ROBERTO MUSSAPI, POETA DELLE VOCI, DELLA VOCE

«… Ho sempre considerato assolutamente indispensabile l’incontro con l’altro, perché è attraverso l’altro che definisco meglio me stessa e che mi metto in movimento verso una mia ridefinizione. Penso che l’incontro felice tra due anime, quando avviene in profondità, non è mai esperienza “breve”, perché in ogni caso, terminato questo tempo, “breve” o “lungo” che sia, ci si ritroverà comunque diversi. Penso a quegli incontri che vanno al di là dello spazio, modificando i confini della nostra anima, dando a questa un più ampio respiro, e mutando la percezione del tempo, aprendoci a un mondo assolutamente misterioso: quello del possibile. …».

Così scrive  Silvia  Granata,  operatrice culturale,  scrittrice lei stessa,  nel capitolo conclusivo del libro-intervista a, L’oceano delle voci. Conversazione con Roberto Mussapi. Un viaggio nella vita e nelle opere del poeta, edito quest’anno, 2022, da Algra Editore nella Collana di critica poetica “L’arco di Ulisse” diretta dal poeta e critico letterario Emilio Zucchi.

Questa sua riflessione, assai profonda e meditata mi ha molto impressionato, perché ritengo, con la dovuta modestia, che possa prenderla in considerazione nel caso dell’incontro tra me e Roberto Mussapi, quindi del rapporto di amicizia che si è generato e maturato nel tempo.

Ho incontrato per la prima volta, e quindi conosciuto, il poeta Mussapi agli inizi del giugno 2000, da me invitato a un piccolo evento annuale di musica e poesia, “Saluto a Persefone. Concerti di poesia e musica”, che curavo per l’attività di promozione culturale dell’Ente pubblico presso il quale lavoravo.

Ci siamo incontrati nuovamente, l’anno successivo, marzo 2001, in occasione della manifestazione creata e organizzata da Antonio Presti “Poeti in treno”.

Da quegli incontri è nata, e consolidata negli anni, un’autentica amicizia, un approfondimento e un interesse costante per le rispettive opere, una sentita stima reciproca, immune da piaggeria o interessi sottotraccia.

A voler pensare a un tema, un motivo conduttore per una definizione, un profilo del poeta Mussapi, della sua poesia, sarei propenso a individuarlo in questi termini: Mussapi poeta delle voci, della voce.

Il suggerimento per la formulazione di questa definizione non mi è pervenuto né dal già citato libro di Silvia Granata, L’oceano delle voci…, né dall’autoantologia di traduzioni, The conversation of voices, che ha inaugurato, per i tipi del già citato Algra Editore, la collana di poesia contemporanea italiana e straniera “Ginestra dell’Etna”, diretta dal poeta Maurizio Cucchi e da chi scrive, né tanto meno dall’ultimo libro di Mussapi, uscito nello “Specchio” di Mondadori nel 2020, I nomi e le voci, bensì dalla memoria del passo di un saggio di Paul Valéry, tratto da Poesie et Pensée abstraite (trad. ital. in Varietà, antologia di saggi che presentano l’aspetto “pubblico” del pensiero di Valéry, cioè non più volto alla speculazione interiore, bensì applicato a diversi oggetti, letterari in primis, a cura di Stefano Agosti, 1971 e SE 2007, pp. 322-323).Valéry scrive:

«… Pensiamo a un pendolo che oscilla fra due punti simmetri­ci. Supponiamo che una di tali estremità rappresenti la forma, i caratteri sensibili del linguaggio, ossia il suono, il ritmo, gli accenti, il timbro, la cadenza – la Voce in azione; e che l’altra, simmetrica alla prima, rappresenti invece tutti i valori significativi, le immagini, le idee, gli impulsi del sentimento e della memoria, gli stimoli vir­tuali e le formazioni conoscitive – il contenuto, il senso di un di­scorso. Osserviamo allora gli effetti della poesia in noi stessi. Vedre­mo che ad ogni verso, il significato che si produce in noi, anziché distruggere la forma musicale che ci è stata comunicata, la richiede. Il pendolo vivente che è disceso dal suono verso il senso esige nuova­mente di risalire verso il suo punto sensibile di partenza, come se il senso stesso che si è affacciato al nostro spirito non trovasse altra via d’uscita, altra espressione, altra risposta che quella stessa musica che gli ha dato vita. Così, tra la forma e il contenuto, tra il suono e il senso, … , si manifesta una simmetria, una parità […] di valore e di potere, che non esiste in prosa; che si oppone alla legge della prosa… . Il principio essenziale della meccani­ca poetica – cioè delle condizioni di produzione dello stato poetico tramite la parola – consiste nello scambio armonico tra l’espressio­ne e l’impressione. …».

