“Nuovi poeti italiani”, a cura di Maurizio Cucchi (Einaudi)

Nel segno “irrinunciabile della meditazione lirica”, leggiamo e “udiamo” l’immaginazione che dà forma alla realtà, che dà forma all’inerente “destino”. Parliamo di “Nuovi poeti italiani”, volume 7, a cura di Maurizio Cucchi (nella foto), pubblicato da Einaudi. Presenti cinque autori contemporanei, ciascuno con “variegate soluzioni di tono e forma” e una chiara “sensibilità per il mutante corpo della parola”: Silvia Caratti (il legame imprescindibile con elementi del vissuto, minimi o decisivi che siano, e l’asciuttezza essenziale e impeccabile della scrittura, nella sua sottigliezza acuta e nell’incisività aperta della versificazione), Massimo Dagnino (un continuo trapassare dalla concretezza dell’esperienza immediata a un territorio imprecisato, come un generico altrove, forse astratto, lavorando la pagina verso una sorta di polisemia o di proiezione ortogonale del nostro più normale esserci nelle cose), Mario Fresa (si impone, nel raffinato gioco sempre aperto delle narrazioni poetiche, proposte per frammenti e situazioni, concrete quanto spesso indefinibili, un senso vivo e sottile del paradosso, sostenuto da una positiva agilità della scrittura, condotta fino ai labirinti di un raro gioco virtuosistico), Annalisa Manstretta (poesia che si propone con successo nei caratteri di una medietà linguistica e stilistica dei toni affabili, dove la specificità, insieme realistica e sognante della narrazione poetica, venata dalla continuità di un’emozione circolante, si realizza nella ricerca di un’armonia con il mondo esterno e l’esistere), Wolfango Testoni (ha il pregio di connettere senza attriti i dettagli di una quotidianità anche minima e riferimenti culturali alti, come nelle diverse citazioni di poeti che costellano la raccolta – con un omaggio a Paul Celan nel testo ‘Parigi’. Così come riesce a far coesistere pensieri allusioni di morte con situazioni e immagini di segno contrario).

(Grazia Calanna)

Parliamo dei ‘protagonisti’ dei versi? E, ancora, cosa li accomuna?
Si tratta – dichiara Maurizio Cucchi – di figure da tempo felicemente attive, nel campo della nostra poesia, e che hanno sicuramente raggiunto un livello di chiara e personale maturità espressiva. Appartengono alla stessa generazione, essendo poeti nati tra il 1968 e il 1973, hanno identità espressive autonome e diverse, mostrando però, tutti e cinque e in modo proprio, una costante attenzione per il reale, per la sua stessa dimensione materica. Nell’osservazione del reale, maturano appunto le articolazioni del loro pensiero, secondo un andamento che potremmo definire di meditazione lirica. E anche sul piano delle scelte stilistiche si evidenzia una loro viva scioltezza di movimenti pur nella concretezza evidente della loro parola.

Quali i temi, quali i “territori tematici” trattati, quali le “soluzioni di tono e forma” che caratterizzano il volume?
Leggendo le loro opere nel corso del tempo (e dunque anche quelle che precedono i versi pubblicati in questo nuovo volume collettivo) avevo imparato ad apprezzarne la personalità, che qui viene a confermarsi al loro livello più alto. Mi è parsa così un’operazione necessaria per evidenziare la vitalità della nostra poesia oltre le esperienze precedenti dei maggiori autori tra secondo Novecento e nuovo millennio. Non si tratta, comunque, di un’antologia generazionale, ma di un excursus in alcuni dei territori salienti della ricerca poetica d’oggi. L’idea di un libro d’assieme nasce dalla constatazione della vicinanza tra di loro, di questi autori, pur nella particolarità specifica che nelle loro opere si evidenzia. Importante è a mio avviso tener conto del fatto che ognuna di queste cinque voci si presenta con una silloge completa, come l’esito del lavoro in corso di ognuno in questi anni. Tutti e cinque sono insomma presenti con quello che avrebbe potuto essere un vero e proprio libro autonomo. Dunque abbiamo qui le nuove opere di Silvia Caratti, Massimo Dagnino, Mario Fresa, Annalisa Manstretta e Wolfango Testoni. In questi anni, in effetti, si è moltiplicato, per la poesia, il numero degli scriventi ma non quello dei lettori. È importante, a mio avviso, che un editore importante come Einaudi, e in una colla di storica importanza come la “bianca”, intervenga per sottolineare la vitalità e l’originalità del discorso poetico di oggi, oltre gli stessi importanti esiti dei valori già acquisiti e storicizzati. E poi questi poeti (come ogni vero poeta) fanno un importante servizio, con la loro parola d’arte, alla nostra lingua, di questi tempi così …vilipesa. E mostrano come la ricerca della complessità nel senso dell’esistere sia una necessità alla quale non si deve rinunciare.

