“Poeti e prosatori alla corte dell’Es”, un capolavoro che accende inedite riflessioni

«Sembra che gli artisti abbiano un rapporto privilegiato con l’Es, magicamente descritto dal “Kaiser” Groddeck come “entità prodigiosa”, ubiquitaria e totipotente, che dirige tutto ciò che gli umani fanno e tutto ciò che loro accade. Una forza travolgente e imperscrutabile che ci vive anche quando pensiamo di essere noi gli artefici del nostro destino: questo è l’Es groddeckiano che s’apparenta forse all’Anima Mundi di James Hillman o al Ça parle di Jacques Lacan, non certo all’Es della seconda topica freudiana». Il curatore, Giancarlo Stoccoro, introduce “Poeti e prosatori alla corte dell’Es”, eccellente saggio/antologia, edizioni “AnimaMundi”, la cui nascita è stata “suggerita” dall’idea groddeckiana secondo la quale il poeta raggiunge “la massima efficacia quanto più rimane nell’inconscio”, vale a dire nell’Es. Il volume, completato da una gustosa scelta di poesie degli autori intervistati, «riattraversando minuziosamente la letteratura che ha riconosciuto il proprio debito a Groddeck», indaga sul tema fondamentale posto dall’analista selvaggio, ovvero che «il poeta sia costretto a comporre ricorrendo a simboli e come raggiunga la massima efficacia quanto più rimane nell’inconscio».
Donatella Bisutti, Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Milo De Angelis, Alessandro Defilippi, Laura Liberale, Franco Loi, Franca Mancinelli, Umberto Piersanti, Fabio Pusterla, Giovanna Rosadini, Francesca Serragnoli, Miro Silvera e Giovanni Tesio. Questi i nomi di quanti, abilmente sollecitati, hanno risposto animando riflessioni policrome, preziosissime, che si spingono oltre il limite del pensiero accendendo inedite riflessioni.
Dal questionario – volto a svelare se (e quanto) ci si riconosca portavoce dell’Es, se è vero che la poesia ha una base necessaria e autobiografica, se ha una valenza salvifica, se esiste una relazione tra sogno e poesia, se l’Es venuto alla luce nella poesia necessiti (ancora) di essere decifrato, se si rimane fedeli all’Es che erompe nella scrittura o lo si tradisce traducendolo, se esistono condizioni che favoriscono la nascita (e lo sviluppo) di una poesia, se due mondi alternativi (prosa e poesia) possono entrare in rapporto e/o in successione -, emerge (anche) che la forza misteriosa dell’Es trascende colui che scrive, è una forza che lo “agisce” rivelando “zone sconosciute”.
Di ognuno, abbiamo scelto un passo (per noi) emblematico: Donatella Bisutti («Certo che l’Es necessita di essere decifrato. Questa decifrazione è appunto la scrittura della poesia. Ma non può e non deve essere mai completamente decifrato. La poesia è uno stare sulla soglia»); Franco Buffoni («Uno degli aspetti della lirica, che spesso determina la sua incidenza effettiva sul piano emotivo, è la forza nel rielaborare legami personali e affettivi in modo icastico e universale. Nella mia poesia credo che questa caratteristica diventi emblematica in Jucci (Mondadori, collana lo Specchio 2014). Jucci è la creatura dell’amore e della crescita umana e intellettuale, che compare fin dai Tre desideri (San Marco de’ Giustiniani 1984, con prefazione di Giovanni Raboni), per essere solidamente svelata e rivelata solo nel canzoniere omonimo»); Maria Grazia Calandrone («Approfittando della suggestiva distinzione suggerita tra poesia (materna) e prosa (paterna), mi spingo a fare un’ulteriore distinzione, utilizzando la categoria del tempo: la prosa, come la realtà fisica, possiede un tempo lineare – la poesia, come il sogno, un tempo ciclico o immobile. Il tempo lineare è ovviamente il tempo della realtà e della ragionevolezza, dello svolgimento del pensiero logico e del corpo. Il tempo ciclico o immobile è il tempo fusionale, quello della folgorazione, che immobilizza il tempo in un frammento eterno. Ovvero il momento dell’ispirazione»); Milo De Angelis («Ogni poeta può sentirsi portavoce dell’Es, ma poi occorre vedere come porta questa voce, se riesce a darle un timbro, un colore, un pathos, qualcosa che è solo suo e caratterizza in modo unico la parola. Fa bene comunque Groddeck a insistere sull’opera d’arte come svelamento di un mondo già dato, piuttosto