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La riva sinistra

Vi presento la mia traduzione di una famosa ode di Orazio, dedicata al console romano Lucio Sestio: un inno alla nuova stagione, un incitamento a godere del presente, della sua radiosa e fugace bellezza.  La traduzione è stata condotta sulla versione in prosa del poeta francese Leconte de Lisle.

*

ODE IV, Libro I – a Lucio Sestio

L’aspro inverno si dissolve al lieto ritorno della primavera e del Favonio, le
macchine trainano le carene messe a secco, e già il gregge non gioisce più
della stalla, né l’aratore della fiamma, le praterie più non biancheggiano di
gelate.

Già la Venere Citerea conduce i cuori, sotto la luna che si leva; le Grazie
decorose, unite alle Ninfe, a piedi alterni battono la terra, mentre l’ardente
Vulcano illumina le fucine oscure dei Ciclopi.

Adesso, invita ad avvolgere sul capo limpido il verde mirto o i fiori che dona
la terra intenerita; adesso, invita a sacrificare al Fauno nei boschi sacri e
ombrosi, sia che richieda un giovane ovino, sia che un capretto prediliga.

La pallida Morte bussa con piede uguale alle taverne dei poveri e alle torri dei
re. O beato Sestio, il corso della vita è breve e vieta le lunghe speranze. Presto
ti opprimeranno la notte e i leggendari Mani,

e la misera dimora di Plutone. Là più non tirerai a sorte il re del convito, né
più adorerai il tenero Licida, per cui adesso arde la gioventù, e presto brucerà
il cuore di fanciulle.

*

Solvitur acris hiems grata vice veris et Favoni
trahuntque siccas machinae carinas,
ac neque iam stabulis gaudet pecus aut arator igni
nec prata canis albicant pruinis.
Iam Cytherea choros ducit Venus imminente luna
iunctaeque Nymphis Gratiae decentes
alterno terram quatiunt pede, dum gravis Cyclopum
Volcanus ardens visit officinas.
Nunc decet aut viridi nitidum caput impedire myrto
aut flore, terrae quem ferunt solutae;
nunc et in umbrosis Fauno decet immolare lucis,
seu poscat agna sive malit haedo.
Pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas
regumque turris. O beate Sesti,
vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam.
Iam te premet nox fabulaeque Manes
et domus exilis Plutonia, quo simul mearis,
nec regna vini sortiere talis
nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventus
nunc omnis et mox virgines tepebunt.

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