Pietro Russo ha “fatto casa” nella lingua di “Eppuru i stiddi fanu scrusciu”.

Pietro Russo vive a Catania. Tra i suoi interessi principali (e dominanti) c’è la poesia, in ogni suo manifestarsi. È stato fondatore del Centro di Poesia Contemporanea di Catania. È responsabile delle attività culturali del comitato catanese della Società Dante Alighieri. Il suo primo libro di poesie, A questa vertigine (2016), ha vinto il Premio Violani Landi (sezione opera prima). Pietro Russo con il suo “Eppuru i stiddi fanu scrusciu”, edito da Le Farfalle, “riesce a dare straordinaria testimonianza di sé”, come scrive Giuseppe Condorelli nella nota introduttiva che focalizza il libro. Oltre la superfice visibile, le parole di Pietro Russo hanno una profondità invisibile. Potremmo dire che la poesia di Pietro Russo racchiude un carattere carsico, ovvero un carattere suggestivo quale potrebbe essere quello di un ‘fenomeno’ che non si rivela integralmente in superfice. Per coglierne la parabola semantica bisogna attraversare il terreno “emotivo”, quello sul quale, come sosteneva Vittorio Sereni (in una intervista apparsa su “La Nazione” del 24 giugno 1966), una poesia, qualunque poesia, sorge, si leva come “nuvola, polvere, mollica di vento” (nuula, pruvulazzu, muddica ri ventu – pag. 10). Il vento, (forse a simboleggiare l’azione dello Spirito Santo?!) con la “Sua opera” penetrante e purificatrice, aleggia il libro. Con l’amore che sprofonda dentro la terra (cu l’amuri ca s’anfossa intra a terra – pag. 11), con l’universo che urla dentro le vene (essiri ciniri e terra/ e l’universu ca fa uci intr’i vini – pag. 31), con un cuore smisurato (n cori smisuratu – pag. 33), con la verità di un frutto sopra la terra (vogghiu cascar interra ricennu/ Grazie/ come u pumu supr’a terra – pag. 39) Pietro Russo ha fatto casa in questa lingua (ce lo dice lui stesso nella bellissima poesia di pag. 26: fici casa na sta lingua). La lingua consolatrice, la lingua della terra, la lingua della madre (matri mia terra anniata – pag. 26), la lingua della gratitudine, la lingua dell’ascolto (eppuru i stiddi fanu scrusciu pag. 12 e pag. 13). La lingua come luogo “sacro” (anche quando laico) nel quale ritornare, nel quale trovare rifugio quando la notte è più lunga (quann’a notti è chiù longa – pag. 26). Poesia per un proliferare di significati che sgorgano dal testo poetico e che finiscono per riguardare entrambi, chi scrive e chi legge. Poesia sorgiva, germinativa. Poesia, direbbe Zanzotto, come anelito dell’uomo verso il mondo superiore.

 “fici casa na sta lingua”, scrivi a pag. 26, cosa ha significato fare casa in questa lingua?

L’equivalente del passaggio dalla famiglia d’origine alla famiglia che si è deciso di costruire. Quindi una cesura, naturale ma non per questo meno traumatica. C’è una continuità da recidere e, allo stesso tempo, da tradurre in una nuova realtà. “Fare casa” nella lingua di Eppuru i stiddi fanu scrusciu ha voluto dire, per me, apprendere di nuovo l’abc delle cose, imparare un modo di orientarsi e di stare al mondo, forgiare una nuova identità sulle vestigia di quella vecchia. Forse posso dire che è stato come un fare esperienza del trauma della libertà.

Immagino, curando la traduzione, tu abbia sperimentato l’impossibilità di ricomporre un perfetto equivalente. Quali e quante libertà ti sei preso?

Abbiamo tutti ben presente l’immagine della rete da pesca: nel passaggio da una lingua all’altra, dentro la rete rimangono i pesci presi ma non l’acqua che scivola via. Ecco, una volta appurato che il liquido – e diciamo pure, se mi permetti, l’amnios – di queste poesie non è “catturabile”, la traduzione diventa un atto meno ossessivo e più libero. In Eppuru i stiddi fanu scrusciu, tuttavia, solo in qualche caso sporadico mi sono preso la libertà di “interpretare” un determinato vocabolo; in generale ho preferito optare per una versione rispettosa dell’originale. Diciamo pure una traduzione al servizio della lingua poetica.

Oggi – in un tempo martoriato dall’assenza di ascolto quanto da una certa ‘afasia’ – ovvero incapacità sempre più diffusa di chiamare le ‘cose’ con il loro nome con gravi ripercussioni sulla “salute” della parola – cosa può la poesia?

La poesia, quando non diventa il dominio del narcisismo di chi la scrive, può ricordarci che siamo esseri relazionali, e quindi in ascolto continuo di sé e degli altri. Personalmente non vedo in giro molta afasia, anzi. Mi pare di vedere, al contrario, una verbosità che non è salutare per le nostre vite. Diventa necessario allora, per quanto mi riguarda, un polmone di silenzio che mi consenta di auscultare la connessione tra me e il mio respiro: io sono un baccano di stelle, non devo scordarlo.

Per Vittorio Sereni, la poesia è l’unico “campo di forze” in cui è davvero possibile agire – (pensiamo alla magia che le parole suggeriscono ma non sanno dire, alla loro ‘capacità’ di dire suggerire la forza della materia e della vita) –, per Pietro Russo?

Condivido la visione di Sereni a patto però che le forze messe in circolo non si limitino ad agire all’interno del “campo” (alcune volte persino un “orto”) della poesia, ma che invece ricadano nel mondo per investirlo, urtarlo, metterlo in crisi e infine abbracciarlo nella sua perfetta manchevolezza.  

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia? (ricordo Zanzotto, dice(va): lpoesia è sempre più di attualità perché rappresenta il massimo della speranza, dell’anelito dell’uomo verso il mondo superiore – ed è per questo che ti ripropongo la domanda, oggi al tuo esordio in dialetto).

 Non so spiegarmi la poesia e quindi non riuscirei a delimitarne i confini, cioè a fare un discorso di ‘paletti’ del tipo: “questo rientra nella poesia e questo no”. Detto ciò, mi piace moltissimo questa affermazione di Zanzotto. Da parte mia penso che la poesia abbia sicuramente a che fare con le possibilità dell’esperienza umana, che sono straordinarie e senza fine.

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 23.10.2022pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”); la ph in copertina è di Miryam Grasso. 

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