che come fondazione di un mondo a venire»); Alessandro Defilippi («Credo invece, per rifarmi a Binswanger, che sogno e poesia siano due forme specifiche di esperienza della realtà. Ho imparato, con gli anni, ad accettare la vita onirica, sia nel caso che ricordi i miei sogni, sia che non li ricordi, come una parte fondamentale del mio tempo. E così mi pare di vivere due vite, come mi accade quando scrivo o leggo. In questo senso, allora scorgo un legame tra sogno e poesia, nel senso che entrambi permettono di esperire la realtà in una maniera specifica e non altrimenti possibile»); Laura Liberale («Quanto a me, circa il rapporto tra forma della poesia e forma della prosa, praticando entrambe, posso soltanto dire che esse cooperano al mio progetto conoscitivo ed esistenziale, alternandosi soltanto, per ovvie ragioni, temporalmente e mai quanto a priorità. Accadono, ora l’una ora l’altra. Groddeckianamente, mi lascio accadere»); Franco Loi («Tutti i poeti, gli scrittori e i filosofi, che hanno avuto l’attenzione e la pazienza di stare ad ascoltare se stessi e il mondo, dicono che quello che hanno scritto, non l’hanno scritto loro. Anch’io, quando rileggo le mie poesie dico: «ma chi le ha scritte?». Certo che serve la cultura, la cultura serve per rivedere le cose che si dicono. Non siamo così straordinari da ridire esattamente quello che ci viene detto dentro di noi e facciamo degli errori. Per questo abbiamo in mente le rime e tutte quelle regolette. Ciò che è davvero importante è l’ascolto di se stessi, bisogna essere soli»); Franca Mancinelli («È la forza di verità di un’esperienza a generare la parola poetica. Altrimenti siamo nella decorazione, in un gioco di tasselli, o nella superficie piatta del comunicare. Ciò che abbiamo vissuto plasma la materia della lingua»); Umberto Piersanti («L’Es venuto alla luce ha sia la necessità d’essere emotivamente accolto quando leggiamo una poesia, sia di essere, in una qualche misura, interpretato. Certamente non si tratta di una spiegazione meccanica e neppure latamente «scientifica» Non si può neppure credere ad una dimensione solo primordiale ed archetipica di un testo poetico. Quest’ultimo veicola anche pensieri e, perfino, una possibile concezione del mondo, una Weltanschauung»); Fabio Pusterla («Non so se posso parlare di “valenza salvifica”, non so se si può pensare a una salvazione. Ma certo la scrittura poetica per me ha avuto e continua ad avere un valore profondo, che trascende nettamente la pura valenza estetica o il prestigio (ammesso che esista ancora) culturale. Forse scrivo perché “devo” scrivere, quale che sia il trauma eventuale; di certo scrivendo riesco a convivere con me stesso»); Giovanna Rosadini («Personalmente, ritengo che la poesia sia il luogo della rivelazione e della discontinuità rispetto all’ordinario e al quotidiano in cui siamo immersi e agiamo, per lo più irriflessivamente, per schemi preordinati cui ci conformiamo. La poesia (ben più della prosa, destinata alla comunicazione quotidiana e standardizzata, banalizzata dall’uso, e analogamente ad altre forme d’arte, come la pittura o la musica) è, in buona sostanza, il frutto di un’epifania, dell’irruzione nel tessuto della vita di qualcosa che ci fa sussultare, che ci risveglia e riconnette alla nostra verità più autentica e profonda»); Francesca Serragnoli («In ordine alla mia salvezza personale la poesia è come se fosse un guardasigilli della mia identità più alta. Mi salva da ciò che non è umano»); Miro Silvera («Sono d’accordo con Paul Valéry, che gli dèi concedono la grazia di un verso (o di una prima foglia su un albero, secondo John Keats) ma l’ispirazione o l’albero vanno nutriti per poter cogliere altre foglie, altre pagine, e farne una corona. Sta a ciascuno di noi comporre un serto (o un libretto) che per tutti abbia senso: il faut cultiver son jardin»); Giovanni Tesio («Tra sogno e poesia corre – a mio modo di vedere – lo stesso rapporto – o quasi – che passa tra memoria e poesia. Sono tutt’e due modalità esposte alla deformazione, alla devianza, all’obliquità, all’ambiguità. Ma sono tutt’e due modalità altamente creative, su cui mi accade spesso di riflettere (o di essere riflesso)»).

