l’intero marciapiede, e a fargli compagnia milioni di mozziconi di sigarette che tappezzano perfino la scala della metropolitana. Mi immagino le lugubri signore del passeggio masticare la loro gomma mentre fumano la sigaretta, tanto da annullare vicendevolmente le reciproche funzioni! Per poi lasciarci questi splendidi ricordini! Dei veri geni! E mentre mi rammarico per lo scarso senso civico del “buon cittadino” mi accorgo di aver spiaccicato l’ennesima cacca di cane, che questi educati e autocelebranti animalisti ci donano senza riserve. E allora, sconsolato, cerco nuovamente un angolo di città dove poter riposare lo sguardo, scantono velocemente, cerco di lasciarmi alle spalle l’obbrobrio a cui sono quotidianamente condannato, e in testa mi ripeto i versi del grande Giuseppe Parini: “Col dubitante piè torno al mio tetto”.

 

 

 

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