Il Microcosmo è un piccolo mondo, che nel corso della storia è stato incarnato da realtà disparate; dall’uomo, da noi, in rapporto al Macrocosmo, intendendo allora come l’uomo rispecchiasse nella struttura lo sconfinato spazio visibile e invisibile, conosciuto e sconosciuto.
“Il nostro cielo”, usavano scrivere i filosofi (taluni definiti gelosi) nell’alludere agli elementi in noi, che seguono l’ordinamento e la relazione logica dell’ampio cielo superno.
Questo micro si è ulteriormente e grandemente rimpicciolito, girovagando dentro l’uomo e ancora nell’atomo e nelle sfuggenti particelle, ma rendendo ancor più chiara l’analogia.
Abbiamo scelto questo nome, non per velleità filosofiche o sognando incursioni nelle scienze biologiche e fisiche, bensì per descrivere ogni singolo poeta contemporaneo, che – di fatto – pur appartenendo al medesimo (circoscritto e densissimo) arcipelago, è oggi elemento a sé, nella maggior parte dei casi. È un Microcosmo, fra gli infiniti che si rifanno al medesimo modello.
Nessuna intenzione di catalogare, sistematizzare; presenteremo dei Microcosmi poetici.
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Microcosmi a cura di Carlo Tosetti
Nel presentare la raccolta di Valeria Bianchi Mian (Vit[amor]te, Miraggi Edizioni, 2019) si imbocca un sentiero cangiante e multiforme, nonché accogliente ed allo stesso tempo scivoloso per chi imprenda un’analisi, e già il termine utilizzato (analisi) mi pone in uno stato di allerta, poiché la raccolta germoglia dal substrato della tradizione esoterica, poi della psicologia e delle sue avanguardie, e da questi ambiti non può essere avulsa.
Il rischio, per l’autrice e di riflesso anche per il sottoscritto, è anche quello di ritrovarsi relegati in un mondo di fantasia che susciti unicamente sussiego (nella migliore delle ipotesi).
Io, inoltre, non sono un frequentatore dei Tarocchi, ma spesso mi ritrovo a lanciare le monete del Libro dei Mutamenti (I-Ching).
Ciò mi rinfranca, perché un certo Carl Gustav Jung fu oggetto di derisione quando, un poco avanti con l’età, usava dedicarsi quotidianamente alla mia stessa pratica, annotandone i risultati e trovando personali conferme, a supporto delle sue intuizioni, le quali (evidenze non statistiche, perdonate lo scientifico ossimoro) sono tutt’oggi oggetto di critica, di studio e ricerca.
Tutto ciò per spiegare che la raccolta è in realtà un commentario in versi ai Tarocchi, ai 22 Arcani Maggiori, i cui disegni sono stati realizzati dalla stessa autrice, in bianco e nero nel libro, ma venduti a richiesta a colori (separati dalla raccolta).
Come si deduce, leggendo la corposa e nutriente introduzione dell’autrice, la stessa definizione di “commentario” è probabilmente sbagliata, ma non saprei come altro definire una sequenza di poesie ispirate alle carte ed al loro significato, che dal rinascimento ad oggi – nonostante le infinite versioni, talune di grande valore artistico – resta immutato nella definizione e nel rapporto con l’esistenza umana.
È allora, sì, un commentario, ma visionario, che concerne le visioni scaturite dalle meditazioni intorno alle 22 figure archetipiche.
Le sezioni, va da sé, sono scandite dalle carte e per ogni carta l’autrice propone delle poesie (in tutto nel numero di 44).
La silloge raccoglie poesie giovanili a altre scritte fra il 2014 ed il 2019, e, per tale ragione, l’opera si presenta in forma eterogenea, a cavallo fra la filastrocca (ma con suoni duri) e pure visioni che pescano a piene mani dalla tradizione esoterica, alternando sia un verso breve, brevissimo, che più dilatato e mantenendo sempre coerenza stilistica.
Una peculiarità della poetica espressa è la presenza di elementi di modernità, che scorrono agevolmente nell’alveo dell’antico.
Tuttavia, dedicarsi ad una lettura della pura sostanza poetica e puntare l’obbiettivo unicamente sulla forma, sarebbe decisamente fuorviante; ci porterebbe ad abbandonare il sentiero proposto dal libro.
