Litfiba. La musica fa viaggiare senza partire: cronistoria di un concerto.

La serata è la classica estiva siciliana, calda e con un cielo stellato. L’atmosfera è quella epica e unica che solo il Teatro antico di Taormina può offrire. L’odore è quello dello zolfo diabolico che tanto ci è familiare, trovandoci alle pendici di mamma Etna. Una folla impaziente cerca il posto migliore per poter vedere il gruppo musicale che è stato il simbolo della musica rock italiana dagli anni Ottanta in poi, i Litfiba. Un pubblico che freme mentre in diffusione ascolta Linkin Park, Depeche Mode, Korn e Massive Attack. Un pubblico ansioso di sapere se Piero Pelù è ancora l’uomo che li ha accompagnati, con la potenza delle sue canzoni, nel corso della loro vita. Un pubblico che vuole essere sicuro che l’energia e il chiaro messaggio di pace della musica dei Litfiba sia ancora genuino, che il “sogno ribelle” possa non finire mai. Un pubblico che negli anni Ottanta e Novanta andava ai concerti per gridare libertà e che oggi è felice di raccontarlo ai propri figli, presenti, pronti anche loro a vedere l’idolo di papà e mamma, curiosi di sentire di presenza cosa sia l’essenza del rock. Uno striscione capeggia in mezzo alla folla: “Via il guinzaglio, la Trinacria ti sta aspettando” (citazione dalla celebre Maudit). Parte la prima ola, poi la seconda, la terza e la quarta, ma quando le luci finalmente si spengono ecco venire fuori tutto il cuore dei siciliani: tutto esplode in un urlo che irrompe e investe il palco. Se la scena del Teatro Greco Romano non fosse già crollata, sarebbe andata giù di sicuro oggi, sotto il potente grido di 4.500 posti a sedere in delirio. Nessuno è più seduto, nessuno pensa più al caldo, alla settimana passata a sgobbare, ai problemi della propria quotidianità, alle tasse da pagare, alle ingiustizie che ha subito, tutto diventa pura energia. Partono in diffusione suoni distorti, sirene, elicotteri, bombe, mostri sonori che ogni giorno affliggono la nostra terra e che pochi secondi dopo vengono schiacciati da un secondo boato del pubblico: i Litfiba sono sul palco e stanno scatenando da subito la loro energia. Piero Pelù urla: “Ora e sempre resistenza”, ed è proprio Resisti il pezzo di apertura, una garanzia, come a voler dire: “Siamo qui cari fans, non vi abbiamo abbandonato”: “Così io dico / rifarei tutto / e qua / posso dirlo / ne farei di più”. Un mappamondo viene calciato oltre le prime file, il pensiero è comune: questo mondo è tutto da rifare, vogliamo pace e giustizia e la vogliamo adesso, “io resisto / dai resisti”. Tra gli assoli di Ghigo Renzulli partono i marranzani che annunciano il secondo pezzo, un vero capolavoro del rock con un messaggio preciso: prendiamo a calci tutta questa spazzatura che ci spacciano per progresso e politica. “Vogliamo i ladrones / vogliamo tutti i loro nomi […]. Non è la fame / ma è l’ignoranza che uccide” recita Dimmi il nome, cavallo di battaglia del disco più potente e amato della band, Terremoto (1993). Dopo la celebre Africa, si continua con Dinosauro per ribadire che il sogno ribelle vive ancora: “Cambia artiglieria / usa l’energia / pretendi i tuoi diritti / per primo quelli scritti / cerca di lottare / come se fosse amare / quello è il dinosauro / non devi farlo alzare”. Ed è il momento di chiedersi cosa sia cambiato in Italia in tutti questi anni, quando Pelù disprezzava il celebre CAF ed il Pentapartito, fino ad arrivare alla situazione odierna. Sotto il vulcano, dedicata a mamma Etna, si trasforma in una cover di Je sò pazz di Pino Daniele. L’applauso