Michele de Virgilio: “attraverso il pulsante dello scrivere” la vita si fa limpida.

Al posto di una introduzione, sarebbe stato più efficace – e più originale – proporre, per questa raccolta di poesie, una mappa. Una carta geografica su cui segnare spostamenti, soste, passaggi. Nomi di città, strade. Michele de Virgilio dice – in sede quasi proemiale – della bellezza di “escludere il mondo” (la solitudine e l’intensità della scrittura che cerca di rendere limpida l’esperienza). Eppure, nei fatti, non lo esclude; lo include – quasi letteralmente – nello spazio poetico. Include – nelle poesie “low cost” aperte da un’epigrafe non a caso firmata da un grande fotografo – sentieri di montagna in salita, fiumi e ponti di città europee, campanili e targhe, portici e fessure nei muri. Una volta inclusi questi pezzi di paesaggio, attiva «il pulsante della scrittura» perché guadagnino senso, perché siano davvero e fino in fondo toccati. Nella poesia intitolata Nei miei viaggi dà seguito al titolo con una vorticosa enumerazione: «Ho toccato mani, maniglie, cani./ Mani che toccavano maniglie,/ maniglie a forma di mani.// Magliette, maglioni, travi./ Trote che nuotavano come triglie,/ treni in cui ho perso le chiavi.// Scafi, scafandri, dadi./ Mani che afferravano bottiglie,/ bottiglie scolate negli stadi». Ma appunto, il più autentico contatto passa dalla scrittura; saper viaggiare e imparare ad amare – sostiene de Virgilio – non sono la stessa cosa. Si scrive per trattenere qualcosa – anche fosse una semplice ciglia ritrovata nella copia ingiallita di un libro. «L’ho trattenuta sull’indice» scrive l’autore; ma ciò che poi aggiunge conta di più: «avrei preferito ritrovare l’occhio/ nascosto che aveva letto/ quelle pagine, il pensiero/ fragile». La mappa di Tutte le luci accese di Michele de Virgilio non è facile da disegnare perché contiene, oltre ai luoghi, le persone. Trattate tuttavia anch’esse come pezzi di paesaggio – zone del mondo parecchio più vaste di quanto ne occupino o occupassero davvero. Luci accese, appunto. de Virgilio, da narratore in versi, fa di quel po’ di luce una storia, guidato da un moto di tenerezza mai retorica, talvolta direi persino fisica, verso l’esistente – quello più prossimo e quello meno prossimo. La vita familiare, l’infanzia – con certe madeleine «molto particolari» restituite dai «torrenti» della memoria. Un centro di salute mentale e i suoi “abitanti”. Un portalettere e una voce origliata senza volerlo. Mettiti in ascolto. Guarda a fondo. In un caffè vedi tutte le donne che hai amato. Nel fumo di un sigaro una parte di vita «indesiderata». Milioni di uomini potenziali in un fiotto di sperma. La delusione nello sguardo di un gatto. de Virgilio non spegne nessuna luce, prova a illuminare tutto. Lavora sul tratto di silenzio che c’è fra le pupille e come, dice lui, «i sottoscala del cuore». Costringe il lettore a seguirlo, a sostare lì, per quaranta secondi – il tempo di una canzone, di una poesia – e per un secolo, per migliaia di anni luce. L’introduzione, intitolata “I sottoscala del cuore”, scritta da Paolo Di Paolo, per introdurre l’intervista al poeta Michele de Virgilio autore del libro “Tutte le luci accese” (poesie 2011-2017 – Giuliano Ladolfi Editore).   

Qual è il ricordo (o un aneddoto) legato alla tua prima poesia?
Credo di non averlo mai sincerato a nessuno prima d’ora: all’epoca della mia prima poesia mi trovavo in Puglia, più precisamente nella casa dei miei nonni paterni. Ricordo che ero sdraiato sul letto che per anni aveva ospitato il sonno dei miei zii, nonché quello di mio padre. E dalla stanza accanto, in un silenzio quasi arcaico e molto fantiano, mi erano giunte con forza le esalazioni di respiro dei miei nonni. Così mi ero affacciato sulla soglia che divideva la mia stanza dalla loro e avevo visto questi due vecchi umani abbracciati, come se cercassero – in una posa di nuova invenzione – di entrare in un utero condiviso rispetto al primo che li aveva messi al mondo singolarmente. Fu un’immagine molto forte.

Esistono poeti o poesie che non dovremmo mai dimenticare?
Mettiamola così. Per inclinazione e per un fermo proposito penso che non esistano poeti o poesie che non si dovrebbero mai dimenticare, bensì poeti e poesie che in qualche modo non potremmo fare a meno di ricordare. Quando cominciai ad avvicinarmi al mondo della poesia, per esempio, non potevo fare a meno di portare alla memoria l’ultimo Montale.

Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo nel quale all’occorrenza ami rifugiarti?
C’è una poesia che porto sempre con me. La tengo compressa nella mascherina del mio vecchio smartphone android. Si tratta della famosissima E se non puoi la vita che desideri di Konstantinos Kavafis, uscita per Einaudi nella traduzione di Nelo Risi. I suoi versi sono medicali, credo che contengano addirittura dei principi attivi.

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia?
La poesia non può che essere l’uscita di sicurezza nell’ospedale della nostra vita; il posto in cui possiamo sentirci a casa ogniqualvolta sentiamo il bisogno di stendere le gambe e di toglierci i calzini dopo aver finito di lavorare.

Quando una poesia può dirsi compiuta?
Una poesia degna di chiamarsi tale può considerarsi compiuta solo quando il tentativo di dire qualcosa con parole precise si è trasformato nella certezza (benché apparente) di averlo detto. Aggiungo: possibilmente in maniera originale. A tal proposito mi consenta di citare un grande scrittore Adelphi che in un libro intitolato Intransigenze scrive: «le mie matite durano più a lungo delle loro gomme». Chapeau.

La poesia necessita più di ascolto o di essere ascoltata?
In questo momento storico direi che necessiti soprattutto di essere ascoltata (ride, n.d.r.). A parte gli scherzi direi che una buona poesia non necessiti obbligatoriamente di un ascolto immediato. Il fiato lungo è uno dei suoi doni più evidenti.

Oggigiorno, qual è (ammesso ne abbia uno) l’incarico della poesia?
Ogni poesia è una faccenda talmente soggettiva e specifica, che quando ci si mette a scrivere non ci si deve proporre alcuno scopo, se non quello di comporla.

La parola poetica per preservare la propria efficacia comunicativa deve “esprimersi” usando il linguaggio del tempo in cui nasce e vive?
Certo, ogni poeta deve sforzarsi di essere contemporaneo, ma a un tempo solo c’è una ricca tradizione da rispettare; per lo meno da non ignorare.

Per concludere, ti invito a scegliere tre poesie dal tuo libro per salutare i nostri lettori.

Riporto tre poesie che stanno colpendo maggiormente i lettori:

 

 

INCONTRI DEL TERZO TIPO

Un mattino d’agosto, perso fra sentieri
di montagna in salita,
si fermò il mio sguardo
su una vacca seduta.

Bianca se ne stava
nell’indifferenza
complessa del mondo. E totale
era la bellezza del volto.

Come bloccata
dentro un corpo senza finestre,
giaceva la sua gioia
fatta di poche gesta, di erbosi fiati e frutti di bosco.

Avevo come l’impressione
che una saggezza secolare dimorasse
nei suoi occhi spalancati. Fu quello,
un momento particolare della mia vita.

 

FACCE

Tante facce sono passate davanti ai nostri occhi
quante gli occhi che hanno veduto le nostre facce.

Solo per noi sono cresciuti gli alberi, i figli, i corsi d’acqua.
Solo per noi sono cadute le stelle, le mele, le cascate.

I posti
che visitammo
non ci sono più o sono
cambiati
radicalmente.

Resta quello
che attraversò la nostra mente:
il daino, lo zaino, l’acqua corrente.

*

Quando esco la mattina,
un caffè e una conchiglia,
il giornale ben piegato,
il saluto al vicinato,
la signora che sistema i fiori,
è lì, in quel preciso momento,
che ritorno bambino,
che sono contento.

Michele de Virgilio è nato il 24 Marzo 1988 a Molfetta (BA), vive e lavora a Cuneo. Laureatosi in tecniche della riabilitazione psichiatrica presso l’Università degli Studi di Bari, nel 2010 pubblica per i tipi di Sentieri Meridiani (FG) una silloge poetica dal titolo Ho visto uomini cadere (Menzione speciale al Premio Nabokov 2011). Nel 2013 viene menzionato tra i giovani pugliesi più degni di attenzione nel saggio del 2013 A Sud del sud dei santi, Lietocolle, a cura di Michelangelo Zizzi. Nello stesso anno, un suo racconto arriva finalista al premio John Fante. Nel 2017 suoi contributi appaiono su: Atelier Poesia; Centro Cultural Tina Modotti di Caracas; Robinson di Repubblica; Zondidisagio; Il Cartello; Poetarum Silva; Antologia poetica pubblicata per i tipi di Fallone Editore. Nel 2018 pubblica per i tipi di Giuliano Ladolfi Editore (Borgomanero) una raccolta di poesie dal titolo Tutte le luci accese (Prefazione di Paolo Di Paolo). Quest’ultima viene menzionata, recensita e tradotta nelle seguenti sedi: Poetarum Silva; Argo; Atelier Poesia; Carteggi Letterari; Fuori Asse; Gli Stati Generali; La Lettura del Corriere della Sera; la Repubblica di Bari; Interno Poesia; L’altrove Poet; Poezia (traduzione in lingua romena a cura di Eliza Macadan).

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