L’amore casomai. Racconti che narrano in chiave poetica la complessita dell’uomo.

Anteprima 

L’amore casomai nasce dalla lunga peregrinazione nelle storie d’amore di più vite. È un quaderno di presenze, di elementi quotidiani trascinati dal sentimento. Niente è giudicabile. Lui. Lei. La storia. Il pensiero si fa linguaggio e la voce narrante si intona a una recitazione visionaria della realtà. Realtà e coscienza si spostano dall’intimo all’esistenziale in cerca dell’oggetto adeguato. Per questo motivo il parlante e l’interlocutore si insinuano in maniera audace nel moto/modo potente dell’Amare. Ogni parola è un racconto. Ogni racconto una poesia. Si ammira la bellezza della materia stilistica che, solidamente strutturata nel linguaggio, autentico e originale, non lascia passare aria tra gli interstizi. Le storie delineano tracciati ritmici visionari senza la necessità dell’utilizzo di spiegazioni, né di continuità cronologiche tra la pagina precedente e quella successiva. Non c’è un prologo, nessun finale. Rita Pacilio fotografa momenti: mette a fuoco particolari scevri da moralismo spicciolo. I luoghi temporali e spaziali svolgono la contraddizione e l’ambiguità del ragionamento in cui l’Amore commuove. Ripara”.
Margherite Doubois

“… Mi sono chiesto se racconti o poesie “distese”. Tecnica Strendiana o alla Paley. L’ho ritenuto inutile. Se poesia perché tecnicamente, e per “cifra” poesia, con articoli omessi, preposizioni attese o disattese, anafonie; oppure racconti come non siamo abituati a leggerli. La pulizia della brevità implacabile, il rigore stilistico che trasborda immaginario, un insospettabile punto e a capo. I sostantivati – classici nella poesia di Rita Pacilio – E i racconti. Lettura che ti sbalestra tra un fosso e un dosso, dove apice e profondità non sono disallineamento: turbolenze dell’Io nel trasfondere, dall’Io interiore a un io esteriore, fatti precisi, luoghi, tempo e tempi”.
Luigi D’Alessio

(dalla quarta di copertina)

Grazie anche alla mia professione (sociologo e mediatore familiare e dei conflitti) ho avuto la possibilità di incontrare la fragilità umana. Questo mi ha consentito di conoscere storie e vissuti emozionali arricchendomi di ‘presenze’ capaci di accompagnare la mia immaginazione e la mia scrittura. Ho impiegato tempo per affinare il linguaggio che ho utilizzato ne ‘L’amore casomai’. Ho letto molto, mi sono confrontata con autori contemporanei, ho appreso tanto metabolizzando l’idea della narrazione visionaria. Quindi, la poesia, continua a guidare anche questo libro che potrei paragonarlo a una visita in una galleria d’arte: osservare le Opere con lentezza, catturare particolari per leggerne i diversi significati, la tecnica e, soprattutto, l’essere umano nella sua complessità. 

 

Un racconto da L’amore casomai (La Vita Felice, 2018)

 

Sera di novembre

Si era trovato a parlare di lei più volte, perché conosceva bene la storia. C’é qualcosa di inquieto e di morte in queste città silenziose e dimenticate. Lo aveva meditato negli anni Venti quando il suo volto era pallido e lungo. Le aveva visto cambiare l’umore in maniera repentina. Significava qualcosa.

Significava attraversare la notte da analfabeta?

Le aveva visto chinare il capo in segno di stanchezza o solitudine. Dietro il vetro. Del resto alla sua età poteva permettersi gli uomini giovani e quelli anziani. Lo aveva già fatto senza conoscere il peso della coscienza. Da sprovveduta.

Certo non manca niente alla parete
il cielo immenso, l’albero,
il calco, portato qui dal giorno
prima a malapena
tenuto elevato nella cornice.
L’amore sa qualcosa dei ritagli
la linea che apprende fili sottili
chiome sporgenti sul terrazzo
lei anziana
con i calzini e una maglia rosa
al chiodo il volto
mentre parlano dal divano di fronte.

            È questione di età, ripeteva. Le darà ragione il solenne accordo preso anni prima. Picasso e Gilot fu il racconto, la rassegnazione. E quarant’anni di differenza, la profezia. Continuare ghirigori con la matita in piena freddezza. Aspettare. Dalla parete il video in loop. Un risotto cucinato da Cannavacciuolo. Un piatto semplice. Le spezie non le uso. Il monumento affamato in fondo al cuore: la colazione alle due del mattino ha il sapore delle fragole di serra. Si impose svigorito. L’esilio era la poltrona bianca nell’angolo della stanza. Lui un burattino accasciato, non pretese nulla.
           Dentro di lei abitavano tatuaggi colorati. Abbellivano l’esilio dell’incantatore. L’edera sulla pelle si lanciò nemica. Si riunirono gli dei. L’esistenza della luce un profondo collasso. L’uomo rubava segreti a Omero. Disse che era cieco e abbellì la voce. Finché morì oltre la libertà volteggiata nel fumo. Mezza finestra aperta. Combattere con il fato la fine di Tebe. Farsi riconoscere. Sanguinare questo dolore e placarsi. Celare, per un senso di vergogna o protezione, la mano stanca e fumare dieci sigarette in un’ora. Fumare e basta. Quella notte. Il fuoco del camino.
Come fosse lontana l’ombra.

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