Seguono 14 testi (poesie e prose) scelte dal volume, “Poeti e prosatori alla corte dell’Es”, rispettivamente di Donatella Bisutti, Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Milo De Angelis, Alessandro Defilippi, Laura Liberale, Franco Loi, Franca Mancinelli, Umberto Piersanti, Fabio Pusterla, Giovanna Rosadini, Francesca Serragnoli, Miro Silvera e Giovanni Tesio.

Lezione di bicicletta

La mia prima bicicletta a due ruote
tu mi tenevi il sellino
davanti al paesaggio d’estate
vuoto
finché perduta la pazienza
ricordo i tuoi
schiaffi sonori sulle guance

Così mi spingesti
verso l’infinito
ho imparato a pedalare per sfuggirti
muovendo i piedi ho trovato i pedali
non avevo altro modo per sottrarmi
trovando in qualche modo un equilibrio
ho affrontato la vita per paura

(da Rosa Alchemica, Crocetti, 2011)

Il terzino anziano

Erano invecchiati
anche quelli della sua età
con la barba verde tra i piedi
e l’odore di maglia a righe,
ma lui restava
in difesa
pesante, a sentirsi i figli
crescergli contro
e vendicarsi.

II
Tutta per alto

Siedo sola
con l’impressione della moltitudine: arriva
alle spalle
dal non condivisibile
un soffio leggerissimo e continuo
che trascrivo
come il tracciato della febbre
o la moltitudine attiva delle formiche
sulla figura assolta dall’officio umano.

(da Sulla bocca di tutti, Crocetti, 2010)

Non so, credimi, se riuscirò. Ascolta,
vienimi vicino, posso dirti che il sangue
zampilla scuro ma non riesco a cancellarmi
c’è un silenzio fatato che in me respira,
un sussurro di quaderni scritti a mano
e la parola precisa, dio mio, quella parola
che alla trincea della fine mostrò un frutto.

“[…]I risvegli, da quando è entrato nel labirinto, sono ardui: pare di continuare a sognare, a sognare quell’impossibile cosa che è l’essere lì, in quel luogo, tra vasche d’acqua scura e pareti grigie, a caccia di quell’ombra. Ma poi la pietra è fresca intorno a lui, il sole si scheggia in una luce dorata attraverso le alte finestre. Il labirinto non è meno reale dell’iso la su cui sorge o del profumo di rosmarino che la mattina dona a Teseo. […]”.

Figlia.
Parola che d’un subito si strappa
se al viso la tendo ad aderirti
all’anfora miniata che hai per ventre
al vivo del ricamo delle dita.
Figlia.
Mia figlia.
Parola che si sbriciola all’istante.
Tu sei. E la parola è niente.

Penser penser penser… e mai silensi.
La machina del nient se ferma mai,
l’è l’òm che mai se sculta nel sò nient…
l’è cume ‘n’ òss che passa la furmiga
e resta òss de òss surd al sò sangh…
e cume ciama dent el tò bèll vent!
e cume in dormia la vita la scarliga!
Sèm ciucch del nost pensà e di turment
e quèl che l’era lüs se fa de sfiga.

(Pensieri pensieri pensieri… e mai silenzio. | La macchina del niente non si ferma mai, | è l’uomo che mai si ascolta nel proprio vuoto… | è come un osso su cui passa la formica | e resta osso d’osso sordo al proprio sangue… | e come chiama dentro il tuo bel vento! | E come in sonno la vita scivola via! | Siamo ubriachi del nostro pensare tormentati | e quel che era luce si fa disgrazia.) – da Il silenzio, Mimesis Edizioni, 2012

