Piji, “S’i’ fosse whisky”, e l’arte che “dovrebbe” colmare la pensosa solitudine del “lettore”.

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “S’i’ fosse whisky”?

La scintilla l’ha avuta innanzitutto Marco Saya e poi Elena Mearini, che mi hanno stanato nel web e, a partire da alcuni testi delle mie canzoni e da alcuni miei post sui social, hanno deciso che avrei dovuto scrivere una raccolta di poesie. Mi hanno chiesto di farlo e ho accettato, tutto qua. Praticamente è come se fosse un libro commissionato! Ma la verità è che in casa mia (e questo Marco ed Elena magari non potevano neanche immaginarlo) c’erano un centinaio di quaderni di appunti brevi, bozze di canzoni, idee. Tutte cose che, in effetti, per lo stile e la brevità assomigliavano proprio a delle poesie. In più avevo un po’ di tempo a disposizione, perché la pandemia mi aveva tappato in casa per lunghi tratti e dunque ho accettato la sfida e mi sono messo a fare una cernita ragionata da tutti quei quaderni. Così è nato “S’i’ fosse whisky”.

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

In quello che scrivo (canzoni, teatro, ecc. nonché queste poesie) non vorrei mai che ci fosse proprio la MIA vita, non amo il diarismo come forma d’arte e i miei fatti personali credo che non interessino a nessuno. Diciamo che USO la mia vita per avere più a fuoco alcuni concetti e alcune suggestioni di cui mi viene voglia di parlare, ma se dal personale non andassero al generale, non avrebbe senso scriverne. Quindi forse più che la mia vita è il mio pensiero a diventare linguaggio. Il mio sguardo sul mondo. Filtrato, quello sì, dalla mia esistenza.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

Non so bene cosa intendi con “lingua dell’invalicabile”, ma provo a rispondere così: se fosse invalicabile non avrebbe senso di esistere. Se non c’è il lettore (o se non è in grado di valicare), non esiste neanche lo scrittore. Non so se stiamo parlando di ermetismi o di nascondimenti, di inaccessibilità o di difficoltà di comprensione. Personalmente credo che ogni linguaggio artistico abbia i suoi codici da dover decodificare, ma l’importante è che poi, una volta svelato il trucco, aperta la scatola dei significanti e dei mascheramenti, sotto ci sia qualcosa da dire di molto chiaro. Quando gli ermetismi sono esclusivamente degli espedienti per far finta di dire cose importanti senza in realtà dire nulla se non gli ermetismi stessi, sono solo vanità e opportunismi che prendono in giro sia il lettore che l’arte. Quindi per me non esiste arte invalicabile. Ma è altrettanto vero che un po’ di sforzo da scalatori è richiesto. Delle scarpe adatte alla montagna e delle corde bisogna pur tirarle fuori per valicare certe vette, basse o alte che siano!
Altrimenti le chiameremmo pianure e allora sai che noia…

La poesia può (realmente) colmare la pensosa solitudine del poeta?

L’arte (preferisco dire “arte” che “poesia” visto che mi capita di bazzicare diverse arti un po’ per campare e un po’ per gusto) dovrebbe colmare la pensosa solitudine del LETTORE, non del poeta. Altrimenti, ripeto, nulla avrebbe senso. Ma spesso l’urgenza di un autore è un’impellenza, un bisogno fisico di estrarre da se stesso un’idea e reificarla, sperando che qualcuno possa servirsene. Quindi ribalterei la tua dicitura. La poesia (si spera) può liberare il poeta e colmare il lettore. Quasi come un passaggio di proprietà. Io produco una torta perché sono uno chef e non posso farne a meno. Tu la trovi saporita e mangi quella torta. Dal produttore al consumatore, a km zero o a migliaia di chilometri, tanto è una torta impalpabile!

La poesia può – lo chiedo con i tuoi versi – “spegnere questo tempo di metallo”?

Lo ha già fatto tante volte e lo farà ancora. L’arte ha cambiato il mondo in molti casi e, allargando ancora la visuale, il “pensiero” è l’unico modo per cambiarlo. Hai citato la mia “1 kg di paglia e 1 kg di piombo” che parla di questa guerra russo-ucraina così come di OGNI guerra. Pochi giorni fa sono andato in scena con uno spettacolo intitolato “I disertori. Interventi bellici dal divano di casa” in cui io e Simone Colombari abbiamo riflettuto sulla guerra tra canzoni, poesie e scritti di vario genere. A un certo punto dello spettacolo diciamo che “SOLO con il pensiero si può fermare una guerra, SOLO con le parole si può fare la pace”. Il piombo della poesia è chiaramente riferito alle armi. E il contrario esatto delle armi sono le parole, non si scappa. Quindi per “spegnere questo tempo di metallo” non ci vuole l’azione, ma il pensiero. In questo caso l’artista, il poeta, può solo aiutare a muovere il vento. Ma le parole che contano di più, in casi come questi, sono quelle che si dicono a un tavolo di trattativa di pace. L’arte e la poesia, possono coadiuvare, contribuire a scolpire un pensiero. Ma poi serve la politica, nel senso più nobile di questo termine.

