Edvard Munch, Forest, 1899 DAVIDESPAP
Edvard Munch, Foresta

II

Auguro varie calamità al lettore che decide di ignorarmi.
Espongo il mio eccellente disegno per rintracciare l’anonimo autore dei pensieri eretici: andare a chiederne in giro.
Dialogo col gelataio sulla vera natura di Dio.

164) Gli altri non sanno quel che noi pensiamo di loro. Mentre, al contrario, noi li facciamo pensare secondo i nostri pensieri.

Leggevo con occhi intenti il mio anonimo autore. E per coloro che mi leggono solo ora, riassumo la questione brevemente: in un negozio d’antiquariato ritrovo questo manoscritto senza firma. Voglio sapere chi sia l’autore solo solo perché il tempo, da disoccupato, mi avanza sempre. Tu, amico mio lettore, mi sarai testimone in questa cerca e, se non mi accompagni con animo paziente e rassegnato, sappi che, se mai dovessimo incontrarci per la via, non ti saluterò, quasi fossi per me un perfetto estraneo e non ci conoscessimo davvero.

Questo era dunque il mio disegno: mi sarei recato da quanti, per la loro occupazione, hanno a che fare coi più e meglio conoscono gli uomini nella loro intima natura. Avrei fatto leggere loro questi pensieri eretici: avrei chiesto se conoscessero chi fosse tanto ardito da scriverli. Una volta appresa l’identità dell’untore, io stesso avrei bussato alla sua porta per il processo e, infine, con l’aiuto di Dio, delle tenaglie e dei carboni ardenti, lo avrei convertito alla vera dottrina una volta per tutte.

Ed ecco mi recai da un gelataio, di quelli col carretto, la musica tamarra e il fischio incollato alle labbra secondo l’uso degli addestratori del circo. Mentre era lì, sfaccendato sotto un cavalcavia, che quel giorno Giove pluvio aveva deciso di rovesciarci in testa qualche catino d’acqua in sovrappiù, lo salutai familiarmente, sebbene lo conoscessi soltanto di nome.
Mi accostai a lui, tirai fuori il manoscritto e gli dissi sottovoce:
« Leggi e dimmi tutto ciò che sai. »
Lui afferrò le pagine con aria intorpidita e, aiutandosi con un indice, come un bambino che sappia leggere appena, ripeté a voce bassa:

40) Il peccato per l’uomo di fede diventa la condizione spirituale per l’eccellenza per salvarsi. Diversamente non saprebbe incontrare il suo dio e farsi riconoscere.

120) Mai Dio ha avuto bisogno di tanto sangue nella storia per essere difeso ad esistere.

136) Un dio così esposto alle contumelie quello dei cristiani, così debole nella sua divinità da consentire di dubitare della sua potenza. Non ha dietro di sé vicende eroiche che lo possano salvaguardare dall’irrisione popolare e dalla condanna dal “crucifige” dei suoi contemporanei. Giove aveva i fulmini, Apollo le frecce pestifere, Nettuno le tempeste e i terremoti. Ma, a ben riflettere, il Dio dei cristiani ha però trasformato quelle astratte forze nell’ira ben più temibile dei suoi teologi, che astutamente gli hanno assegnato un dominio incontrollabile e invisibile sui morti e sui vivi, con il peccato.

« Dunque? – gli chiesi come attonito, dopo che ebbe letto – cosa ne dici? »
E quello, scrollandosi dal carretto e posando il fischio che ancora gli penzolava tra le labbra:
« Dio – disse – è come una brioscia col gelato. A te piace per il timore della fame o perché ti lascia in bocca il ricordo di un’esperienza dolce come una crema che si scioglie al palato? »
E io dopo aver meditato lungamente le sue parole:
« Così, su due piedi, non saprei… mi faresti una brioscia alla nocciola? »
Ed egli me la offerse.
Quindi, mentre mangiavo avidamente la brioscia per riportare il sapore di Dio nella memoria, il gelataio mi domandò:
« Ma per te questo Dio, di cui gli atei hanno sempre la bocca piena, è buono o non lo è? »
E io, porgendogli la brioscia e rispondendo da perfetto ateo:
« Sarebbe meglio con un po’ di panna! »
E tutti e due ridemmo di cuore a quella battuta per avergli risposto con la bocca piena.
Quindi ripresi:
« Dio mi somiglia più a un cono che a una brioscia. Perché una brioscia puoi riempirla, volendo, col prosciutto cotto e la mozzarella, e trattarla alla stregua di un panino, seppure non lo è. Tanti parlano di Dio allo stesso modo. Invece il cono – osservai – è fatto apposta per il gelato e solo per quello. Certo, diventa un problema, se anziché mandarlo giù, lo contempli tanto a lungo da farlo sciogliere nelle tue mani. Allora ti si appiccica alle dita e ti diventa insopportabile, questo è sicuro. E non ti resta che lavartene le mani e sbarazzartene meglio che puoi. »
E il gelataio, annuendo:
« Il gelato è buono, se preparato come Dio comanda, con amore. Un buon gelataio offrirà del buon gelato a chi ne chiede; un pessimo gelataio offrirà a tutti il suo gelato scadente. E la nocciola, il pistacchio, la fragola, il torrone… il cattivo gelataio rovina il sapore dei sani ingredienti di una volta, mentre il buon gelataio ce li restituisce nella loro originaria bontà. E questo che io sappia è il vero Dio: l’amore che metto nel preparare il mio gelato per gli altri. »
Così parlò il gelataio.
E io, con occhi gonfi di stupore:
« Tu mi parli da filosofo, mio buon gelataio. Ma io non son qui a conversare di cornetti e granatine. Conosci, per caso, chi abbia scritto questi pensieri amari? »
E quello, rimettendo in moto il carretto che il temporale era scampato:
« Non saprei – mi salutò, allontanandosi – ma non conosco nessuno, sotto il sole, a cui dispiaccia un cono di buon gelato… »

(Continua…)

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