Le uova ci sono e l’oca le cova. Forse è passato un mese, forse tre. Un vecchio che viene a potare la siepe dice che il tempo della cova è terminato, che là sotto, se c’è qualcosa, è tutto morto, e che se non si tolgono le uova l’oca continuerà ad avvolgerle nel ventre, fino a perdere le forze e ad ammalarsi. Il vecchio allora si china sul nido, prende le uova una ad una, le avvicina all’orecchio e le scuote. Quelle che fanno un rumore sordo le spacca contro una pietra. Sulle zolle si apre un liquido rosso e marrone, gelatinoso e maleodorante. La maggior parte delle uova viene aperta, poche vengono rimesse nel nido. Assistiamo a questo rito consapevoli che una minima imperizia decide la vita. Anche nello scrivere c’è un tempo oltre il quale ogni più premurosa costanza e dedizione non valgono a nulla: da quel testo non nascerà una poesia. Un lettore attento e con esperienza può aiutarci a riconoscere quale testo può avere ancora speranze. Forse con il tempo impareremo a distinguere da soli il suono della fissità e quello da cui può nascere la vita. Ma facilmente chi ha fatto le uova è portato ad aspettare oltre ogni limite, a riversare nella possibilità tutto se stesso. Certe cose invece non dipendono neanche del tutto da noi. A volte bisogna semplicemente alzarsi dal foglio, abbandonare il nido, e continuare a muovere passi nell’erba.

Frammento lirico

Ricordi la casa perduta tra i greppi
il sapore del fieno
e l’immensa famiglia contadina?

Il primo bacio stupito ai Cappuccini
e Dio e la morte a sedici anni?

(da La breve stagione, Ad libitum, 1967)

«Ora ho deciso: voglio essere migliore,
offrirmi alla luce vincendo la paura,
scivolare ridendo nel buio.
Ti scrivo dal mio povero volo,
e sto imparando a guardare verso il basso,
a sapere del vuoto.
Ti aspetto da qualche parte nello spazio,
mettici il tempo che vuoi o che ti serve. Precipita
tutte le volte che devi. Difendi le ali.»

(da Corpo Stellare, Marcos y Marcos, 2010)

Nulla, non deve fare nulla. Lasciare
al mondo l’iniziativa. Scivolarsi
nel giorno come nel sonno. Incolume
perché slegata e senza peso, senza
intendimento. L’aria entra senza sforzo,
la sfoglia, la spoglia. Luce che penetra
l’ombra. Ramo che si allunga.
Gestazione silenziosa della gemma.

Ogni volto ha il suo vento
due dita fredde lo sfiorano talvolta
nel camminamento, il blu ha la vastità
di un arco e poi di un altro, il trucco
scende fino alle ginocchia
non osa toccare terra, lo trattiene
qualcuno che si volta
una parola detta a metà.

Seguiranno i giorni dove il bruciore
della quasi primavera conserverà
intatto lucido controluce
un raggio di vetrata, di polvere
ho scoperto che la notte mi guarda con soggezione
i suoi occhi bassi non riesco più
a incrociarli, il pianto è un lago freddo
dove nemmeno più riesco ad entrare.

il mondo
trita
fra le sue dita
la nostra vita

La poesìa a l’é com na porila
ch’a fa la barivela e a sta da chila.
A subia, a canta e a viv soa vita bela
ma ‘d vòte a piora se l’ombra la sgiafela.

I é pa ‘d rason ch’a peusso bustichela
përchè ‘d gnente l’é fàita soa paròla
s’a i é ‘n cit son ch’a possa sota ‘d chila
e a l’é come ‘l rochèt con la marela.

I é gnun motiv ch’a i sia dë s-ciapela
come coj ch’a penso ‘d dëstanela
s’a giua a sté stërmà, la marminela.

Për tan ch’a fasso a pie-je l’animela
gnente da fé, sta s-ciassa la caviera
e sò destin a l’é dë stes-ne sola.

(La poesia è come una ragazza | che fa l’impertinente e sta per conto suo. | Fischia, canta e vive la sua vita bella | ma a volte piange se l’ombra la schiaffeggia. || Non ci sono ragioni che possano molestarla | perché di niente è fatta la sua parola | se c’è un piccolo suono che preme sotto di lei | ed è come il rocchetto [cilindro di legno per incannare il filato] con la matassa. || Non ci sono motivi per volerla spaccare | come fanno quelli che pensano di stanarla | se gioca a stare nascosta, l’astuta. || Per tanto che facciano per prenderle l’animella | niente da fare, sta compatta la capigliatura | e il suo destino è starsene da sola.)

(la versione ridotta di questo testo è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 05.11.2017, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi” a cura di Grazia Calanna).

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