parte puntuale e si dirige misticamente verso il cielo portando i saluti del pubblico al grande chitarrista napoletano scomparso. Ma “lo spettacolo deve ancora cominciare” (Lo Spettacolo), ed è proprio questo il sesto pezzo del concerto. In sequenza dal palco si susseguono quattro pezzi memorabili e il Teatro antico di Taormina viene letteralmente giù, tutti ballano e tutti i “ragazzacci” (come incita Pelù dal palco tutti i suoi fans) cantano: “Giro di notte con le anime perse / sì della famiglia io sono il ribelle” (El Diablo); “Io obbietto / disobbedisco / guerre per soldi / gioco d’amore nero / prole assassina / frutto marcio dell’avidità […]. Mascherato da soldato / no per Dio no senor” (Linea d’ombra); “Se un dittatore dal nuovo balcone / spaccia in TV la gioia / tu scuoti la noia e gli sguardi / di chi non lo capisce. / Se oggi e come ieri / ammazzi ogni futuro” (Tammuria); “Sono l’aquilone in cielo / e cerco di fermare / la guerra in aria/guerra in terra la pace militare / sento il mio respiro dove soffia il vento / sarò una cosa sola con il mondo intorno” (Ora d’aria). La superba esecuzione di Siamo umani ci porta indietro di molti anni e tenta di risvegliare pensieri ormai dimenticati, servendosi di un testo che incita alla rivolta sociale, che ripudia la lotta armata, ribadendo che solo la cultura può salvare la nostra società: “Siamo umani / siamo umani / non può andare così […]. Qui la sola strategia è di sapere sempre più / 123 Rivoluzione è il desperado che lo fa / Ehi ehi ehi, amigo / tu vuoi distruggere il mondo / chi comanda non da spazio OK / cambia forza / la tua forza è nelle idee / c’è una sola strategia è di sapere sempre più / e la tua rivoluzione comincerà così”. I ragazzacci di Pelù sono solo dei ragazzi che ne hanno viste tante, sono stanchi e vorrebbero semplicemente vivere in un mondo migliore, senza Ustica, Gladio, Piazza Fontana, le bombe di Palermo e Capaci, senza un Italicus, senza piazza della Loggia e senza tutte le altre nefandezze che, impotenti, sono stati costretti a subire: “Sono un ragazzo / ricordatevi che esisto / sono il re del nulla / mentre il nulla ruba i migliori (Ragazzo). L’avidità e il Dio denaro, urla Pelù, sono il male del millennio: “la tua dannazione in questa terra / sono i tuoi bisogni” (Soldi). È questa in fondo l’essenza del sogno ribelle: cercare di creare, attraverso lo studio e la socializzazione, un mondo vivibile, non avere paura di dichiararsi nemico di un sistema corrotto che oscura l’unico vero progresso, quello che può nascere solo dalla coesistenza pacifica dei popoli. Il mezzo è la musica: “La musica fa / sognare, volare / capire / la musica dà / la forza di reagire / la musica fa / viaggiare senza partire / la musica fa / capire ciò che vuoi capire (La musica fa). I fans dei Litfiba non hanno atteso invano quest’evento musicale e hanno costantemente accompagnato, con la loro voce, i suoni e le parole del gruppo, il quale ha proseguito la sua corsa con Spirito, Regina di cuori, Proibito e numerosi bis e fuori programma, che hanno finito per stravolgere la scaletta originaria. Il concerto si chiude con Gangaceiro, un samba lunghissimo durante il quale vengono presentati membri vecchi e nuovi della band. È proprio adesso che scopriamo, con orgoglio, che il bassista che per tutta la durata del concerto ha ballato come se non ci fosse un domani e ha ritmato, saltando senza sosta, è un ragazzo siciliano di Bagheria: da nord a sud il sogno ribelle è uno solo e non lo si può cancellare.

 

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