Sulla parete
Disinibite
ombre svelano carmi,
noi stesi a schermo.
—
Acta
Atto
è lo scotto che pagano i palmi
acerbi: qui una linea si fende,
altrove una nocca risana.
Mentre le chiedi forma
la materia prova a plasmarti
e l’indole abrasiva dell’utensile
può non voler attendere.
Tagli anneriscono,
sporge una vena e non per collera,
allora impari:
destrezza è la pelle
quando si rinnova,
ogni strato
un aggettivo in meno.
—
Poesia
Partita pressoché persa col mondo
ma qui si pende tutti verso il “quasi” :
ché in campo aperto ogn’ora ti riaffronti,
lasci agli idioti sfida od il certame.
—
Specchio ritrovato e infranto
Frantumare specchi, costruire
anni su scale armoniche:
note i cocci righi l’argento,
Maya sola ferendo
e, battito dopo battuta, attagliarsi
mai più riflessi, al presente.
—
Note (in)volontarie
Un plettro, per natura, ha da percuotere;
ma cassa e tastiera sembrano appattate
sul commentare: discordi, non dimeno insistono
pur dovendo, loro attrezzi,
tacere a gusto altrui.
Poi sbricioli un fiore secco: ti pungono
note ancora mattutine.
Allora, incardinata tutt’altra logica, domandi
se quella lavanda non tragga aspetto da un profumo,
come lo strumento sperso
da sue possibilità consonanti.
—
Paradosso da giornalista all’esordio
Nulla: risma intonsa
dov’è pagina il centro, bianco in difetto, luogo
per luoghi qualunque.
Poi con l’intermezzo pensato
in un vuoto da caduta libera,
comunicato appunto intervista,
scartafaccio per traccia istantanea e notizia:
premi trame riannodi tramagli
fra voci esseri e fatti
e, porta la coda al còlubro
volgi al prossimo foglio manchevole.
—
Pioggia estiva in immersione
Mediterranea
madre per ogni goccia,
nulla ti è vano.
—
L’ora è tua
Vomere su versoio, taglia e ritorce,
rintocca repentino: l’ora
è una, ma quale? O è nessuna,
incongrua da cinque quarti: tempo preso
esulta a fondo scala, fondo e troppo,
si decomprime e sa d’uscirne
a vista blu rarefatta,
tocca senza toccarci
mani altre che poi, si scoprirà,
erano rimaste nostre.