eros corale copertina ok

Potrebbero essere brevi biglietti amorosi o nuove lettere di Alcifrone o di Filostrato ritrovate oggi, se gli echi alessandrini fossero più risolutivi in questa silloge intitolata Eros corale (pubblicata in: http://www.ebook-larecherche.it/eBook n. 83, settembre 2011). Ne è autore Saverio Bafaro, che ha al suo attivo tra le sue raccolte anche una prefazione di Antonio Veneziani. Esplicitamente i suoi temi si avvicinano agli autori esemplari della letteratura classica, la cui centralità è data dall’amore carnale. La sua scrittura ha qualità coinvolgenti in quanto l’antichità è qui convocata sia pure in modo estemporaneo, senza apparente necessità. La fantasia volteggia su se stessa e l’invito simposiaco, una volta formulato, presenta presto i suoi limiti, il testo si sviluppa in superficie sia dal punto di vista fonemico che dei semantemi, come se non si arrivasse agli ambìti “baccanali” («se il dio fosse la danza dei corpi»). Ma si può imputare questo gap letterario, oggettivamente epocale, alla sola responsabilità del giovane poeta contemporaneo? Viene in mente il non-finito, benché terminato (i due verbi non sono sinonimi) delle Grazie per la mancanza di riferimento unitario tra l’intenzionalità dell’autore e la dissipazione, già irreparabilmente frammentaria all’epoca di Ugo Foscolo, dell’“illusione” estetica. Con la neoavanguardia avevamo assistito al pesante scollamento tra ermeneutica e critica col risultato di relegare il pubblico della poesia (costituito ormai dai soli addetti ai lavori) al di fuori della circolazione di massa senza essere quasi più in grado di formulare giudizi di valore. Ciò è tanto più vero se si considera che se la poesia in Italia è ridotta dai tempi del Gruppo ‘63 a una pratica innominabile, la colpa non è di Saverio Bafaro, né della seconda scuola romana né della globalizzazione o di altre categorie pseudo-sociologiche applicate a inverosimili analisi strutturalistiche, che praticamente influenzano il comportamento della grande editoria e di certa accademia nei loro aspetti peggiori.

Quanto Eros corale addita al lettore è dunque una pregevole contaminazione di motivi scaturiti da ricchezza interiore e passionalità:

«Ti otturo / inamovibile durezza / nei giorni in cui il tuo nido è più caldo».

Bafaro presenta un vero e proprio galateo erotico, completamente pagano. Vuole rifarsi al rapporto tra erastés ed erómenos  secondo la normatività pedagogica greca in un giocoso equivoco bilaterale, dalle raffinate ebbrezze dionisiache:

«Egli è l’erómenos / oggetto d’amore / geometria proiettiva / nonsenso che tutto appiana».

Oppure: «O barbaro che alla dea pari divino / costringine il proteso capezzolo / ad un suggello mistico».

La suggestione di essere davanti a una piccola pseudo-epistolografia filosofica (rivolta a un ragazzo o a una donna o a un prostituto o ad Aristobulo o a Diodoro o a Niceta) acquista forza e significato, nella provocatoria ambizione di Saverio Bafaro di ricollegarsi al passato ellenico tràdito dalla mediazione romana.

 

 

 

 

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