In sintesi estrema, deduttiva e conclusiva: le qualità che si possono enunciare relative alla voce, ad una voce, umana, sono le stesse che si devono studiare  e “rendere” in poesia.

Credo che la poesia di Roberto Mussapi contenga queste specifiche “qualità” e che perciò abbia molta attinenza con quanto espresso da Valéry e dunque con la mia ipotesi di profilo del suo essere poeta.

Sarebbero tre le fonti cui attingere, a mio modesto avviso, per dare senso a questa eventuale definizione del profilo poetico di Mussapi.

La prima va messa in relazione con il suo essere poeta traduttore. La relazione trova riscontro nelle parole stesse di Mussapi che traggo dal citato libro-intervista:

«… Fin dalle mie prime letture, ricordo di aver sempre provato più attrazione per le voci che non per la parola scritta… Il prodigio della scrittura sta proprio nel riuscire a custodire la voce senza la voce. ».

E ancora: «… Ho sempre tradotto, naturalmente, per vocazione, cercando, in base alle affinità elettive, di dare voce a quei poeti che sento appartenenti alla mia costellazione.

Per me, una necessità, direi quasi fisiologica [mi viene da pensare a una possibile “fisiologia poetica”] di dare voce ad autori di altre lingue, ma per approdare ancora alla mia. ».

Dunque: tradurre come “viaggio” (testuale) alla ricerca del mondo dell’altro fino alla scoperta o ri-scoperta di se stessi, della propria “voce”.

Possiamo dire che è l’ampia attività di traduzione di Mussapi a documentare le sue citate affermazioni, ma soprattutto, ed esemplarmente, opere quali Racconto di Natale (Guanda, 1995), vero e proprio lavoro di riscrittura in versi del capolavoro di Dickens, come giustamente sostiene lo stesso autore: «… l’ho riscritto, imitandolo, come ci insegnano i nostri Maestri: Virgilio con Omero, e Dante con Virgilio… /…/ Ne ho fatto uno mio, il mio Racconto di Natale…», come pure il già citato The conversation of voices, splendida, personalissima antologia di “voci” poetiche che spazia dalla moderna poesia occidentale a quella del mondo antico, greco e latino, in cui «… la mia voce attraversa altre voci, o meglio è suscitata da altre voci. », come scrive lo stesso autore nella Nota in chiusura del libro; e non ultima, Lirici greci (con Introduzione di Giulio Guidorizzi, Ponte alle Grazie, 2021), traduzione di una scelta dei lirici greci, molto originale e mirata, sull’esempio dell’ormai classica traduzione di Quasimodo, nella quale ai lirici sono accostati anche brani scelti dai tragici.

La seconda fonte è facilmente individuabile nella scrittura drammaturgica, in prosa e in versi, del poeta e drammaturgo Mussapi. Pur ritenendo bene assimilate le esperienze di Eliot e, in Italia, di Luzi e Testori, sicuramente, come racconta egli stesso, l’incontro con l’opera drammaturgica di Wole Soyinka fu fondamentale per fargli comprendere che era ancora possibile scrivere teatro  in una certa prospettiva. Da qui la riflessione sul fatto che “un poeta che non scrive teatro è come se fosse in un certo modo distante da una parte dell’istinto sacrale della poesia.” Ed è così che “la relazione tra poesia e teatro diventa centrale”, affiancandosi scrittura poetica e drammaturgica, “spesso intersecandosi inestricabilmente, come nel monologo in versi La Grotta Azzurra (Jaca Book, 1999)”.

Dunque, questa sua duplice versatilità trova, in particolare, una sua originale fisionomia nel “teatro in versi”, in cui lo speculare rapporto tra i due generi di scrittura, la drammaturgica e la poetica, si fonde mirabilmente in un unico modulo espressivo di tale energia da coinvolgere sia il lettore dei versi che lo spettatore teatrale, di cui già Voci dal buio. Drammi in versi (Jaca Book, 1992) e Voci prima della scena. Monologhi in versi (Stampa2009, 2017) sono eccellenti esperimenti che hanno anticipato quello che ritengo il documento più esplicito e magnifico di questa seconda fonte, il recente, già citato, libro, I nomi e le voci. Naturalmente, l’esperimento è sostenuto da ragioni intrinseche all’esercizio stesso della scrittura e di contiguità tra le due esperienze, tali da farci assimilare la figura del poeta Mussapi a quella di un avventuroso esploratore delle profondità dell’animo umano, un viaggiatore instancabile che si spinge fin nei territori più remoti dell’esistere alla ricerca e alla scoperta degli archetipi dell’umana avventura, nella piena consapevolezza del senso del fluire del tempo e dell’avvicendarsi delle civiltà e delle culture, dall’antichità alla modernità.