I puristi della forma possono trovare nella storia opere esoteriche in rigoroso metro. Cito, per evitare l’inflazionato Nostradamus, i Sonetti Alchemici di Francesco Maria Serpilli (libro dato alla stampa da Edizioni Mediterranee Roma), noto in ambiente alchemico quale autore della Lux Obnubilata.
Dobbiamo però considerare che il fine degli scritti sopra citati è affatto differente da quanto proposto da Valeria Bianchi Mian.
Mentre Serpilli e tutti gli autori dell’ambiente alchemico ed esoterico volevano consegnare a pochi eletti una conoscenza criptata, dalla difficile – a tratti impossibile – traduzione, resa ancora più complicata per via della scelta di esporre in versi il pensiero occulto, Valeria è totalmente disinteressata ad un codice personale, a nascondere il senso di ciò che vuole dire.
Dei versi, certo, possono essere ostici per chi non conosce i rudimenti dei Tarocchi, ma credo che ciò non abbia molta importanza. Lo scopo della lettura non è comprendere.
L’autrice, infatti, ci invita ad un gioco.
Alla lettura di questa atipica raccolta, lontana da ogni circolo poetico e letterario, dovrebbe seguire l’emulazione dell’autrice, il gioco dell’ispirazione donata dalle immagini delle carte, e la scrittura, la descrizione (svincolati, appunto, da una versificazione rigida) dell’esperienza che ne scaturisce.
È pertanto l’esperienza vissuta e ciò che essa produce, il fine di questa opera.
Esperienza che, se affinata, dovrebbe avere un movimento centripeto; una via, fra le molte, volte alla conoscenza del sé, un viaggio dall’esterno all’interno.
L’invito al gioco traspare nell’introduzione:
«[…] Conduco workshop con gli arcani dal 2004, raccontando favole, invogliando le persone a scrivere poesie a partire dagli arcani maggiori, accompagnando i partecipanti nella drammatizzazione di storie e versi in sottogruppi. Improvvisamente, tra uomini e donne che non si sono mai incontrati prima del mio laboratorio, nasce uno spirito teatrante che dà vita a tante piccole compagnie. […]»
E ancora:
«[…] I Tarocchi rievocano nella mia mente le atmosfere festose dei nobiluomini e delle nobildonne rinascimentali seduti intorno a un tavolo, immersi nell’invenzione di versi da dedicare alla fanciulla e al cavaliere, impegnati ad associare liberamente parole e frasi per vincere un bacio o una promessa. Il giuoco poetico, notava il filologo Adolfo Renier verso la fine dell’Ottocento, era uno dei molti intrattenimenti sociali di cui si allietarono le nostre corti del Rinascimento. I Trionfi dei Tarocchi erano spunto per i giocatori, invogliati a leggere versi scritti dietro o sotto le immagini, o ad attribuire a chi aveva estratto la carta un personaggio reale o inventato. I Trionfi dei Tarocchi erano spunto per i giocatori, invogliati a leggere versi scritti dietro o sotto le immagini, o ad attribuire a chi aveva estratto la carta un personaggio reale o inventato. Un esempio di quella pratica antica è fornito dal medico quattrocentesco Pier Antonio Viti da Urbino: “I giuocatori si radunano in circolo e in mezzo a loro vengono coperte e deposte sulla tavola la prima e l’ultima carta, cioè i due sonetti. Poscia ad ognuno è data una carta, onde nasce il primo giuoco, perciò che ognuno lege li versi che ne la carta sua sono e mostranli a li compagni. Et in ciò si vedono a le volte a donne et omini venire terzetti che sono grandemente al proposito loro, e di gran riso de chi gli ascoltano” […]»
Nell’invitarvi a giocare con le carte e la poesia, riporto una selezione di testi:
Dalla sezione Il Matto incompiuto:
Propaganda
Come un lupo di Chernobyl
o la gazza che si spinge
dal bosco alla periferia
ladra del tempo futuro
procedo per tentativi:
incrocio le dita, mescolo
carte, trasmuto e sublimo
leggo conchiglie, viscere
sono sciamana al mercato
nero, ti racconto l’arché.
Il folle perso nella folla
è massa
tumore della modernità.
