Maria Attanasio ‘incontra’ Rosalia Montmasson, nasce così “La ragazza di Marsiglia”, romanzo storico con le sembianze di un destino.

«Fin dal primo incontro con Francesco Crispi, Rose Montmasson si riconciliò col nome di battesimo che aveva sempre rifiutato; da piccola facendo a botte con i fratelli, che, per farla arrabbiare, le gridavano dietro Rosalìe! Rosalìe!, come fosse un’ingiuria. Sussurrato da Fransuà, dentro quel nome – suo e della santuzza di Palermo – sentiva adesso una risonanza eroica e immortale». Un passo da “La ragazza di Marsiglia” di Maria Attanasio, vibrante romanzo storico, edito da Sellerio, che, plurisegnalato, è già vincitore di quattro premi: “Maria Messina”, Mistretta; WonderTime “I Quattro Elementi”, Catania; “Alessandro Manzoni”, Lecco; Premio internazionale Città di Como; “Premio Basilicata”. Un romanzo contraddistinto, come nello stile dell’autrice, dal un prosa lirica e fluente, schiuso da un esergo (i versi di Paul Celan) sul quale dobbiamo soffermarci prima di farci catturare da una lettura che ci rende ‘favoreggiatori’ d’equità, “Nei fiumi a nord del futuro/ getto la rete che tu,/ esitante, carichi/ di ombre scritte/ da pietre”.

Certamente una gioia ricevere così tanti premi per il suo “La ragazza di Marsiglia”, ma è corretto pensare che la sua gioia più grande è per Rosalìe, per la possibilità, nel crescendo della divulgazione, di farle giustizia, di, come ha fatto, riportala in vita riportando in vita la sua storia che rinasce ad ogni nuovo lettore?

«Sì, assolutamente. Questi premi li ricevo io, ma a suo nome. In nome di Rosalìe Montmasson: “fiera savoiarda, disinteressata, piena di coraggio, ardita più di quanto in una donna soglia accadere, dall’anima vivace, anzi di fuoco, dalla parola pronta, dall’animo schietto, nata alla libertà, e all’indipendenza” come scrisse  Giacomo Oddo in un poderoso volume di memorie garibaldine pubblicato nel 1863, immediatamente a ridosso della spedizione dei Mille; concludendo, questo esaltante ritratto, con la certezza che il suo nome sarebbe rimasto per sempre inciso nella memoria collettiva, perche – scrive – “…parlando dei Mille e di Calatafimi parleranno di te, e le future generazioni, più grate che non la presente, ti onoreranno di lodi, ti coroneranno di gloria”.  Dell’unica presenza femminile tra i 1089 volontari partiti da Quarto e sbarcati a Marsala, si perderà invece ogni traccia storica ed esistenziale; una radicale damnatio memoriae  voluta dal suo potentissimo ex marito, Francesco Crispi, con la complicità di giudici, politici, e memorialisti asserviti al potere. Una cancellazione che grida, grida giustizia. Che con questo romanzo ho cercato in qualche modo di darle. Ma è ancora poco, non basta.
Perciò, nonostante io non tenda a un rapporto di esteriore compiacimento con la scrittura, sono felice di ricevere questi premi. Perciò dal 10 maggio, il giorno dell’uscita del libro, sono sempre infaticabilmente in giro – di città in città,  di scuola in scuola – a restituire voce e identità alla libertaria ragazza di Marsiglia».

Ci racconta del momento in cui ha sentito l’urgenza di raccontare la sua eroica Rosalia: caso o destino?

«Spesso è il caso a farci incontrare qualcosa o qualcuno che assumerà le sembianze di un destino. Così è accaduto con Rosalia Montmasson: incontrata casualmente, nell’autunno del 2010, durante una svagata navigazione in internet. Da allora, per sette anni, diventando la mia unica ossessione di ricerca e scrittura».

Con un passo dal suo libro, “L’indignazione mediatica e morale nel paese montava sempre più contro il potente ex ministro degli interni, che nel tempo del benessere abbandonava – sola e senza risorse – la devota e audace compagna degli anni dell’esilio e della povertà”, per chiederle: così come l’accusato lasciò le (sconvenienti) domande senza risposta e l’indignazione non servì a difendere una giusta causa, rispetto a ieri cosa è cambiato?

«La storia, ahimè, talvolta si ripete anche nei particolari! E non solo si ripete, ma torna ancora più indietro: nel nero di una spudorata dittatura dell’economia che tutto investe, riesumando un tremendo già stato che credevamo per sempre alle spalle. Liberismo selvaggio, precarietà lavorativa, limitazione dei diritti civili, xenofobia…».

Nell’ambito di una collettività sempre più incapace di ascolto, carente di coscienza (politica), sempre più imbrigliata nella rete dell’omologazione, cosa può la scrittura?

«Certamente non può cambiare il mondo – richiamando il titolo della prima raccolta di poesie di Patrizia Cavalli –  ma può fornire una chiave di lettura della storiachesifa – drammaticamente si fa – intorno a noi: uno sguardo critico per poter distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, la democrazia da ogni occultato ma serpeggiante fascismo».

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 28 Ottobre 2018, pagina Cultura)

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