Per un poeta, in verità, non può esserci altra vicenda di vita e di scrittura, in versi o in prosa, drammaturgica, epica o lirica, che non sia quella di un ricercare, come uno scienziato, nella memoria ancestrale, in quella storica e in quella personale, teso allo svelamento del proprio destino e di quelli “generali” (Fortini), nel quale si fondono passato e presente, mito e realtà. E questo è quello che avviene compiutamente in questo libro, dove, riprese da precedenti appartenenze, rivisitate, ricomposte e assemblate sul proscenio di una nuova pagina poetica, sono evocati figure, nomi, voci di personaggi che appartengono al mondo greco e alla tragedia shakespeariana, come alla quotidianità del presente, per essere protagonisti a tutto tondo che rappresentano, superando le delimitazioni delle epoche e la diversità dei luoghi, l’umana, complessa vicenda dell’esistere.

Così riemergono dal “buio”, che non è soltanto metafora del mondo infero, ma anche di lontana memoria mitica, rigenerata alla luce della parola poetica, che è coscienza del presente, le voci di Enea e Didone, nelle quali un’unica profonda verità affiora, la forza tutta umana dell’amore. E ancora, in componimenti di ampio respiro e liriche più concentrate, in forma di monologhi e lamentazioni, riprendono voce personaggi del teatro shakespeariano, della tradizione narrativa orientale, le loro parole si riaccendono per farsi nuovamente  materia vivente come in quelle del “tuffatore di Paestum”, di Plinio il Vecchio, che, prossimo alla sua fine nel magma incandescente del Vesuvio, si scopre degno del fuoco d’amore datogli da una donna, quelle di Maria, protagonista della già citata La Grotta Azzurra, addetta alle pulizie della toilette di un autogrill, che compongono una storia che nulla nasconde di una realtà umiliata ma non spezzata; infine, a queste parole-voci fanno eco quelle evocatrici della memoria d’infanzia del poeta stesso nel monologo Lezioni elementari in cui recupera il valore formativo della figura del proprio maestro Gabriele Minardi.

Solo la mediazione del poeta, personaggio invisibile ma presente indirettamente, ombra fra le ombre nel suo viaggio di ricerca ed esplorazione, con l’atto creativo può ripor­tare la loro memoria alla luce della parola poetica che in questo caso è diventata “scenica” perché sono le ombre a ritor­nare protagoniste dirette con le loro voci sulla scena di una nuova vita, che è quella della poesia, capace di riproporsi come forza vita­le che rigenera il senso dell’esistenza, della storia.

A questo punto non è difficile risalire alla terza fonte, in quanto non può non essere individuata nel complesso dell’opera poetica di Mussapi (da Luce frontale a Gita meridiana, a La polvere e il fuoco, da Antartide a La stoffa dell’ombra e delle cose a La piuma del Simorgh). E a questo proposito trovo ancora riscontro in ciò che scrive la curatrice del più volte citato libro-intervista, Silvia Granata, rivolgendosi al poeta: «… Sto leggendo le tue poesie, sono in grado di sentire la tua voce, tu poeta hai fatto centro! Se quella voce, fino ad allora sconosciuta, all’improvviso, come d’incanto, entra misteriosamente a far parte di me, allora posso dire che è avvenuto il miracolo…».

 Il riscontro con l’asserzione di Valéry, e di conseguenza con la mia iniziale ipotesi di definizione di un profilo poetico di Roberto Mussapi, in conclusione lo ritengo  tangibile: quella di Mussapi è una poesia delle voci e della voce, perché la sua scrittura è da pensare come una sorta di “sacrale” transustanziazione della voce umana con tutte le sue qualità, peculiarità e sfumature, e viceversa, tanto da riuscire a penetrare nell’intimo del lettore, facendogli avvertire la necessità di restare.

 

in copertina foto di Dino Ignani.

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