 

Scelte per voi

Silvia Caratti

È l’aspirazione alla materia
di cui è fatto l’umore del tuo occhio
il segreto spugnoso tessuto delle vertebre piegate, i piccoli reni bruni
incastrati sotto fasci muscolosi
restano silenziosi i nervi
nel buio delle tue corone
che sondo con la lingua.
È l’esposizione della materia
che cova umida e ingabbiata
che vive di vita propria e pulsa
difesa dallo spesso osso sternale
che ti vorrei spaccare amore. E entrare.

Massimo Dagnino

A identificare il campo
acceso, l’alone arancione
dell’autostrada.

è solo un volto che arriva nel suo
rovescio fra rami che diventano
puntinato, colline
fradice, sintomi emotivi
come la segnaletica
che galleggia nella retina
del paesaggio. Involontario
si attenua l’effetto di un continuo.
Sul tavolo le ultime pietanze.
Non era ancora nevicato.

Una strana luminescenza attraversa
la fine degli alberi,
ci coglie incauti.

Mario Fresa

Wurzel

E allora. Nessuno lascia la classe dei dementi
o i biscotti a tempo pieno. Lo dice Wurzel,
con tutto l’acetone che gli assale
la testa. Arriva dalle scale fino a lui,
messo così insieme
in isteriche polpe: e non scherziamo.

Lo si chiama raccomandato come un ladro;
grida, – la bocca allegra, nella fine cottura
del Provveditorato. Io l’ascolto mentre
dice di licenziarsi. Ma Wurzel vince le sue gambe
e non si lascia fregare! Ha un mantello di malattie
(come te) e se lo tiene stretto, fino ad esaurimento
scorte. Se fa lezione, muove parole fino
allo smog; s’intasa nelle sue stesse
macerie, in quell’essere bestia
che non perdona. Poi si vedrà.

Di Mario Fresa, a proposito de Il mantello di Goya (in Nuovi poeti italiani 7) riportiamo una dichiarazione: “Mi interessano le vicende in cui a segnare o a rivelare aspetti o segnali sotterrati sono le ferite, i colpi, gli improvvisi ribaltamenti che ricacciano, con nuove scosse di significanza, ogni passata o presente esperienza nel fermento e nel caos. Qui la poesia agisce come l’apparizione acuta di una violenza che non ti dà tregua e che, simile in tutto a una indifesa barca paurosamente rovesciata nell’acqua, ridona un senso nuovo al mondo; un senso, certo, meno semplice e più forte, e meno chiaro e più crudele, che spazza o confuta o ridisegna, come un lampo gelante, ogni evento malcapito o inaccettato rimutandolo in mistero, o in un’anti-verità così sbalorditiva da sottrarre identità, coscienza, storia. Ecco il significato del “mantello” di Goya: è l’arte che ti insegna a ripensare la realtà con riformati o sottaciuti desideri; è un mantello che copre e cancella l’io corrivo, indulgente, arrendevole che usiamo nei nostri falsi e disperati rapporti quotidiani; ma è anche il sogno di un atto finale, risolutivo, che ti faccia scomparire e tramutare in un nulla assordato, in un felice o folle azzeramento che possa farti agire senza più essere e senza più volere…”.

Annalisa Manstretta

In questa estate padana dovrei andare da sola,
per strade traverse, sterrate.
Dovrei andare da sola,
la bicicletta portata a mano,
incrociando le ombre dei gelsi, dei pioppi,
il grano tagliato, la meliga alta.
Andare da sola incrociando le ombre,
avvolta nel caldo, addosso rumore di cavallette,
intorno rumore di cavallette, filari d’alberi e ombre.
Nell’aria ferma passare per una luce più fosca, terrena,
per ombre più spesse, terrene.
A fianco di zolle passare, di bordi coi fiori degli orti.
Fermarmi ad ogni incrocio fra i campi,
ad ogni canto di uccello.
Ad ogni albero grande, ad ogni cortile – cascina, fienile –
e quando per terra c’è un riccio, una biscia, un toporagno morti.
Tira in basso la terra, tira fuori dai corpi.
Non andare lontano. Siamo qui. Nell’ombra, nell’afa, siamo tutti risorti.

Wolfango Testoni

I
A Buenos Aires,
Plaza de Mayo, sei l’ombra divertita
con il berretto bianco. Giovane sposo
con la sposa che sorride ma più seria
e più alta di te
bloccata dentro un’ansia temporale
nella timida postura
delle braccia lungo i fianchi.

È un problema di stampa, moda e serietà
sopra a un campo troppo lungo
che fruttifica
sull’ultima notizia di un miraggio.

Potrebbero interessarti