La forma quanto incide sulla “verità” della parola poetica? E il “suono”? E l’improvvisazione?

Sono tre domande diverse e tutte e tre difficilissime! Provo a riassumere così: nulla serve alla verità se non la voglia di utilizzare la verità. Ma nella vita, non nell’arte. Non c’è forma, suono o improvvisazione che tenga. Questi sono 3 modi di creare “finzione”, non “verità”, ma neanche “falsità”. L’opposto di “vero” è “falso”, non “finto”. C’è una meravigliosa frase di Gigi Proietti che dice: “Benvenuti in teatro, dove tutto è finto, ma niente è falso”. La stessa cosa vale per l’arte tutta e dunque per la poesia. L’arte è un mondo parallelo che c’entra poco con la realtà, per fortuna. Nella realtà è così facile e orribile essere falsi. Ed è così bello lottare per essere veri e per dire la verità. Nel libro ci sono un paio di poesie, “Lotta continua” e “Frequentare la verità” che parlano proprio di questo. Della verità come minimo sindacale da utilizzare nella vita vera per potersi considerare persone. Nell’arte è tutto il contrario. La verità, nell’arte, è solo pressappochismo. Detesto chi mente nella vita così come detesto chi vuole essere “vero” nell’arte. Chi pensa di essere “vero” su un palco, è un falso. E, di sicuro, nella realtà mente!

Qual è stato, ad oggi, il dono più prezioso ricevuto in dono dalla poesia?

Forse nessuno, se non quello di essersi fatta incontrare, intendo sempre l’arte, la canzone, la poesia, il teatro. Non mi hanno fatto doni, se non quello primigenio di esistere, di essersi fatti incontrare, poi di aver flirtato e avermi fatto innamorare fino a convivere con me ogni giorno. 

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una tua poesia dal tuo libro “S’i’ fosse whisky” e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Riporto volentieri la prima poesia del libro, una mia riflessione sul jazz che rientra perfettamente nei ragionamenti sull’arte fatti fin qui:

LE JAZZ

Una donna bellissima che parla francese.
Questo,
per me,
è il jazz.
Segui tutto il suo discorso, se la sai capire,
distingui la sintassi,
decodifica il messaggio,
discerni il timbro,
la pronuncia,
la dizione.
E trova il senso
in tutte le parole.

Ma se non sai la lingua, non ti preoccupare,
continua
subito
a lasciarti affascinare.

Ho provato a raccontare di quanto il jazz sia democratico e non elitario, come del resto tutta l’arte. E di come sia un linguaggio, anzi, una lingua, come ogni arte. E di come abbia vari livelli di comprensione, come tutta l’arte, compreso quel che si diceva della poesia. Decodificare l’arte può essere a volte anche difficile, quando è chiusa, ermetica, ma l’importante è che si stia dicendo qualcosa, altrimenti è il nulla. Ma c’è un altro aspetto che prova a mettere in luce questa poesia, ovvero che anche qualora non si capisse proprio tutto tutto di quello che un artista sta dicendo, l’importante è che l’opera d’arte sia “bella”, affascini. Ho immaginato una donna bellissima che parla francese, per parlare di jazz e, per traslato, per parlare dell’arte. Se vuoi capire tutto quello che ha da dire un artista ti devi un po’ sforzare (studiare il francese, in questo caso, prima dicevamo attrezzarti per la montagna…). Ma anche se non hai studiato, se non puoi decodificare tutto il linguaggio, l’importante è che il quadro totale sia affascinante e che tu riesca a cibarti almeno di questo. Non tutti gli ascoltatori di jazz sanno capire “esattamente” cosa stia dicendo un sassofonista quando fraseggia (si chiamano “frasi” non a caso). Alcuni sì, altri no. Ma quelli che non riescono a seguire PROPRIO il filo del discorso “frase” per “frase”, l’importante è che ne siano affascinati.
Insomma, credo che si possa accedere all’arte a tutti i livelli di cultura e di sforzo personale. Ma è altrettanto ovvio che più energia ci mette il lettore/ascoltatore e più può bearsi di ciò che sta fruendo.

Potrebbero interessarti