Rido pagliaccio briccone
nel timore gioco un cancro
d’autogol mangia pianeti.
Non dire che so sperare!
Il pasto nudo è la fiera
estrema unzione, atrocità.
Quanto sono ballardiana
distopica alla Cronenberg
post Burroughs filo-matta
(non alzo però la voce).
Per Crono, Spirito del Tempo
la fine
è di Necessità esercizio?
Voglio una sopravvivenza
dal ticchettio nucleare
l’estrazione di salvezza
la briciolina universale.
A punto croce mi disegno
son stellina supernova
sole luna lume nebulosa
asteroidea quasi rinata
libertà per sola andata.
Dalla sezione L’Imperatore:
Il giovane Eros
C’è una freccia conficcata nel cuore del buio
nel giallo dell’uovo c’è una picca d’oro.
La madre alza il dito indice, punta al Nord.
Falange tesa per scrivere il verso, l’appunto
quel punto preciso nel quale a suo avviso
Eros dovrebbe, si spera, andare a colpire
per fare innamorare di sé la mera realtà.
Il rosso padre del giovane dio, per contro
va affilando una lunga spada d’argento.
Alza gli occhi a ipotizzare nuovi cieli
eserciti di nuvole per gli arcani invasori:
«La guerra non è mai stata un bel gioco!».
Ares che ammira l’energia vitale di Eros
suo figlio, non conosce d’Afrodite il mito.
Il bambino sorride ad amore e battaglia
ubbidisce ad entrambi gli dei e a nessuno.
Verrà il giorno della differenza, il tempo
della partenza: Eros andrà via, armato
di storie possibili, d’arco e faretra
per stupire i bersagli al cuore, al centro.
Avrà una passione smodata per la libertà
di mirare ai regni che non conosce ancora
e la curiosità dei rei per il volo misurato
tra il destino già detto e la nuova scelta.
Dalla sezione Gli Amanti:
Ipotesi in assolo
Self confidence
fiducia nello sguardo del Sé.
Al cuore della verza
arrivi
consumando prima le foglie
più dure, la scorza
accorta, timorosa
gli odori umani animali
mascherati sotto i profumi
timo, rosmarino e salvia
le mie carni alla brace
l’attimo di carbonio
che si riconosce figlio
del sole e del caffè.
Dalla sezione La Giustizia:
Aracne
È inevitabile
è un difetto dalla nascita.
Ad ogni mia convinzione
aggiungo
un punto di domanda.
Ad ogni affermazione
accosto
l’ombra mora
della mia bianchezza.
Sul filo dondolo
figlia tra le figlie dei ragni.
Appesa il giorno come la notte
ho cura
del segreto della tessitura.
Ho il senso dei ragni
per la tela.
Dalla sezione L’Appeso:
Memento
Dimmi perché è difficile
tenere le redini del mezzo carro
condurre il centro delle cose al punto
nel quale un uomo incontra l’altro
doppio
di sé stesso uguale contrario
a ogni fanatica presa di posizione.
Mi prende la tristezza nei social
network di globi bianchi contro neri
mondi viceversa da battaglia
a suon di stupratori terroristi
in gara le dimensioni dei mostri.
Ce l’ha più grosso il babau o l’ego
d’italica memoria appesa in piazza?
Sul patibolo innalzerò una picca
nera signora d’arcano maggiore
vita che nel dubbio perenne culla
il nostro Sé carbonio universale.
Carpe Diem gioco
a Memento Mori.
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Valeria Bianchi Mian vive a Torino ed è psicologa psicoterapeuta e psicodrammatista. Cura la Rassegna Nazionale di Psicodramma e Sociodramma L’Io e l’Altro. Ha curato l’antologia Poesie Aeree (Matisklo Ed. 2014). Ha scritto e illustrato Favolesvelte (Golem Ed. 2015). Ha partecipato a numerosi saggi di psicologia a più voci, tra i quali Utero in anima (Lithos Ed. 2016) e Amori 4.0 (Alpes Ed.). Il suo primo romanzo è Non è colpa mia (Golem Ed. 2017). Ha curato e illustrato l’antologia di racconti Una casa tutta per lei (Golem Ed.). Blog personale: poesieaeree.wordpress.com