“Scrivere per lanciare i tuoi personaggi nel vuoto e consegnarli al destino”

Stefano Crupi 

E così capita che un giorno, dopo tanto scrivere e tanto buttare, decida ad un tratto che per una volta farai le cose per bene, come Dio comanda. E allora ti metti alla scrivania e prima della partenza ti fermi a pensare al tema di cui vuoi parlare e quale sarebbe la storia più giusta per farlo. E mentre sei tutto preso da questi ragionamenti d’un tratto salgono a galla tutti i romanzi che hai amato e gli scrittori che ti hanno parlato, pensi a Elena Ferrante e ad Anna Maria Ortese, pensi a Curzio Malaparte e a Peppe Lanzetta e a Giuseppe Montesano, e pensi anche al cinema, al tanto cinema di cui ti sei cibato in questi tuoi trent’anni di vivere confuso e disordinato, il cinema di Antonio Capuano e di Matteo Garrone, quello di Pappi Corsicato e di Paolo Sorrentino, e pensi anche a Giuseppe D’Avanzo e ai suoi articoli illuminanti e rivelatori. E così, evocata e invocata, viene a galla Napoli, sì, Napoli, la grande città, la città che vuoi raccontare, anche se a Napoli non sei nato, sei nato a due passi da lì e a Napoli ci hai solo vissuto per un po’, però l’hai studiata, e poi l’hai amata e odiata, odiata e amata, e infine l’hai capita, o almeno lo credi. E decidi che il protagonista della tua storia si chiamerà Sisto, anche se Sisto è un nome raro tra quei vicoli, come ti dirà tante volte chi ti vorrà appioppare la sua critica tanto per fare, senza sapere che un Sisto napoletano l’hai conosciuto e abitava nei quartieri e aveva diciotto anni ed era per giunta pure cattivo, cattivo assai. E lo seguirai sul suo scooter, nel primo capitolo che ti verrà dritto filato in una sola ora di un giorno d’estate, e lo vedrai mettersi nei guai e poi salvarsi, e tutto alla stessa velocità con la quale il ragazzo si infila incosciente nel traffico, perché hai deciso che la descrizione rapida e concisa sarà da oggi la musichetta della tua voce, non avrai altra voce al di fuori di quella come una maturità raggiunta e anche una prigione dorata, una prigione dalla quale puoi però partire, e viaggiare, e poi raccontare quello che hai visto.cop Stefano Crupi l'EstroVerso E decidi che parlerai delle cose che capitano, e lo farai al presente e, almeno all’inizio, alla terza persona; e che narrerai non solo di Sisto ma anche di suo zio Antonio, e di Agostino Cavallaro e di suo figlio, e pure di Golia, di Salvatore detto Hamsik, e di Pasquale, di Peppe, di Celestino, e di tutta quella marmaglia che popola questo microcosmo chiassoso e vivo che è il quartiere nel quale uno come Sisto è nato e pasciuto. E lo farai senza retorica, anzi, tutto al contrario, insudiciando la voce narrante della stessa mentalità perversa dei personaggi che narra, della cazzimma che indirizza ognuna delle loro azioni, e imprimendole pure la loro stessa rassegnazione e quel loro modo tutto particolare di vedere le cose, nell’assurda convinzione che ribellarsi non serva a nulla e che non ci sia alcuna speranza di cambiare un mondo che non funziona. E per un po’ terrai Sisto lontano dalla città che lui chiama maledetta, ma sarà solo per poco, il tempo di scoprire che la luce esiste e che cambiare si può, altro se si può, anche se è necessario avere fortuna, la fortuna di incontrare qualcuno disposto a mostrarti la via. E allora, a quel punto, per Sisto arriverà il tempo di tornare, di farlo per la resa dei conti, nel momento tanto atteso nel quale le storie si risolvono, si concludono, una volta per tutte, quando ogni cosa si tiene e tu non puoi fare altro che chiudere gli occhi, lanciare i tuoi personaggi nel vuoto e consegnarli al destino. (Foto di Alfredo Buonanno)

 

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